La Grande Bellezza – Recensione del film di Paolo Sorrentino

Ecco la recensione de La Grande Bellezza, il film di Paolo Sorrentino con Toni Servillo, Carlo Verdone e Sabrina Ferilli

La Grande Bellezza: recensione del film di Paolo Sorrentino che ha sempre diviso fortemente il pubblico fin dalla sua uscita nel 2013. Tanto apprezzato dalla critica americana, non si può dire lo stesso di quella italiana, che troppo spesso lo ha etichettato come un film pretenzioso per pseudo-intellettuali. Troppi anche gli scomodi paragoni con La Dolce Vita, come se La Grande Bellezza non fosse nient’altro che un tentativo mal riuscito di copiare il grande genio di Fellini. Il film di Sorrentino però vive di vita propria e splende nel trasmettere la lucentezza di un messaggio sì nascosto, ma rivelatorio a tal punto da provocare una forte presa di coscienza nello spettatore.

Interpretato da un superlativo Toni Servillo affiancato da Carlo Verdone, Sabrina Ferilli e Carlo Buccirosso, il film ha ottenuto numerosi riconoscimenti tra cui spicca sicuramente l’Oscar come miglior film straniero nel 2014. Vincitore di un Golden Globe e di un BAFTA sempre nella stessa categoria, l’opera di Sorrentino vanta anche di quattro European Film Awards, nove David di Donatello e cinque Nastri d’Argento.

Indice

La Grande Bellezza, Recensione del film di Paolo Sorrentino

La trama

La Grande Bellezza è un film labirintico, bellissimo ma insidioso, che mostra il disfacimento di un’epoca, dove sono la vuotezza dei valori e il vizio a farla da padrona. Questo non è un film sull’Italia, ma è un film sulla religione, sulla morte, sul sesso e sul potere, sulla dissoluzione della storia. Ma soprattutto è un film sul tempo. Quel tempo che troppo spesso ci lasciamo sfuggire dalle mani, per ritrovarci solo in compagnia del ricordo e della nostalgia. Quel tempo che prima o poi ci mette davanti al resoconto delle nostre vite, spesso non così piene e soddisfacenti come cerchiamo di raccontarci.

Jep Gambardella (Toni Servillo), ha sessantacinque anni e la sua persona sprigiona un fascino che il tempo non ha potuto scalfire. È un giornalista affermato che si muove tra cultura e mondanità, ma che non ha più parole per la stesura di un secondo romanzo. Nel suo viaggio incontrerà dame dell’alta società, parvenu, politici, criminali d’alto bordo, giornalisti, attori, nobili decaduti, alti prelati, artisti e intellettuali veri o presunti. Jep assiste alla sfilata di un’umanità disfatta e deprimente all’interno di una Babilionia perduta, rappresentata magnificamente dalla bellissima e indifferente Roma. Tutta la fatica della vita viene trasformata in un distratto divertimento. Un’atonia morale da far venire le vertigini.

Ritrovare sé stessi in un circo di mostri

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Sorrentino riesce a esprimersi attraverso un Toni Servillo maestoso nel ruolo di Jep Gambardella, interpretato con molta eleganza e sempre contrassegnato da un sorriso che è un misto di malinconia e rassegnazione. Allo scattare dei suoi 65 anni, Jep decide che è tempo di bilanci esistenziali, che pongono il suo vissuto sotto la luce dell’avvenire, della ripetitività dei suoi giorni, della morte. Il bilancio è negativo, Jep inorridisce al pensiero delle velleità e delle menzogne che lo hanno circondato, ma al tempo stesso ha accettato la vita per come è, facendosi quasi sconfiggere da essa. Nel corso del film però getterà la maschera di “re dei mondani”, cercando di ritrovare sé stesso in quello che sembra essere un circo di mostri.

Proprio in quel circo tanto caro a Fellini, rappresentato egregiamente da Sorrentino, capace di inscenare una perfetta società dell’apparenza; società popolata da persone imprigionate in vite insoddisfacenti, che nascondono a sé stesse di condurre una vita vuota dietro il velo dell’opulenza e della mondanità. Queste persone vagano alla ricerca del nulla, creando un inquietante teatro picaresco, che tornerà più volte nel corso della pellicola.

