L’isola dei cani: recensione della favola moderna di Wes Anderson

L'isola dei cani: ecco a voi la recensione dell'ultimo gioiello di Wes Anderson

Wes Anderson si affida di nuovo alla stop-motion in un film che, al momento, si presenta come uno dei migliori dell’anno. Il regista statunitense torna, con L’isola dei cani, a un genere che nel 2009 gli fece ottenere il plauso della critica. La pellicola, secondo film d’animazione dopo Fantastic Mr. Fox, si presenta come un eccellente lavoro tecnico; il tutto unito, ovviamente, a una trama che canalizza l’attenzione dello spettatore in quella che potrebbe essere definita come una favola contemporanea.

Il film, presentato al Festival internazionale del cinema di Berlino, ha permesso a Wes Anderson di aggiungere al suo Palmarés l’ Orso d’argento per il miglior regista. Noi di filmpost.it vi presentiamo quindi L’isola dei cani: recensione del gioiello in stop motion di un regista eccellente.

L’isola dei cani: recensione della favola moderna di Wes Anderson

Isola dei cani recensione

La trama

L’anno è il 2037. E come in tante delle pellicole che prendono atto in un futuro prossimo, una minaccia ha bussato alla porta. Siamo in Giappone e qui un’influenza canina ha convinto il governo a relegare tutti i cani del Paese su un’isola, prima destinata solo ai rifiuti. Così, quello che una volta veniva considerato il miglior amico dell’uomo, viene ora trattato come una merce non più necessaria; quasi un qualcosa di superfluo, da buttare senza esitazione nel momento in cui la prima difficoltà si palesa.

Ma non tutti si rassegnano a questo destino. Così, il giovane Atari Kobayashi – pupillo del sindaco della città fittizia di Megasaki – decide di disubbidire agli ordini e di raggiungere l’isola per ritrovare il proprio cane. Qui, dove migliaia di cani vivono ormai ridotti a rifiuti essi stessi, il bambino avrà modo di conoscere alcuni membri della razza canina esiliati dal mondo. E saranno proprio alcuni di loro ad aiutare Atari nella ricerca spasmodica dell’amico di un tempo.

L’isola dei cani: recensione – Una storia che sa di contemporaneo

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Wes Anderson si dimostra ancora una volta un regista d’eccezione. Sebbene a un primo sguardo la storia portata sullo schermo possa risultare quasi banale, è impossibile prescindere da alcuni riferimenti – frecciatine, quasi – al mondo contemporaneo; e allo stesso tempo è impossibile non notare il giudizio critico che il regista riserva all’uomo tramite gli occhi dei quadrupedi.

Un elemento che, più che una frecciata, può essere visto come una critica servita su di un piatto d’argento è sicuramente la caratterizzazione iniziale del sindaco della città di Megasaki. L’uomo, della dinastia Kobayashi, ci viene presentato con un’indole senza scrupoli (quasi specchio dei capi di governo e Presidenti vari che popolano oggi il nostro mondo); questo, infatti, è pronto a sacrificare millenni di storia in cui i cani sono stati al fianco degli uomini pur di evitare un rischio. E, così facendo, rilega tutti gli animali nell’Isola senza avvertire il minimo rimorso.

La mancanza di empatia, inoltre, sembra contraddistinguere non solo il sindaco, bensì tutta la razza umana. Le persone, ormai abituate alle comodità del futuro, vivono circondate da strumenti tecnologici e robot; e in virtù di questo iniziano a comportarsi come dei robot loro stessi, lasciandosi alle spalle gli affetti più cari. Al contrario, i sentimenti che hanno reso l’umanità grande sembrano ora essere stati trasferiti ai cani.

Il miglior amico dell’uomo o una minaccia?

Ma i veri protagonisti della storia sono, come il titolo stesso del film suggerisce, i cani. Questi animali – che nella versione originale del film parlano in inglese, a differenza degli umani che parlano in giapponese, a rimarcare ormai la distanza e incomunicabilità tra le due specie – rappresentano il fulcro della storia. E in particolare lo rappresentano i cinque cani che Atari incontra non appena giunto sull’Isola dei rifiuti, i quali decideranno di aiutare il bambino nella sua ricerca.

