Il talento del calabrone: recensione del film con Sergio Castellitto

Uno sconosciuto al telefono e una città sotto scacco nel thriller di Giacomo Cimini

Una veduta aerea di una Milano notturna accesa nelle sue mille luci; una città che non dorme mai che ancora non sa che il sonno sta per perderlo per davvero. È con questa immagine dall’alto che si apre Il talento del calabrone, secondo lungometraggio del regista Giacomo Cimini, di cui vi proponiamo la nostra recensione. Sergio Castellitto è protagonista nel ruolo del Calabrone, accanto a Lorenzo Richelmy (Dj Steph) ed Anna Foglietta (il Tenente colonnello Rosa Amedei). Inizialmente previsto per l’uscita in sala lo scorso 5 marzo 2020, Il talento del calabrone è disponibile su Amazon Prime Video da mercoledì 18 novembre. Autore del soggetto è Lorenzo Collalti, che firma anche la sceneggiatura insieme allo stesso Cimini. Il talento del calabrone si inserisce in quel filone del genere thriller che ha al centro uno sconosciuto che per telefono, seguendo un suo piano, tiene sotto scacco i protagonisti.

Negli studi di Radio 105 Dj Steph sta conducendo la sua trasmissione notturna; il pubblico partecipa telefonando in diretta per vincere i biglietti di un concerto. Tutto procede secondo scaletta fin quando Steph prende la chiamata di un ascoltatore che manifesta l’intento di suicidarsi. Il Calabrone – così si fa chiamare lo sconosciuto – scopre le carte di un piano ben più articolato e allarmante. Rivela di viaggiare in macchina per la città portando con sé una bomba; un ordigno in grado di fare una strage. Davanti a milioni di ascoltatori che interagiscono via social, l’uomo trascina Steph in un gioco psicologico inquietante, del quale detta tutte le regole. Per cercare di sventare l’attentato interviene il Tenente colonnello Amedei, che con la sua squadra cerca di prevedere le mosse del Calabrone e scoprirne l’identità.

Indice:

Ho la tua attenzione ora? – Il talento del calabrone, la recensione

“Ho la tua attenzione ora?” chiede il Calabrone a Steph verso l’inizio della telefonata, quando il Dj crede di avere il controllo della situazione. Glielo domanda dopo aver lanciato un segnale tramite un gesto eclatante; il Calabrone fa sul serio, vuole essere ascoltato. La dimensione dell’ascolto – attento, partecipe, empatico – è un elemento fondamentale, nonché componente chiave per la comprensione della vicenda. Il film dissemina diversi indizi in questo senso, ma solo alla fine, quando tutte le carte vengono scoperte, risultano manifesti. Un meccanismo, questo, ben portato avanti nel corso della storia. Nulla è casuale nell’agire del Calabrone, tutto ha una ragione che parte da lontano. In primis la scelta di Steph come unico interlocutore e in seconda battuta la selezione di pezzi classici che richiede durante la trasmissione.

Anche coi brani musicali – scelti in maniera chirurgica – è fondamentale la componente dell’ascolto, dell’attenzione. Senza rivelare troppo delle svolte narrative, ogni richiesta fatta a Steph è dettata da una precisa esigenza, radicata in un passato doloroso. Ed ecco che mentre Steph è cieco, ma soprattutto sordo rispetto ad ogni sollecitazione, il Calabrone ripercorre in una seduta psicoterapica morbosa l’evento traumatico che ha segnato la sua esistenza. E lo spettatore può trarre le sue conclusioni, farsi la propria idea sul Calabrone e sull’intera vicenda. Anche sotto questo aspetto ci si trova di fronte a una scelta interessante, che punta su un coinvolgimento partecipe dello spettatore, chiamato a sua volta a prestare tutta l’attenzione di cui è capace.

il talento del calabrone trailer

Il talento del calabrone. Paco Cinematografica, Atica Cuarzo Innova, Eagle Pictures

Analisi – Il talento del calabrone, la recensione

Collalti sviluppa un soggetto la cui caratteristica più evidente non è di sicuro l’originalità. In Italia questa tipologia di thriller non va certo per la maggiore; basta tuttavia guardare oltreoceano per trovarsi di fronte vari modelli di riferimento in tal senso. Collalti e Cimini guardano a questi modelli e scrivono la sceneggiatura tenendoli bene a mente. Il risultato, in alcuni punti del racconto e nella scrittura dei personaggi, però, è deludente; soprattutto in termini di credibilità. La volontà dello spettatore di lasciarsi andare alla sospensione dell’incredulità è messa a dura prova da alcune trovate oggettivamente poco giustificabili. Una su tutte riguarda l’attuazione pratica – concreta di una parte del piano del Calabrone che, senza svelare troppo, coinvolge un’auto e l’ultimo piano di un grattacielo affollato. Sul fronte personaggi, l’unico che funziona è quello del Calabrone; un villain colto, sofisticato, distrutto dal dolore e senza niente da perdere.

