Film mediorientali: i migliori film del Medio Oriente

Uno sguardo ai titoli che hanno segnato la storia di questo territorio

Film mediorientali. Spesso una buona parte del pubblico va in sala a vedere film di grandi produzioni americane, commedie all’italiana o il film che ha vinto più premi e con una maggiore risonanza mediatica. Pochi, invece, conoscono il cinema di territori lontani dai riflettori. In passato abbiamo parlato del cinema di territori meno conosciuti, come l’Africa (qui il nostro articolo sul cinema africano). Oggi il nostro focus va verso i film del Medio Oriente (spesso noto come Vicino Oriente). Negli ultimi decenni i film mediorientali stanno avendo sempre più spazio nelle sale cinematografiche e nelle preferenze del grande pubblico.

Questo vasto territorio comprende stati appartenenti a diversi continenti, essendo europei, nordafricani e asiatici. Diverse religioni, usanze e gruppi etnici popolano la regione. Anche per questo il Medio Oriente è un grande mix di culture diverse, soprattutto in campo di sperimentazione cinematografica e artistica. Tra conflitti armati e ideologici la cultura è una delle speranze di rinascita per i paesi che stanno cercando una via per uno sviluppo sempre più florido. In questo articolo proviamo ad individuare alcuni dei film mediorientali che hanno fatto grande la storia cinematografica di quest’area geografica, dagli storici gioielli di Kiarostami ai più recenti prodotti da Oscar.

Indice

Cairo Station – Porta di ferro (1958, Youssef Chahine – Egitto)

Il nostro breve viaggio attraverso i migliori film medioerientali comincia in Egitto, territorio africano ma appartenente all’area del Medio Oriente. Qui, nel 1958, uscì uno dei più grandi film della storia di questo territorio, dalla mano di uno dei registi che influenzarono il cinema mondiale e prevalentemente i futuri registi di origine mediorientale. Il cineasta è Youssef Chahine, il film “Cairo Station“, il primo vero grande film arabo. Il regista fa ruotare il suo film attorno a temi spigolosi, taboo per l’epoca. Però fu universalmente apprezzato, selezionato per rappresentare l’Egitto ai premi Oscar (non ottenendo però una nomination). Moltissimi autori, da Cairo Station in poi, presero in mano la loro responsabilità cinematografica e cominciarono a parlare di determinati argomenti, visti sempre negativamente soprattutto in quelle aree.

Qinawi (interpretato dallo stesso regista) è deriso ed evitato per il suo zoppicare e la sua vita socorre tristemente per questa sua difficoltà ad approcciarsi al resto del mondo. L’uomo è ossessionato da una donna, una venditrice di bevande, che però è già impegnata. Lui cerca di approcciarsi ma quando viene rifiutato trasforma la sua ossessione in follia. Ma il suo piano folle per sbarazzarsi della donna, va in fumo per un errore. Chahine ritrae un Egitto a metà tra tradizione e modernizzazione. Lo fa servendosi di una giusta commistione di generi che spaziano dal dramma alla lezione neorealista, fino ad arrivare alle atmosfere del noir classico. Il regista dimostra di esser stato sedotto dai movimenti di macchina fantasiosi del cinema oltre oceano, ricreandoli in una nuova veste, facendo assumere loro un valore molto più profondo del mero tecnicismo.

La trilogia di Koker (dal 1987 al 1994, Abbas Kiarostami – Iran) – Film del Medio Oriente

Quando si parla di film mediorientali non si può non pensare subito ad un grande regista, scrittore e autore di film che hanno fatto la storia. Parliamo di Abbas Kiarostami, iraniano e cineasta universalmente amato. Impossibile rinunciare ad elencare tutti i suoi film, in questa lista ce ne sono ben cinque. Tre di essi però, principalmente per dar spazio anche ad altri cineasti, sono racchiusi in una singola voce. Ci riferiamo a quella che è chiamata la Trilogia di Koker. I film compresi in questa trilogia sono “Dov’è la casa del mio amico?” (1987), “E la vita continua” (1992) e “Sotto gli ulivi” (1994). I tre film sono definiti una trilogia dalla critica e non dallo steso Kiarostami, che preferiva idealmente collegare gli ultimi due a “Il sapore della ciliegia”, di cui parleremo dopo, per via del tema della preziosità della vita.

