Shayda: recensione del film esordio della regista Noora Niasari prodotto da Cate Blanchett 

Un inno alla libertà e all'indipendenza per una donna che cerca la rinascita

Shayda è un film magneticamente malinconico che incanta per la delicatezza del suo racconto e delle sue protagoniste. Scritto e diretto da Noora Niasari – ispirato alla storia di sua madre e della sua stessa infanzia –  il film è stato presentato in anteprima alla World Dramatic Competition al Sundance Film Festival 2023, vincendo il Premio del Pubblico, mentre approda nelle sale italiane solo oggi 10 luglio.

Il film è l’esordio alla regia di Niasari che ha scelto come protagoniste due attrici meravigliose: Zar Amir Ebrahimi e Selina Zahednia nei panni di Shayda e sua figlia Mona. Nel resto del cast Osamah Sami, Leah Purcell, Jillian Nguyen, Mojean Aria e Rina Mousavi. Con delicatezza la pellicola racconta il tentativo di una donna iraniana in Australia di trovare la sua strada, una libertà da un matrimonio opprimente e vincolante che l’ha ferita. Analizziamolo in Shayda recensione.

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Indice: 

Shayda recensione – Trama

Nella Melbourne nel 1995 Shayda e la figlia Mona, di soli sette anni, trovano rifugio in una casa per donne vittime di violenza. Il marito della donna alla richiesta di divorzio da lei avanzata ora minaccia di portarle via la custodia della piccola. Le due cercano di adattarsi alla nuova spaventosa realtà, soprattutto per la bambina che ha perso i suoi punti di riferimento. Con l’arrivo del Capodanno persiano, Nowruz, Shayda spera di poter ricominciare da capo.

Il giudice che segue il suo caso però permette al marito le visite senza sorveglianza alla bambina e così la donna precipita di nuovo nella spirale di paura. Si incontrano in un centro commerciale e ogni volta per Shaya è come tornare indietro; allo stesso tempo però cerca di ricostruire la sua vita frequentando anche una vecchia conoscenza sperando di riuscire ad ottenere la tanto desiderata libertà.

Shayda recensione – (Non) È solo un gioco

La sensazione che si prova assistendo alle vicissitudini della protagonista è di ingiustizia. Il matrimonio tra lei e il marito è un accordo che la rende una sua proprietà e in quanto tale sembra non avere il diritto ad una sua indipendenza. In una conversazione tra i due l’uomo dice che le “permetterà” di fare quello che desidera, di non indossare il velo, di vestire in maniera occidentale, rimarcando a tutti gli effetti come la sua esistenza e le sue azioni siano una concessione che lui le fa. Dal punto di vista dell’uomo, della religione e della mentalità patriarcale che lui incarna, la necessità che Shayda ha di ottenere la sua indipendenza è solo un gioco, qualcosa di cui deve prima o poi stancarsi.

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Una concezione condivisa – almeno all’inizio – dalla madre della donna che si preoccupa di come le persone in Iran hanno cominciato a parlare e l’atteggiamento irragionevole e irrispettoso di Shayda intacchi la reputazione della famiglia. È così che sua madre, unica fonte di conforto che la donna dovrebbe avere, diventa un ulteriore mezzo di condizionamento, l’ennesima persona che la invita ad accettare il compromesso di un matrimonio limitante e opprimente e che la fa sentire ancora più sola. Il film evidenzia come la linea tra la concezione patriarcale della donna e quella della dottrina islamica sia molto sottile. Certo non tutti i matrimoni sono così, ma credo debba essere riconosciuta la differenza tra agire secondo fede e l’importanza di essere una donna, un essere umano e non un mero oggetto.

Shayda recensione – Le case di accoglienza

È triste, ma purtroppo sempre più frequente, vedere come il tema della violenza sulle donne sia trasversale in culture, religioni e paesi. Il film mostra uno degli strumenti che lo Stato cerca di fornire a queste donne: le case di accoglienza. In questa casa protetta, gestita da Joyce la responsabile, ogni donna con i propri figli trova uno spazio sicuro ma a cui deve abituarsi non avendo più punti di riferimento. Joyce diventa figura fondamentale per Shayda, così come nel tempo le donne tra di loro trovano conforto reciproco: tutte condividono lo stesso dolore e la stessa paura. Ma allo stesso tempo le strutture non sono perfette perché sono uno strumento della legge e questa si sa deve essere imparziale.

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È così che fornisce a Shayda un avvocato che le permetta di esercitare il suo diritto alla libertà ma allo stesso tempo permette al marito violento di vedere la piccola Mona, perché in fondo è pur sempre suo padre. Ed è lei l’altra grande protagonista; una bambina di appena sette anni che vede la sua vita sradicata e stravolta, che si trova all’improvviso al centro di una ferrea lotta combattuta davanti ai suoi occhi tra le due persone più importanti della sua vita. Diventa testimone della paura della madre, degli atteggiamenti manipolatori del padre e delle sue vuote promesse. La sua dolcezza stringe il cuore così come fanno gli occhi grandi della piccola attrice che dovrebbero invece esprimere altre emozioni.

Shayda recensione: “Ma se la paura ti insegue fuggi da questo posto”

Al centro di Shayda recensione c’è la rinascita della protagonista che corre parallela con l’arrivo del Capodanno persiano, un momento in cui tutto è nuovo, in cui i fiori rinascono, i semi germogliano e la natura torna a splendere. La regista inserisce queste immagini frammentandole nella narrazione e rendendole speculari al percorso della protagonista. Una scelta che immerge la pellicola in un’atmosfera poetica. Un altro aspetto che mi ha colpito molto è come nel film si rappresenti la nostalgia della propria casa. Nonostante il dolore a Shyada manca il proprio paese, la sua atmosfera e la sua città, una nostalgia per quel mondo da cui è stata costretta a separarsi in nome della propria libertà e del diritto a vivere.

Se quindi la storia dal ritmo semplice ma comunque coinvolgente che spinge ad empatizzare con la protagonista, è uno dei punti di forza del film, ciò che aggiunge quel tocco in più è la recitazione dell’attrice Zar Amir Ebrahimi. Lo spettatore percepisce il suo dolore, la tristezza di essere lontana, la confusione di non sapere cosa fare e come farlo, il terrore di vedersi portare via l’unica cosa preziosa che le è rimasta. La sua performance è davvero toccante. Shayda non è una storia semplice o leggera ma è fondamentale nella sua delicata potenza, un racconto che invita a riflettere sul diritto alla libertà e la necessità che ogni essere umano, uomo o donna che sia, ha di esercitarlo.

Shayda

Voto - 7

7

Voto

Lati positivi

  • Storia delicata ma dal forte impatto emotivo
  • Ottima performance dell'attrice protagonista
  • Bellissimo uso delle immagini

Lati negativi

  • Ritmo a volte un po' lento

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