La ricerca del vuoto

Non è casuale la ricerca del vuoto da parte di Sorrentino, perché è proprio quel vuoto, quel niente sul quale Flaubert avrebbe voluto scrivere un romanzo, che permette al regista di porre attenzione all’interiorità dei personaggi. È in questo contesto che Jep Gambardella riconsidererà tutto ciò che ha fatto, ciò che ha perso, tutti gli elementi della sua crescita personale, dall’“irrilevante romanzetto giovanile” all’unico amore della sua vita: Elisa, la cui morte lo getterà ancora più nello sconforto.

L’unica cosa capace di colmare questa vita è la spiritualità, non nel senso religioso del termine, ma intesa come ricerca di sé stessi. Il solo contraltare infatti a questa società frenetica e ipocrita è rappresentato dalla figura della Santa, estranea allo sfarzo e alla mondanità. Sarà proprio la santa a provocare una catarsi in Jep, facendogli capire come la grande bellezza sia qualcosa che si possa soltanto sentire, soltanto amare. Jep alla fine troverà la sua grande bellezza, comprendendo che la sua opportunità di vivere di sentimenti è ormai passata, portata via dall’unica donna che abbia mai amato, Elisa.

Roma, pietra del sacrificio

 

Un’intensa e spesso sorprendente festa cinematografica che rende onore a Roma in tutto il suo splendore e la sua superficialità.

Molti critici si sono interrogati se, tra le tante cose, La Grande Bellezza fosse un film anche su Roma. Sicuramente Roma è al centro della pellicola di Paolo Sorrentino, ma sarebbe meglio dire che si tratti di un film su come un personaggio come Jep veda la città. Ne emerge una città ideale, dove si apre il confronto tra la bellezza monumentale e la bellezza della volgarità decadente.

Sorrentino inoltre è magistrale nel costruire un doppio della città eterna. Durante il film, è possibile infatti ammirare la Roma mondana e chiassosa, ma anche la Roma tranquilla e quasi addormentata, ammantata di poesia. È particolare e interessante come Sorrentino operi un’inversione totale della città. La Roma caotica e chiassosa infatti è la Roma notturna, quando si ricopre di mondanità e di feste troppo spesso volgari. Al tempo stesso, di notte la città si riveste però di una bellezza estetica difficilmente riscontrabile in altri film, creando qualcosa di simile alla Parigi di Midnight in Paris. La Roma diurna invece è assopita, stanca, in rovina, ma dove la vera rovina sono le persone che vivono nel presente.

La Grande Bellezza non poteva avere migliore scenografia di Roma, l’unica città dove la storia si è sempre manifestata in strati sovrapposti. Quel Colosseo spesso presente, quei fori imperiali protagonisti di molte inquadrature, non sono solo specchietti per il pubblico americano, ma sono simboli di una grandezza perduta, della pietra del sacrificio, del martirio che Roma, più di ogni altra città, rappresenta. Roma è la grande bellezza che ci sfugge da sempre, ma comunque capace di confortare il protagonista grazie al suo splendore e superficialità.

Che cos’è La Grande Bellezza?

La Grande Bellezza è quell’amore rappresentato da Elisa, che torna più volta malinconicamente nei ricordi di Jep, come qualcosa di ormai passato e inafferrabile. È Roma, una città sdoppiata e capovolta nella sua bellezza tale da creare timore nello spettatore. È tutto ciò che si eleva al di sopra del vuoto e dell’assenza di significato. Ma è anche ciò che rimane a uno scrittore privato del suo verbo.

Jep infatti è prigioniero di un soliloquio lungo trenta anni, in cui considera ciò che lo ha sempre differenziato dagli altri. Egli rappresenta la poesia e l’arte che, nella società svuotata di contenuti, sono represse da tanta straripante superficialità. Come si può essere artisti in una realtà dove vengono applaudite donne che prendono a testate un muro? Come si riconosce la vera arte, quanto tutti sono critici ed esperti? Se non si è capaci di produrre questa bellezza, bisogna almeno imparare ad apprezzarla e a proteggerla. Ma Gambardella non si fa illusioni, non sarà lui il salvatore.

Ecco che la grande bellezza allora diventa l’assenza di essa, o meglio si tramuta in un tentativo da parte di Sorrentino di cercare anche la bellezza nello squallore, debitore della lezione de La Dolce Vita di Fellini. Quella bellezza assente nelle feste, nei personaggi patetici e falsi, nella perdita d’identità. Bellezza. Nella nostalgia, nella paura, nel passare del tempo. Perfino nelle macerie. Che non sono rovine, ma prove, pezzi di qualcosa che non si sono lasciati dimenticare. E restano nei quadri così come nelle pellicole.