Un ritratto piuttosto classico, che accostato alle corde interpretative di Castellitto funziona molto bene. I problemi sorgono col personaggio di Dj Steph e, soprattutto, con quello del Tenente colonnello Amedei. Il primo è un concentrato di cliché e stereotipi, scialbo nella prima metà e appena più interessante sul finale, quando emerge il suo lato più umano. Quello di Rosa Amedei, invece, è un personaggio sbagliato; a tratti addirittura ridicolo. Pronuncia battute nemmeno lontanamente vicine a quello che direbbe una persona vera e non è mai credibile. Quanto alla caratterizzazione, le trovate sono goffe e ingenue, perfino imbarazzanti. Una figura che non rende giustizia alle doti attoriali di Anna Foglietta che dal canto suo non fa nulla per risollevare le sorti della protagonista femminile de Il talento del calabrone, come vedremo meglio nel prossimo paragrafo della nostra recensione.

Considerazioni tecniche

Per quanto riguarda le interpretazioni degli attori, qui il talento è effettivamente tutto appannaggio del Calabrone. Sergio Castellitto è presenza salvifica all’interno del film e riesce a far suo un villain dai tratti classici e ampiamente codificati. Raffinato e malinconico, proprio come il suo Calabrone, Castellitto è il pregio maggiore del film. Lo stesso discorso non si può fare né per Lorenzo Richelmy né – e questo spiace ancor di più – per Anna Foglietta. Sia Richelmy che Foglietta recitano calcando la mano sul fronte dell’overacting, sintonizzando la loro prova sulla frequenza del sopra le righe.

I numerosissimi piani d’ascolto attoniti imposti dallo script alla Foglietta (esterrefatta, ma mai quanto lo spettatore), poi, fanno rimpiangere persino le battute più trite e stanche; come “ti faccio saltare le cervella”, tanto per fare un esempio. La durata, la gestione dei tempi narrativi e il ritmo de Il talento del calabrone sono invece lati positivi da tenere in considerazione. 84 minuti rappresentano una durata perfetta per la storia in questione; una durata in cui i tempi sono ben gestiti e il ritmo è sempre sostenuto e incalzante. Complice anche un montaggio agile, che si sposa perfettamente con la linearità della narrazione.

il talento del calabrone trailer

Il talento del calabrone. Paco Cinematografica, Atica Cuarzo Innova, Eagle Pictures

Conclusioni – Il talento del calabrone, la recensione

Il talento del calabrone è un film che non convince e che non si può pensare di promuovere per il solo fatto di proporre qualcosa di nuovo nel panorama cinematografico nostrano. Anche perché, analizzando freddamente, il film di Giacomo Cimini di nuovo porta poco o niente. Il talento del calabrone porta piuttosto una serie di cliché, stereotipi e luoghi narrativi già visti rimaneggiandoli appena; il tutto senza aggiungere alcunché di inedito, senza estro creativo, senza alcuna visione personale. L’unico meritevole di promozione a pieni voti è Sergio Castellitto, protagonista di alcuni momenti davvero notevoli e che infonde linfa, personalità al suo tormentato villain.

La scrittura del personaggio del Calabrone non brilla certo per originalità, ma Castellitto è così bravo da farcelo dimenticare. Ed è sempre grazie alla sua interpretazione che riusciamo ad entrare in empatia con un cattivo dai lati così oscuri; a simpatizzare, nel senso etimologico del termine, con lui. In conclusione, se si è in cerca di un film italiano che si distingua e abbia qualcosa di nuovo da dire meglio rivolgersi ad altro (a Favolacce, per fare un esempio). Se invece si cerca un bel thriller, meglio rimanere nella comfort zone hollywoodiana. Si può senza dubbio apprezzare il tentativo di portare questo genere in Italia, ma non si può lasciar passare l’averlo fatto in un modo così poco ispirato.

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Il talento del calabrone

Voto - 5

5

Lati positivi

  • Il personaggio del Calabrone e la prova di Sergio Castellitto

Lati negativi

  • Il personaggio e la prova di Anna Foglietta
  • Dialoghi poco credibili e lontani dalla realtà

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