Squid Game 3: recensione della serie Netflix

Una conclusione imperfetta, ma d'effetto per una serie che è stata ostacolata dal suo stesso successo

Squid Game arriva alla sua conclusione dopo un debutto inizialmente passato in sordina e poi esploso in un successo mondiale, la serie di Netflix rappresenta fino alla fine un’eccezione. Nessuno si aspettava il successo a livello mondiale che, e lo confermano gli ultimi minuti del finale, sarebbe diventato un vero e proprio franchise. Come non ci si aspettava, visti i precedenti di Netflix, che effettivamente si mantenesse la promessa di farla durate tre stagioni, con una pausa tra la seconda e quella conclusiva di appena una manciata di mesi.

Fin dal debutto, la domanda che è rimasta sospesa nell’aria è come si sarebbe conclusa. Premesso che la prima stagione poteva benissimo chiudere la serie, la scelta di rinnovarla per altre due stagioni ha dato ovviamente più spazio e più tempo per evitare un finale aperto e alcune questioni lasciate in sospeso. Nel complesso, Squid Game mantiene la parola data e ci lascia con un ritorno alle origini.

Indice

Ritorno alle origini – Squid Game 3, la recensione

Squid Game.

Squid Game. Siren Pictures Inc.

Questa terza stagione sancisce un ritorno alle origini. Nella precedente stagione era stato criticato il non portare nulla di nuovo, il ricalcare uno schema che aveva portato al successo senza avere il coraggio di muoversi da lì. Nei precedenti episodi non veniva portato nulla di nuovo, ma anche gli elementi già presenti non erano così solidi. Queste nuove puntate fanno un cambio di rotta e si concentrano più su quello che hanno allestito, sul chiudere tutte le storyline e su rimarcare i messaggi con cui Squid Game era nata.

Della seconda stagione si è detto che non colpiva nel segno, con una struttura narrativa che richiamava la prima stagione in un tentativo di ricreare le dinamiche tra i personaggi e l’empatia che si era instaurata tra personaggi e pubblico. Questa ultima stagione riesce a ricreare quelle atmosfere, quelle sensazioni grazie ad una narrazione che fa un passo indietro e che piuttosto che cavalcare l’onda del successo, si focalizza – per la maggior parte – sulla linearità, sul condannare un sistema capitalista che è sempre più violento e crudele.

Non siamo cavalli – Squid Game 3, la recensione

Squid Game.

Squid Game. Siren Pictures Inc.

Ora più che mai i VIP sono al centro della narrazione. Li avevamo visti, capricciosi e annoiati, solamente al finale della prima stagione, in cui vestivano i panni degli spettatori passivi. In queste nuove puntate, al contrario, diventano una parte attiva, il loro giubilo diventa protagonista, l’ago che fa muovere la bilancia. Peccato per la scelta degli attori che non risulta azzeccata e per una recitazione teatrale che appare fuori luogo, innaturale, rarefatta.

Squid Game torna ad essere cinico, meno focalizzato sull’estetica e sui giochi – che comunque non mancano – e più sul concetto di umanità e di potere. Il giocatore 456, sebbene il suo screentime sia ridotto a favore di altre storyline, continua ad essere il centro focale, il personaggio attorno a cui girano attorno tutti i significati della serie. Le dinamiche tra i personaggi che erano il punto focale della prima stagione – e che erano deboli nella seconda – tornano al loro antico splendore. La cura per la caratterizzazione è molto semplice, lineare e divide i personaggi tra buoni e cattivi in cui manca un vero e proprio personaggio dalla personalità ambigua come lo era Cho Sang-woo.
Il cinismo è dimostrato anche dai giochi che si fanno ancora più crudeli e che enfatizzano le paure dei giocatori, li mette in condizioni di estrema ansia e terrore in cui la loro umanità, o l’assenza di essa, prende il sopravvento.

Pensieri finali – Squid Game 3, la recensione

Squid Game.

Squid Game. Siren Pictures Inc.

Un’estetica che richiama l’infanzia e dai colori saturi che si sposa con un alone di morte che pervade tutta la serie, una scrittura cedevole ad alcuni tratti, ma che è sorretta da tematiche attuali, protagonisti sfaccettati e interpretati da un ventaglio di attrici e attori (almeno quelli coreani) che riescono ad elevare i loro personaggi. Squid Game rimane comunque una serie imperfetta. Tutta la parte di ricerca dell’isola da parte del poliziotto Hwang Jun-ho è poco sfaccettata e molto monotona, utile solamente a raggiungere il minutaggio richiesto per ogni puntata; come già accennato, i VIP, i veri villain della serie, sarebbero state delle macchiette perfetti, degli stereotipi ambulanti crudeli e chiusi nella loro bolla di ricchezza e privilegio se solo avessero avuto degli attori all’altezza.

I dubbi rimangono, soprattutto di fronte alla volontà di uno spin-off americano preceduto del reality statunitense che ne riprendeva il concetto, ma non l’anima e da una seconda stagione traballante a causa del successo inaspettato. Solo il tempo saprà dirci se il passaggio di testimone sarà un successo o una delusione, quel che è certo è che il finale di Squid Game conclude una serie non perfetta e che è stata ostacolata dal suo stesso successo.

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Squid Game 3

Voto - 7.5

7.5

Lati positivi

  • La scrittura e le dinamiche tra i personaggi
  • Una conclusione coerente

Lati negativi

  • La storyline di Hwang Jun-ho e della ricerca dell'isola
  • Gli attori che interpretano i VIP sono troppo teatrali
  • Il successo della serie è stata il suo stesso freno

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