Sorrentino poeta visivo

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Sorrentino è un poeta che parla per immagini, dando vita ad un’esperienza estetica ed edonistica. Il regista dà vita non a un film, ma a un’opera d’arte che si ammanta non solo di pura estetica, ma di poetico contenuto. Egli riesce a dare all’opera una profondità difficilmente riscontrabile nel cinema italiano contemporaneo, toccando numerose tematiche senza scadere nella banalità.

I movimenti di macchina sono dinamici, cadenzati, sinuosi, spesso con cambi di velocità e angolazione che danno una piacevole sensazione di vuoto, quella che ti lascia senza fiato. Il montaggio è delicato, non ci sono mai tagli bruschi. Anche la fotografia di Luca Bigazzi merita una nota d’onore. L’utilizzo della luce, il contrasto, il cromatismo verso il giallo ocra, riescono a creare perfettamente l’atmosfera di una città eterna, ma tristemente morta.

Sorrentino narratore

La più consistente scoperta che ho fatto pochi giorni dopo aver compiuto sessantacinque anni è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare.

Sorrentino si dimostra però, ancora una volta, anche un grande narratore. Ne La Grande Bellezza non assistiamo solo a immagini meravigliose ed evocative, ma anche a monologhi poetici, parabole, disillusioni, narrando di quella parte di Italia in cui nessuno vuole riconoscersi. Egli esprime un cinema in cui ci si distacchi dalla realtà e dalla semplicità del dialogo parlato, attraverso un parlato quasi letterario accompagnato da una tagliente ironia.

Il più grande pregio di Sorrentino è stato quello di inserire l’io in ogni personaggio, emozione, scena, dettata dal suo occhio biografico. Il regista è bravo nel creare una narrazione che non vive di grandi ascese, ma che si illumina di un simbolismo più o meno esplicito. Elegante e sofisticato, il messaggio di Sorrentino non è facile da cogliere, saturato e soffocato dalle parole, ma è presente e molto forte.

I personaggi di Sorrentino sono ancora una volta anime vaganti, sole e frustrate, immerse in un alternarsi vorticoso di personaggi eccentrici e stilizzati. Un nulla umano che si nasconde dietro una patina di finti intellettuali, in una società sul baratro che fa dell’ipocrisia la sua arma più forte. Spesso dietro a tutto ciò non si nasconde nulla, solo la pura contemplazione e il piacere della tragedia. Ed è forse questa la vera tragedia.

Conclusioni

La Grande Bellezza: recensione di un film potente che indaga la profondità dell’essere umano. È un film sull’essere umano, lo analizza, lo scompone e ce lo mostra nella sua interezza, richiamando proprio l’unico romanzo scritto da Jep Gambardella “L’apparato umano”. Tratta della parabola di uno scrittore che non ha più parole, ma che alla fine deciderà di ritornare a quelle famose “radici” di cui parla la Santa, trovando così la forza di iniziare un nuovo romanzo. Dalla disperazione, dal vuoto, dall’inettitudine, nasce così la speranza che ancora qualcosa di valido, di grandiosamente bello possa esistere ancora.

I richiami al La Dolce Vita e all’ 8 ½ di Fellini sono presenti ed evidenti in alcuni punti, ma La Grande Bellezza è un film che non solo vive di vita propria, ma provoca alla fine un senso di pace, una certa commozione. Il tempo darà ragione a quello che è un vero manifesto estetico, un manifesto che nella sua inafferrabilità è stato in grado di utilizzare il mezzo cinema in tutta la sua potenza.

La Grande Bellezza

Voto - 8.5

8.5

Lati positivi

  • Profondità difficilmente riscontrabile nel cinema italiano contemporaneo
  • Toni Servillo monumentale
  • Cura estetica maniacale
  • Colonna sonora di Lele Marchitelli molto oculata
  • Fotografia di Luca Bigazzi eccezionale

Lati negativi

  • A volte rischia di cadere nell'autocelebrazione visiva
  • Si perde a volte in vortici di parole non sempre funzionali

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2 commenti

  • Stefano Mantini ha detto:

    Ottima recensione per uno dei capolavori del cinema italiano, ma soprattutto un film che parla di tutti noi e di quanto ci sia bisogno di vera bellezza e di grande amore!

  • Andrea Fanti ha detto:

    Recensione perfetta, di cui condivido ogni parola, per un film indimenticabile e leggiadro. Non posso fare a meno di riguardarlo due o tre volte all’anno, esattamente come mi capita con La Dolce Vita.

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