Il nome della trilogia fa riferimento a Koker, villaggio nel Nord dell’Iran, luogo in cui sono ambientati tutti e tre i film in questione. I tre gioielli del regista iraniano sono tre storie ce fluttuano tra realtà e finzione, tra vita e messa in scena: nuove esperienze del cinema che dall’Iran si diramano in tutto il mondo grazie alla lezione di Kiarostami. Il regista parla un linguaggio metacinematografico e grazie ad esso collega e mette insieme la trilogia. Il primo film segue la storia di un ragazzino che cerca un amico per restituirgli un quaderno. Nel secondo vediamo un padre con suo figlio cercare i due attori protagonisti di sono “Dov’è la casa del mio amico?”, temendo che essi si siano dispersi dopo il terremoto del 1990. Nel terzo film, la storia principale è generata da un dramma che nasce sul set del secondo film, “E la vita continua”.

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Close-Up (1990, Abbas Kiarostami – Iran)

Il viaggio continua e ci imbattiamo ancora in Kiarostami. Sarebbe stato riduttivo non parlare a fondo di un maestro che ha segnato la cinematografia mondiale. Il realismo di Abbas Kiarostami trascende il territorio iraniano per ergersi a storia universale. Martin Scorsese ha dichiarato più volte di dover molto alla lezione del regista iraniano. Uno dei suoi film più onirici e ben riusciti è “Close-Up”, sintesi della sua intera cinematografia. Qui comprendiamo bene come il suo “realismo” sfoci in un abbraccio tra realtà e finzione, come del resto può spesso sembrarci la nostra vita. Prendendo spunto da un episodio realmente accaduto, Kiarostami costruisce un prodotto che incastra piani narrativi fino a renderli uniti, ma sempre scindibili. Il film compare nel titolo di un cortometraggio del regista italiano Nanni Moretti.

In “Close-Up” la realtà non è reale. Quello che vediamo è una “copia conforme” (titolo di uno di suoi film più recenti) della vera realtà, a patto che essa esista davvero. Una sorta di realtà parallela, a metà tra fatti veri e documentati e pure finzione. Alì è un giovane disoccupato che riesce a inserirsi in una famiglia benestante grazie ad un astuto espediente: fa credere loro di essere il famoso regista Moshen Makhmalbaf. Egli dice loro di star lavorando ad un film che li vedrà tra i protagonisti. Realtà e finzione sembrano fondersi e sembra impossibile capire quando il protagonista sta mentendo e quando è sincero. La realtà è così compromessa che bisogna tornare sullo stesso fatto più volte, per vederlo da diversi punti di vista. Ma l’inganno di Alì non durerà molto e il vero regista potrebbe anche farsi vivo.

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Il sapore della ciliegia (1997, Abbas Kiarostami – Iran) – Film mediorientali

Giuriamo che è l’ultimo. L’ennesimo, ma ultimo, film di Abbas Kiarostami in elenco. Del resto, era impossibile lasciar fuori un film Palma d’Oro a Cannes. Al cinquantesimo Festival di Cannes, Kiarostami mostra uno straziante, commovente e significativo film, “Il sapore della ciliegia”. Tocca spettatori e critica per la sua capacità di trasmettere i valori della vita e anche della morte. Diverso dai precedenti prodotti, diversa è l’elaborazione formale, strutturale e narrativa del film. Kiarostami qui è crudo, è spiazzante e controverso nelle scelte, come la tematica del film richiede.

Nella periferia di Teheran, il signor Badii cerca qualcuno che possa esprimere un suo desiderio: egli ha bisogno di qualcuno che possa ricoprire la fossa nella quale ci sarà il suo corpo, dopo essersi suicidato. Egli, infatti, sta meditando sempre più l’idea di farla finita. Incontrerà tre uomini che avranno tre reazioni diverse alla proposta dell’uomo: spavento, sconcerto e volontà di poter far cambiare idea. Che poi sono le stesse tre reazioni che può avere un unico spettatore del film. Il sapore della ciliegia non parla di suicidio nel senso stretto del termine, parla di valori. Il tema della responsabilità, personale e altrui, è quello centrale, insieme a quello della consapevolezza. Homayon Ershadi riesce a farci essere, con la sua grandiosa interpretazione, un po’ protagonisti ma soprattutto riesce a farci essere gli interlocutori di un disperato grido d’aiuto.

Lebanon (2009, Samuel Maoz – Israele)

Una produzione israeliana e libanese per il primo dei due film di Samuel Maoz in lista. Il film del 2009 racconta una storia delicata, un tema particolare e spigoloso che però è centrale per l’intero Medio Oriente: in conflitti armati. Nello specifico la prima guerra del Libano del 1982. Il punto di vista è quello di alcuni soldati chiusi all’interno di un carro armato. I temi forti e lo sperimentalismo formale hanno portato alla vittoria del Leone d’Oro al miglior film alla 66ª Mostra internazionale del Cinema di Venezia. Maoz parla di guerra diversamente da come si pongono i vari registi, da come viene raccontato in America. “Lebanon” parla del conflitto senza schierarsi apertamente da nessuna parte: ciò che fa, con dignità e coraggio, è raccontare la storia, le esperienze umane e disumane.

Il film si svolge interamente dentro un carro armato, tranne la prima e l’ultima sequenza. Ciò che accade fuori è visto attraverso l’ottica della canna dalla quale parte il fuoco. Si sviluppano i rapporti dentro il carro armato e gli avvenimenti esterni sembrano quasi finzione. Il clima è quasi grottesco, per via dell’inettitudine dei personaggi. Tra essi figurano un capocarro indeciso e pervaso da crisi e un soldato che si rifiuta di sparare. Tutti vorrebbero tornare a casa ma, da scherzo infame del destino, le loro vicende diventeranno sempre più drammatiche. Ciò che c’è fuori sembra non appartenere a loro, quella spirale di violenza disumana e la disperazione dei civili all’esterno fanno da perfetto contraltare. Uno studio sull’uomo, sui sentimenti, che alla fine lascia l’amara sensazione che essi, davanti alla guerra, siano buoni solo per essere raccontati al cinema.

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Una separazione (2011, Asghar Farhadi – Iran) – Film mediorientali

Una separazione” è il film che ha consacrato il regista e sceneggiatore iraniano Asghar Farhadi. Ritenuto uno dei migliori film mediorientali degli ultimi anni, ha ricevuto una valanga di premi internazionali. Tra essi ricordiamo l’Orso d’oro alla 61ª edizione del Festival di Berlino (primo film iraniano a vincerlo). Inoltre l’anno successivo ha vinto sia il Golden Globe che l’Oscar per il miglior film straniero. Successi che hanno fatto conoscere questo titolo al grande pubblico e lo hanno reso ancora più famoso. L’angoscia generata da ogni singolo dialogo e situazione è frutto di un’ottima sceneggiatura e soprattutto dell’ambiente che parla. Farhadi, con una lezione che scomoda i Neorealisti, lascia esprimere il clima attorno alla vicenda, un clima di conflitti sociali e ideologici. Una storia che si radica nel contesto di Teheran ma che è molto più universale di quanto si possa pensare.

