The French Dispatch: recensione del film di Wes Anderson

Dopo l'anteprima mondiale al Festival di Cannes arriva al cinema dall'11 novembre l'ultimo film di Wes Anderson

Dopo l’anteprima mondiale al Festival di Cannes, il nuovo film di Wes Anderson sbarca ufficialmente anche in Italia. Stiamo parlando di The French Dispatch, decimo lungometraggio diretto dall’eccentrico regista statunitense, di cui parleremo meglio nella nostra recensione. Dopo la breve parentesi del film in stop-motion L’isola dei Cani, Wes Anderson riprende da dove aveva lasciato con Grand Budapest Hotel evolvendo ulteriormente nel suo stile e modo di fare cinema. The French Dispatch è un film molto personale, il suo omaggio al giornalismo indipendente e al Paese dove attualmente vive, la Francia. La storia racconta di una fittizia rivista che ha sede in una città inventata della Francia: Ennui-sur-Blasé. Attraverso il racconto di quattro cronisti ci vengono presentate quattro storie completamente diverse tra loro.

Come sempre i film di Wes Anderson vantano un cast sorprendente. Non fa eccezione il suo ultimo dove tornano anche i suoi classici attori feticcio. Da Bill Murray a Frances McDormand, ma anche Willem Dafoe, Adrien Brody, Owen Wilson, Edward Norton, Christoph Waltz, Tilda Swinton, Timothée Chalamet, Benicio del Toro e tanti altri. Soggetto scritto e diretto dallo stesso Anderson che compare anche tra i produttori. Un film con una narrazione particolarmente organizzata che raggiunge tecnicismi a dir poco vertiginosi per complessità ed eterogeneità. In una sorta di effetto Matrioska il nuovo film di Wes Anderson è una storia nella storia, un unico grande dipinto racchiuso da diverse cornici. Tanti gli argomenti toccati, i riferimenti storici e cinematografici in un’opera più personale di quello che si possa credere. Se siete curiosi di conoscere la nostra opinione non vi resta che proseguire con la lettura della recensione di The French Dispatch.

Indice:

The French Dispatch, la recensione – La trama

The French Dispatch of the Liberty, Kansas Living Sun è una rivista americana con sede a Ennui-sur-Blasé, ridente cittadina francese. Alla morte improvvisa del direttore Arthur Howitzer (Bill Murray) la redazione decide di riunirsi per scrivere insieme un necrologio. Attraverso le loro memorie riaffiora pian piano il ricordo di Arthur. Per celebrarlo decidono di pubblicare un ultimo numero della rivista dove riporteranno articoli già scritti e presentati in passato al loro defunto direttore. Ne vengono scelti ben quattro.

Prendono il via allora quattro storie differenti provenienti dalla penna di altrettanti cronisti: Il tour di Sazerac attraverso Ennui-sur-Blasé, Il capolavoro di Cemento di Berenson, Revisioni a un manifesto di Krementz ed infine La sala da pranzo privata del commissario di Polizia di Roebuck Wright. Storie differenti, estremamente personali e maniacalmente dettagliate pronte per essere inserite nell’ultimo numero di una rivista che ha fatto ormai storia.

The French Dispatch, la recensione – Analisi in breve

The French Dispatch è innanzitutto un’opera estremamente personale, una lettera d’amore al giornalismo indipendente ed alla Francia. Wes Anderson si ispira alla storia del The New Yorker, rivista di cui divenne un appassionato lettore già ai tempi del college. Decide di ambientare questa vicenda nel Paese dove ormai vive da anni e che ha da sempre amato, la Francia. Ecco allora che la sua ultima pellicola diventa anche un omaggio alle atmosfere e soprattutto al cinema francese, dalla Nouvelle Vague di Godard, a cui si ispira il terzo racconto, ai gialli polizieschi degli anni 40-50, a cui rimanda irrimediabilmente il quarto ed ultimo episodio. Ma The French Dispatch è molto di più di questo. Osannando la cronaca e il giornalismo, anche rispetto ai tempo moderni dove social e internet hanno preso una larga fetta di competenza della carta stampata, il film si occupa di tematiche e vicende estremamente variegate.