Ed è questa decisione che ci spinge ad osservare come, mentre gli umani sembra abbiano superato la separazione dall’amico di un tempo, sostituendolo senza problemi con una macchina, i cani vivano ancora nel ricordo di una vita passata. Molti di loro difatti riportano, tramite i propri racconti, frammenti della loro esistenza. Una vita trascorsa al fianco degli umani, che da un giorno all’altro invece li hanno abbandonati.

Ma il virus esiste davvero, e per quanto sia difficile accettarlo i cani sembrano rappresentare davvero una minaccia. Tuttavia la domanda sorge spontanea: questa ghettizzazione, questa prigionia, poteva essere evitata? C’è un modo per curare i cani? E, soprattutto, c’è qualcuno davvero interessato a farlo? Rilegati in quello che ormai è un enorme lager a cielo aperto, i migliori amici dell’uomo sono in attesa della soluzione finale – che di nuovo ci riporta a citazioni contemporanee, tra purghe e stragi.

L’isola dei cani: recensione – Non un mero esercizio estetico

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Il cinema di Wes Anderson è noto per la sua grande maestria tecnica. Che ci si rifaccia a lavori più datati o produzioni più recenti – come il quattro volte premio Oscar Grand Budapest Hotel –, ciò che ha sempre caratterizzato le pellicole del regista è stato uno stile riconoscibile; quasi un marchio di fabbrica, garanzia di qualità. E L’isola dei cani non si discosta da questo ormai consolidato quadro. Tuttavia, per quanto sia facile cadere nel mero esercizio estetico, il secondo film in stop-motion di Anderson rifugia la sola compostezza formale in virtù di un prodotto a 360 gradi.

Così come era accaduto già per Fantastic Mr. Fox – ma qui in maniera paradossalmente più matura – il regista sfrutta a pieno un soggetto geniale. Questo, scritto insieme a Roman Coppola, Jason Schwartzman e Kunichi Nomura, si dispiega in una interconnessione di generi. Segnando uno dei picchi più alti dell’animazione occidentale, L’isola dei cani intreccia il mondo del fantastico al genere dell’avventura, con episodi che spaziano dalla commedia al dramma con una fluidità propria solo dei migliori prodotti del mondo cinematografico internazionale.

La caratteristica ossessione – così potrebbe essere definita – di Anderson per le geometrie non viene qui abbandonata. L’isola dei cani si presenta senza dubbio alcuno come un esempio egregio di tecnica. Tuttavia, e per fortuna, non si limita a quello. La contrapposizione tra uomo e animale, quasi un ritorno alle origini, viene qui ribaltata. Dove l’uomo eccelleva un tempo – nell’empatia, nell’amore, nella solidarietà – oggi fallisce; allo stesso tempo, al suo posto subentra ora il cane, che invece tutte queste qualità non le ha mai perse. E che, anzi, in un mondo in cui sembra essere giunto alla distruzione della civiltà – una civiltà che non sa più comunicare, come risulta evidente dalla incompatibilità linguistica – si pone come il loro maggiore portavoce.

Conclusioni

La nostra recensione de L’isola dei cani non può che concludersi con una promozione a pieni voti. Ci ritroviamo davanti a un film pianificato nei dettagli a livello tecnico; con uno stile peculiare e ammaliante. E contemporaneamente ci troviamo ad assistere a una storia, quella che scorre sullo schermo, che non solo ci tocca l’anima. Una storia, potremmo dire, che ci fa mettere in discussione; non come singolarità, ma come membri di una razza umana che di umano ormai sembra avere ancora ben poco.

E come ogni favola che si rispetti, dunque, L’isola dei cani presenta una morale nascosta in piena luce. Agli occhi di molti, questa sembra essere quasi necessaria, in un mondo che si avvia alla mancanza di empatia più competa. Ma c’è anche chi ritiene la visione di Wes Anderson fin troppo lapidaria; sostenendo che, forse, la nostra umanità non sia poi così da buttare. E voi da che parte state?

L'isola dei cani

Voto - 8.5

8.5

Lati positivi

  • Tecnica invidiabile
  • Storia convincente e con un doppio livello di lettura

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