La Tenerezza: apprendere l’affetto per conseguire la felicità.

Il gradito ritorno di Gianni Amelio è un film asciutto e denso, un tuffo al cuore per animi sensibili.

Lorenzo è un vecchio principe del foro in pensione, nonché vedovo e padre di Elena e Saverio, interprete l’una e fannullone l’altro, con i quali ha un pessimo rapporto. Fabio e Michela, con prole annessa, sono i nuovi vicini di casa del solitario avvocato. Si incrociano, si conoscono, si accolgono; ma una tragedia incombente è pronta a sconvolgere completamente le loro vite.

La Tenerezza: apprendere l'affetto per conseguire la felicità.Anni complessi gli ultimi di Gianni Amelio! Lo avevamo lasciato al 2013, quando fu inaspettatamente e brutalmente frustato dalla critica della Biennale di Venezia, dove era in concorso con L’Intrepido, accusato, in maniera francamente eccessiva e per me ingiustificata, di smaccato buonismo frammisto a moralismo. Poi, nel 2014, arrivò il liberatorio coming-out e la produzione di un semi-documentario sull’omosessualità, Felice chi è diverso. Adesso, almeno per gli appassionati, era inevitabile un’attesa spasmodica per il ritorno di questo signore del cinema al lungometraggio di finzione, con la speranza, andata purtroppo infranta, di vederlo sfilare sul red carpet dell’imminente Festival di Cannes.

Dispiace ancora di più questa esclusione a visione avvenuta, perché l’ultimo film di Amelio è decisamente riuscito. Liberamente tratto dal romanzo La tentazione di essere felici di Lorenzo Marone, La Tenerezza è un film notevole sia per la sua parte tecnica, con una nota di merito alla cura della fotografia affidata al grande Luca Bigazzi, sia per il suo contenuto. Parlare di famiglie disfunzionali non è certo una novità al cinema e soprattutto non lo è in territorio italiano, dove questo è sicuramente uno degli argomenti più quotati, da Muccino in avanti. Tuttavia, il regista riesce a indagare con una delicatezza rara quella strana assenza di sentimenti che caratterizza i personaggi in campo. È una giostra di cuori soli e raggelati, dal dolore per ciò che avrebbe potuto essere e non è mai stato, dal rimpianto per le persone che avrebbero potuto essere e non sono mai state. Non è un caso che Lorenzo e i misteriosi novelli inquilini del palazzo abbiano un balcone in comune; questo permette loro di annusarsi a distanza per poi sfiorarsi da vicino con dolcezza. Infatti, la sceneggiatura si basa su un vero e proprio gioco di specchi. L’anziano misantropo si riflette in quella giovane famiglia acerba e già troppo infelice, rivede il proprio vissuto e si propone una missione vitale: rimediare al proprio passato guasto e ingombrante nella memoria, accogliendo nel presente la muta ed eloquentissima richiesta d’aiuto negli occhi tristi della sua dirimpettaia.

La Tenerezza: apprendere l'affetto per conseguire la felicità.È un’umanità complessa e problematica quella qui rappresentata, motivo per cui era necessario un cast di caratura decisamente elevata. Protagonista assoluto il grande Renato Carpentieri, poco sfruttato al cinema ma meritevole di spazi decisamente più ampi; e intorno a lui una schiera di comprimari d’eccezione. Da applausi la coppia di Elio Germano e Micaela Ramazzotti, di nuovo riunita dopo Tutta la vita davanti di Paolo Virzì. Lui riesce in poche scene a trasmettere chiaramente la fragilità di un bambino diventato adulto troppo presto, ma ancora costantemente alla ricerca di un’infanzia mai avuta e irrimediabilmente perduta (dovesse anche pagare 500 euro per un camioncino dei pompieri!); lei è convincente anche solo grazie al suo sguardo smarrito e all’aggraziata maniera con cui inclina la testa. Indimenticabile, infine, lo straziante monologo di Greta Scacchi, mater dolorosa smarrita ma non realmente stupita, che, con un’unica scena, prenota la candidatura da non protagonista ai prossimi David di Donatello.

Non è sicuramente una pellicola semplice, né si propone di certo di incontrare il favore unanime del pubblico. Infatti, pur ricordando per certi versi il cinema di Ozpetek (in particolare La finestra di fronte e Un giorno perfetto), è comunque l’opera di un professionista d’altri tempi, per cui inevitabilmente risente a tratti di uno stile retrò ed eccessivamente lineare, che purtroppo rischia di intaccare il ritmo narrativo.  Tuttavia, nonostante ciò, il nostro regista sa come toccare le corde giuste e, quando lo fa, arriva dritto al punto, facendo scattare una sincera commozione. Intelligente anche la scelta di ambientare la vicenda in una Napoli borghese e inedita all’immaginario collettivo, alimentato dalle pallottole del recente Gomorra: qui Napoli è un luogo medio, una città normale fatta semplicemente di gente normale. Perché, in fondo, qui Amelio parla di tutti noi: falliti e sognatori, vittime e assassini, giovani infelici anzitempo e vecchi delusi dal proprio tempo quasi terminato. Si rivolge ad un’umanità sull’orlo di una crisi di nervi e invita con forza a riscoprire il potere salvifico della tenerezza, unica cura possibile per volti troppo spesso incapaci di sorridere.

<Mi chiedono di tradurre parola per parola, ma non è così che si dovrebbe fare. Dovremmo essere in grado di tradurre il tono della loro voce, il fiato, lo sguardo, quello che hanno nella testa>.

La Tenerezza: apprendere l'affetto per conseguire la felicità.

Il gradito ritorno di Gianni Amelio è un film asciutto e denso, un tuffo al cuore per animi sensibili. - 8

8

The Good

  • Una sceneggiatura ben congegnata e diretta, accompagnata da un cast perfettamente aderente ai propri personaggi.

The Bad

  • Una struttura narrativa figlia di un modo antico di concepire il cinema. Il risultato è un ritmo alle volte lento e poco fluido.

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