The French Dispatch recensione

The French Dispatch. American Empirical Pictures, Indian Paintbrush

C’è il riferimento all’arte moderna con una velata ed ironica critica anche al mondo speculativo incitato da quei galleristi bramosi di far soldi. C’è il tema delle rivoluzioni studentesche della Francia del ’68, riferimenti al mondo poliziesco, alla nouvelle cuisine, alla trasformazione di una città negli anni e tanto altro ancora. Un racconto  sentimentale e romantico che sposa anche lo stile della commedia, guidato a tratti dall’humour e dall’ironia ma anche da una vena lirica. Vedere The French Dispatch è come aprire una serie infinita di scatole di colore ed aspetto differenti racchiuse a loro volta dentro un unico grande contenitore che dà la forma a tutto. In questa narrazione complessa è difficile trovare un senso unico, si ha più l’impressione di essere di fronte ad un grande mosaico fatto di sensazioni ed emozioni eterogenee. Un’esperienza a dir poco complessa e particolare che può non piacere a tutti.

The French Dispatch, la recensione – Analisi tecnica

Con The French Dispatch dal punto di vista tecnico Wes Anderson evolve ulteriormente. Se in Grand Budapest Hotel la facevano da padroni le dominanti colore, i giochi tra cromie calde e fredde e contrasti tra complementari, qui c’è spazio anche per il monocromatismo. Il film è stato girato in pellicola. Si va da scene piene di colore a quelle più desaturate fino al bianco e nero dei fatti di cronaca. Un bianco e nero brillante che in parte strizza l’occhio al noir. Ma il regista statunitense cerca di superare se stesso ricercando uno stile sempre più unico e ricercato. Non c’è solo il contrasto tra colore e monocromatismo, a volte miscelati tra loro con la desaturazione selettiva, ma in uno dei racconti sono state inserite perfino delle “sequenze anime” in stile fumetto francese. Qualcosa di simile a quello che fece Tarantino in Kill Bill. Per non parlare della scelta del formato, quasi sempre correlata ad un risvolto narrativo, che passa dal widescreen a quello quadrato.

The French Dispatch recensione

The French Dispatch. American Empirical Pictures, Indian Paintbrush

Wes Anderson raggiunge un tecnicismo ancora più complesso di quello visto nel bellissimo Grand Budapest Hotel a cui comunque si ispira moltissimo. Tornano quei fondali piatti e disegnati in colori pastello, la centralità del soggetto nell’inquadratura, la camera fissa ma anche in movimento; la ricerca della simmetria perfetta ma anche dell’asimmetricità in alcune inquadrature. Basterebbe guardare un solo frame per capire che si tratta di un suo film. Guardando The French Dispatch abbiamo avuto la sensazione che il regista si sia voluto spingere oltre ricercando una forma sempre più unica e personale. I frames sono talmente particolareggiati che talvolta ci siamo trovati a non far neanche troppo caso alle battute recitate. Servirebbero almeno due visioni per goderselo appieno. In un certo senso tutto questo “sfrenato estetismo” rischia di far perdere il succo della storia e può anche generare confusione nella scorrevolezza della narrazione, ed il montaggio non aiuta.

Conclusioni

The French Dispatch è il decimo e (al momento) ultimo lungometraggio diretto dal sempre più sorprendente Wes Anderson. Il regista riprende uno stile già perfezionato in Grand Budapest Hotel e compie un ulteriore passo avanti nella sua ricerca della “forma perfetta”. Avvalendosi di una schiera di star ormai sempre presenti nella sua filmografia, Anderson ci presenta un film più personale di quello che sembra. The French Dispatch è la sua dichiarazione d’amore alla Francia ed al giornalismo della carta stampata, a quel modo unico di fare cronaca. L’ispirazione è la rivista The New Yorker di cui è lettore dai tempi del college. Questa volta l’arco narrativo si sposta in anni differenti in un continuo rimbalzo tra presente e passato. Quattro storie principali raccolte all’interno di un’unica cornice, quella della redazione giornalistica del The French Dispatch.

Il film è meraviglioso da guardare e scorre velocemente nei suoi 108 minuti. Le storie toccano argomenti diversi, tutti cari al regista, senza però raggiungere mai vette altissime. Forse è questo quello che principalmente manca a The French Dispatch oltre al fatto che almeno inizialmente la presentazione dei vari personaggi e delle vicende è un po’ confusionaria, complice anche la particolarità del montaggio e dello stile narrativo. Anche per questi motivi non siamo certi che il film possa conquistare un largo pubblico come avvenne invece con altre pellicole. Tanto più ricercato e complesso è il modo di raccontare una storia, tanto maggiore è il rischio di far storcere il naso a qualcuno. Personalmente abbiamo amato ogni singolo frame del film a differenza invece del “peso” della storia generale con delle sfumature quanto meno discutibili come interesse ed impatto emotivo.

The French Dispatch

Voto - 7.5

7.5

Lati positivi

  • Aspetti tecnici
  • Attori
  • Ritmo

Lati negativi

  • A tratti confusionario
  • Storia non particolarmente interessante

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *