Red Dot: recensione del thriller svedese targato Netflix

Una giovane coppia e la lotta per la sopravvivenza nel gelido paesaggio svedese

Dopo la premiere dello scorso novembre allo Stockholm International Film Festival è disponibile da giovedì 11 febbraio nel catalogo Netflix Red Dot, il thriller svedese di cui vi proponiamo la nostra recensione. Dietro la macchina da presa c’è il regista Alain Darborg, che firma la sceneggiatura insieme a Per Dickson. Darborg ha all’attivo la regia di due serie tv e un lungometraggio d’azione a tinte comiche e con Red Dot mette a segno la sua prima collaborazione con la piattaforma streaming. Per Dickson, invece, debutta qui sia nelle vesti di sceneggiatore che in quelle di assistente alla regia.

Alla guida del cast ci sono Nanna Blondell e Anastasios Soulis; accanto a loro, anche Johannes Kuhnke, Thomas Hanzon, Anna Azcarate, Kalled Mustonen e Tomas Bergstrom. Nei suoi 86 minuti di durata, Red Dot parte da una premessa che pare piuttosto esplicita per poi percorrere altre strade e allargare il suo obiettivo su varie derivazioni e sottocategorie del genere cui appartiene. Una sorta di tranello teso allo spettatore, che inizia il film credendo di trovarsi di fronte a un certo tipo di storia e poi si ritrova ad avere a che fare con tutt’altro.

Indice:

La trama – Red Dot, la recensione

Nadja e David sono una giovane coppia che vive a Stoccolma la cui relazione sembra navigare su mari piuttosto agitati dopo appena un anno e mezzo di matrimonio. David lavora tutto il giorno e non sembra particolarmente interessato a coltivare una vita sociale soddisfacente. Nadja, dal canto suo, si vede costretta a occuparsi da sola della gestione del piccolo nucleo familiare. Risente per la mancanza di attenzioni del compagno e in generale non si sente realizzata. Quando scopre di aspettare un bambino, Nadja è turbata e in un primo momento non parla a David della gravidanza, preferendo tenergliela nascosta e ancora indecisa sul da farsi.

Per cercare di ravvivare una relazione che sembra essere arrivata prematuramente al capolinea, David organizza una vacanza avventurosa nel nord della Svezia. Quale migliore occasione per ritrovare la complicità e il romanticismo se non godendosi l’aurora boreale nel silenzio incontaminato della natura? Peccato che qualcuno abbia per loro tutt’altri programmi. Durante la prima notte passata in tenda, Nadja e David si accorgono che un misterioso cecchino punta loro addosso un mirino – il red dot, appunto. L’avventura spensierata della coppia si trasforma ben presto in un incubo dai risvolti via via più intricati e drammatici.

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Red Dot. SF Studios

Analisi

Come accennato nell’introduzione alla nostra recensione, Red Dot è un film che schiera in campo alcune premesse per poi sviluppare la sua storia su altri binari. Niente di nuovo: si tratta di una formula piuttosto praticata nel thriller e che, in genere, può funzionare. Qui il problema risiede nel fatto che lo spettatore avvezzo ad avere a che fare con questo tipo di dinamiche se ne accorge (troppo) presto. L’incipit è ben strutturato e Darborg ci introduce i protagonisti con pochi ma efficaci spunti che permettono di farsi un’idea chiara di chi siano Nadja e David. Quando la scena si sposta sui ghiacci del nord, alcuni indizi portano a farsi un’idea di chi possa essere il misterioso cecchino che si nasconde dietro il mirino dell’arma. Il film si comporta, a questo punto, come una classica caccia all’uomo.