Nader e Simin sono una coppia di Teheran, sposati da poco più di dieci d’anni e con una figlia undicenne. Il loro matrimonio è in crisi e la donna prova a proporre di evadere dal paese, tutti insieme, Ma Nader non è d’accordo, volendo badare al padre malato d’Alzheimer e la crisi aumenta sempre più. La donna lascerà la casa ma la figlia deciderà di restare con il padre. Ma Nader a casa ha bisogno d’aiuto, dovendo stare dietro al lavoro, la figlia e il padre malato. Assume così Razieh, donna incinta che ha trovato lavoro senza dirlo a suo marito, un tipo violento. Quando la lavoratrice incinta non riuscirà a gestire il lavoro da “badante”, viste le sue condizioni psicofisiche, la situazione genererà in un’escalation di violenza, odio e crisi psicologiche, in una società che non riesce a dare una mano concreta.

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Omar (2013, Hany Abu-Assad – Palestina)

Anche la Palestina si affaccia in questa nostra lista di film mediorientali con un titolo che ha colpito la critica e la stampa di tutto il mondo nel 2013. “Omar” è riuscito a vincere il premio della giuria nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes. Ulteriore affermazione e soddisfazione è arrivata l’anno successivo con la straordinaria impresa della nomination agli Oscar 2014 nella categoria miglior film straniero. Il film è scritto e diretto da Hany Abu-Assad, regista famoso per aver diretto un altro grandioso film mediorientale, “Paradise Now”. La produzione del film fu particolarmente difficile per via del perenne conflitto israelo-palestinese: la produzione palestinese fu vittima di sabotaggi durante le riprese in Israele e in Cisgiordania. Il film, a detta del regista, prende liberamente ispirazione a dei fatti accaduti ad un amico e soprattutto ad alcune paranoie del regista, convinto di esser sempre sotto osservazione israeliana.

In Cisgiordania, le milizie palestinesi hanno creato una barriera per separare gli israeliani dai terroristi palestinesi. Il protagonista è Omar, ragazzo che continuamente scala il muro di nascosto per riuscire a vedere i suoi amici, oltre che una giovane a cui è legato. Con il sogno di liberare la Palestina dall’occupazione israeliana, i ragazzi compiono un agguato notturno. Durante l’attacco resta ucciso un soldato e successivamente solo Omar verrà arrestato, riuscendo gli altri a scappare. Da questo momento comincia un gioco fatto di manipolazioni, segreti e inganni per riuscire ad arrivare al colpevole dell’omicidio dell’uomo: Omar non vuole tradire i suoi amici e gli agenti saranno pronti ad escogitare complessi piani per arrivare ad una risposta.

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Il cliente (2016, Asghar Farhadi – Iran) – Film mediorientali

Per un cineasta è sempre una gran soddisfazione vincere un premio Oscar. Ciò raddoppia quando a distanza di pochi anni se ne riceve un secondo. Ma la gioia più grande è sapere di vincere due Oscar per il miglior film straniero essendo un regista di origini mediorientali, prendendo consapevolezza di quanto il cinema del Medio Oriente stia diventando importante. Questo è capitato ad Asghar Farhadi con il suo secondo film in questa lista, “ll cliente“. Il film del 2016 ha colpito fin dalla sua prima proiezione a Cannes, dove ha vinto Prix du scénario e il Prix d’interprétation masculine.

Di produzione iraniana, il film è ambientato nello stesso paese ed è liberamente ispirato al dramma di Arthur MillerMorte di un commesso viaggiatore“. Farhadi compie un importante lavoro sui due elementi caratteristici delle sue opere: il concetto di coppia e la società iraniana, ancora piena di vincoli pur in fase di modernizzazione culturale.

Un cedimento strutturale nell’edificio in cui abitano Emad e Rana costringe i due coniugi a dover abbandonare l’appartamento in cui vivono. I due recitano in una compagnia teatrale e sono tra i protagonisti di “Morte di un commesso viaggiatore” di Arthur Miller. Un loro collega attore proverà ad aiutarli a trovare una nuova sistemazione. La casa in cui vanno ad abitare apparteneva, precedentemente, ad una donna di cattiva reputazione. Un giorno Rana troverà alla sua porta un ex cliente della donna che attaccherà l’attuale padrona di casa. Così per il marito, Emed, comincerà una faticosa ricerca dell’uomo, il tutto senza voler chiedere un minimo auto alle forze dell’ordine.

