Recensione: Silence di Martin Scorsese

Tratto dal romanzo Silenzio di Shūsaku Endō, Scorsese torna alla regia con uno dei film più profondi che abbia mai diretto.
La produzione del film è stata ritardata di tantissimi anni, è un progetto che Scorsese porta avanti addirittura dal 1990. Il fatto che non abbia lasciato perdere e sia riuscito comunque a concludere e a rilasciare Silence dopo ben 26 anni di sviluppo, fa capire quanto ci tenga.
Probabilmente perché tratta di un argomento a lui molto caro, ovvero il rapporto tra uomo e fede, Scorsese infatti dichiarò che durante l’adolescenza gli unici due posti in cui si trovava davvero a suo agio erano cinema e chiesa.
Silence è ambientato nel 1633, quando giunge a Roma la notizia che il gesuita Cristóvão Ferreira (Liam Neeson) durante il suo viaggio in Giappone ha compiuto apostasia a seguito delle torture subite. Due dei suoi allievi, Sebastião Rodrigues (Andrew Garfield) e Francisco Garupe (Adam Driver), increduli e sconvolti decidono di recarsi in Giappone in cerca di sue notizie.
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La prima parte del film è interamente dedicata alle difficoltà che i due protagonisti incontrano durante il loro viaggio (dove verranno inizialmente accolti dai rarissimi cristiani in Giappone) e alla crudeltà dei giapponesi verso i cristiani.
Non era tollerata una religione di un altro paese, in particolare quella cristiana, tutti coloro sospettati di essere cristiani venivano messi alla prova, la prova consisteva nel calpestare una statuetta che raffigurava Gesù, nel caso il sospettato non esitasse a calpestare la statuetta allora veniva lasciato andare, in caso contrario veniva o giustiziato o torturato.
Questo è uno dei punti chiave del film, i momenti salienti e quelli più ricchi di tensione sono quando i cristiani vengono sottoposti a questa dura prova e la storia di Sebastiao Rodrigues è proprio un lungo percorso fino al punto cruciale in cui dovrà decidere tra due opzioni: salvare la vita di persone innocenti calpestando la statuetta cristiana, oppure lasciarli morire ma testimoniando la forza della propria fede.
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Silence tratta tantissimi temi, i principali sono il rapporto tra uomo e fede e soprattutto l’intolleranza di una nazione come il Giappone verso una religione che non appartiene alla propria patria.
Sono tanti i personaggi interessanti e soprattutto ben scritti, spicca sicuramente Inoue-sama (Issey Ogata), ovvero colui con cui Rodrigues si confronterà e discuterà principalmente di argomenti religiosi, cercando invano di convincerlo che il Giappone dovrebbe accettare il cristianesimo.
Inoue è esattamente la reincarnazione del pensiero giapponese di quel tempo, ritiene infatti che il cristianesimo sia soltanto qualcosa di pericoloso che può portare tantissimi problemi.
Un altro personaggio molto interessante e importante è Kichijiro (Yōsuke Kubozuka), l’unico che ogni volta a costo di salvarsi la pelle calpesterà la statuetta di Gesù.
Le sue intenzioni non sono mai del tutto chiare, passa continuamente da essere un traditore ad un cristiano pentito. È però fondamentale nella prima parte del film, essendo colui che conduce i due protagonisti in Giappone.

Le interpretazioni sono state tutte di altissimo livello, in particolare Andrew Garfield che è stato messo a dura prova poiché il suo era un personaggio tutt’altro che facile da interpretare.
Adam Driver e Liam Neeson purtroppo non appaiono tantissimi minuti, ma sono stati assolutamente bravissimi nelle poche scene in cui sono presenti.
Il film non presenta tantissimi difetti, ma i principali sono il fatto di essere abbastanza lento in alcune parti e aver gestito male Francisco Garupe, personaggio che poteva dare molto di più ma che viene totalmente trascurato.
Silence è un film che riesce a colpire e lasciare il segno, grazie a una storia avvincente, uno sviluppo psicologico del protagonista studiato in ogni minimo dettaglio, la fotografia straordinaria curata da Rodrigo Prieto (Argo, The Wolf Of Wall Street, Brokeback Mountain) e la sceneggiatura scritta da Jay Cocks (Gangs of New York) e Scorsese.

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