C’è un buon meccanismo di creazione della tensione e il senso di pericolo è palpabile. In questo senso aiutano molto la valorizzazione fotografica del paesaggio e il ritmo serrato. Red Dot diventa a questo punto un survival movie, dove l’elemento chiave è l’interazione di Nadja e David con le insidie dell’ambiente esterno. I problemi iniziano nella seconda metà del film quando arrivano a pioggia una serie di colpi di scena e svolte narrative non sempre efficaci. Ed è qui che Red Dot cambia ancora. Senza rivelare troppo, si entra nel sottogenere della vendetta e si svelano tutte le carte in tavola con l’inserimento di alcuni flashback chiarificatori. Flashback peraltro già accennati in precedenza che, insieme ad alcune “allucinazioni” di cui David sembra soffrire, portano a mettere insieme in fretta i pezzi del puzzle.

Considerazioni tecniche – Red Dot, la recensione

Il fatto di riuscire ad arrivare anzitempo alla “soluzione del caso” non è l’unico problema di Red Dot. Il difetto maggiore del film di Alain Darborg risiede nella scrittura dei personaggi. David e Nadja ci vengono presentati come due individui imperfetti; soprattutto David ha nell’inettitudine e nelle debolezze del carattere le sue peculiarità principali. Nadja sembra più forte, ma via via scopriamo che anche lei è priva del benché minimo senso di responsabilità e coraggio delle proprie azioni. Caratteristiche, queste, che rendono praticamente impossibile simpatizzare per loro e men che meno identificarsi o entrare in empatia. Ritmo sostenuto e azione non bastano da soli se non sono sostenuti da una controparte narrativa solida. E un film come Red Dot finisce per scivolare addosso se non si parteggia per i protagonisti.

Non va meglio sul fronte degli antagonisti e in generale la partecipazione emotiva è unilateralmente scarsa. Paradossale, dal momento in cui le vicende sulla scena – senza fare spoiler – sono senza dubbio gravi e dalle implicazioni drammatiche. Se il sistema dei personaggi soffre per una scrittura troppo piatta, i dialoghi non aiutano. Ci sono pochi scambi dialogici in Red Dot e alcuni hanno l’effetto di banalizzare quanto accade. In uno dei momenti più tesi del film, David riconosce l’arma da fuoco che li minaccia dal tempo che intercorre tra un colpo esploso e l’altro. Lo fa grazie alla sua passione per i videogiochi; senza ironia, senza scopo se non quello involontario di smorzare la tensione. Nonostante i problemi di scrittura, gli attori riescono ad essere tutti credibili e piuttosto convincenti. Bella invece la fotografia, gelida come i paesaggi innevati del nord della Svezia.

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Red Dot. SF Studios

Conclusioni – Red Dot, la recensione

Avviandoci alla conclusione della nostra recensione di Red Dot sarà chiaro come il nuovo thriller svedese Netflix sia un prodotto che non merita una promozione a pieni voti. Non si può dire che il film di Alain Darborg sia da evitare tout court ma di certo non è un’aggiunta al catalogo della piattaforma di cui si sentisse la mancanza. È da apprezzare la scelta di Netflix di continuare a dar voce a prodotti di vari generi provenienti da Paesi diversi; il problema è che Red Dot ha ben poco di nuovo da dire. La storia di per sé non è particolarmente originale e le variazioni sul tema thriller, qui, non convincono in pieno.

Poco prima del finale, oltre alle deviazioni sui sottogeneri già messe in luce nella nostra analisi, c’è persino un timido tentativo di avvicinarsi all’horror. Tentativo ben poco convincente e ancor meno convinto, che si esaurisce ancor prima di cominciare. Red Dot non va oltre la mediocrità e sarebbe bastata una miglior cura nell’approfondimento dei personaggi per poterlo considerare a tutti gli effetti un prodotto valido. Invece non fa nulla più del minimo indispensabile per intrattenere senza impegno e sparisce senza lasciar traccia alla fine dell’ora e mezza di visione.

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Red Dot

Voto - 5.5

5.5

Lati positivi

  • Buona prova degli attori protagonisti e del cast in genere
  • La fotografia che esalta i gelidi paesaggi del nord della Svezia

Lati negativi

  • Poco originale, scontato nonostante i vari colpi di scena e deviazioni sulla trama
  • La scrittura dei personaggi

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