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Foxtrot (2018, Samuel Maoz – Israele) – Film mediorientali

Torniamo a parlare di Samuel Maoz e parliamo del suo secondo importante film. “Foxtrot” (in Italia con l’aggiunta del sottotitolo La danza del destino) è un film difficile da descrivere. Particolarmente drammatico ma che non disdegna il grottesco, il clima quasi giocoso a tratti pur avendo una costruzione basata sul dramma. Soprattutto per queste linee di costruzione l’abbiamo inserito tra i migliori film dello scorso anno (qui la lista completa). Maoz qui prende una posizione dietro le oniriche scene: è una critica feroce alla violenza, quella che pervade l’intera società. Una violenza non solo fisica ma soprattutto ideologica. Foxtrot riesce a essere visivamente spettacolare e narrativamente complesso, non lasciando nessun elemento fine a sé stesso e riuscendo a fondere tutto con maestria, rivelando nel regista una delle personalità più influenti del cinema israeliano contemporaneo.

Foxtrot parte da una tragedia di base e come tale è sviluppata in atti, in tre. Tre sezioni diverse come stile e messa in scena. Il destino beffardo, come nei migliori drammi, è l’elemento che condiziona la tragica esperienza. Un giorno dei militari bussano alla porta dell’abitazione di una famiglia. Solo lì per distruggere le loro vite: infatti stanno per comunicare la morte del figlio dei due coniugi in casa. Una morte dovuta alla violenza, alla guerra. I due sprofondano nell’oblio, nel caos mentale e nel buio totale. Successivamente Maoz, nei successivi atti, riesce a fondere humor nero, danze, ritmi vivaci e farseschi, colori sgargianti che rompono il ritmo visivo cupo del primo atto. Ma il regista lascia, durante, ciò il tempo di riflettere e di metabolizzare, che poi è la mossa decisiva che il film sfodera: bisogna arrivare alla riflessione critica, poi, inevitabilmente, giudicare.

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Cafarnao (2019, Nadine Labaki – Libano) – Film mediorientali

Concludiamo questa lista di film del Medio Oriente con una recentissima perla della regista Nadine Labaki.  In Italia l’uscita di “Cafarnao” è prevista per aprile 2019 ma il film ha già stupito il mondo intero nella sua premiere al Festival di Cannes, in cui ha ricevuto il premio della giuria. Il film è uno dei più apprezzi di quest’anno e molto probabilmente entrerà nella cinquina di film candidati al premio Oscar per il miglior film straniero, insieme a titoli del calibro di Roma e Cold War. Uno dei tanti segnali che manda un paese come il Libano, spesso emarginato ma con gli anni capace di formare una solida base culturale. In questo è stato importante il ruolo svolto dalla Labaki che dai primi anni del XXI secolo ha fatto valere il suo cinema anche fuori dai territori libanesi.

La famiglia di Zaid, ragazzino dodicenne, è molto numerosa. L’incipit del film si svolge in un tribunale. Qui facciamo la conoscenza del ragazzino e da qui parte la storia attraverso numerosi flashback. Il punto da cui essi si generano è una semplice domanda con annessa una risposta molto forte. Zaid è i tribunale per aver denunciato i suoi genitori. Quando il giudice chiede, giustamente, per quale motivo Zaid ha denunciato i suoi, egli risponde dicendo: “Perché mi hanno dato la vita”. Da cui inizia il viaggio a ritroso, l’odissea familiare attraverso le vicende accadute prima di quel giorno: storie crude, di povertà, di sfruttamento e di condizioni fisiche e mentali disperate. Un film che ci obbliga a confrontarci con una situazione che, forse, vediamo come troppo lontana dalla nostra.

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