The Rolling Thunder Revue: recensione del documentario di Scorsese

Recensione di The Rolling Thunder Revue: documentario Netflix diretto da Scorsese sul leggendario tour di Dylan

The Rolling Thunder Revue: recensione. Cosa accade quando Dylan incontra Scorsese? Lo abbiamo già visto per ben due volte: nel ’78 con il docufilm L’ultimo Valzer e nel 2005 con No direction Home. Stavolta il connubio ci è proposto da Netflix. L’America che vediamo è un quadro scontornato, accompagnato dalle note delle canzoni più famose del menestrello del Minnesota. Gli anni ’70 diventano un mix di realtà e finzione che coinvolge Dylan e la sua carovana. Vediamo e sentiamo molte cose nelle due ore e venti che Scorsese ci regala: estratti originali delle riprese del concerto e dichiarazioni odierne.

Netflix opera una scelta forse non popolare: produrre un documentario di più di due ore su un cantante che non è più nel suo momento di massimo splendore. Il risultato in termini di quantità di visualizzazioni non sarà incredibile, quello complessivo dell’opera sì. Gran parte del merito è delle canzoni di Dylan, che vediamo in versioni live tratte dai vari concerti del tour. Scorsese non si limita a girare un documentario di tributo, però, inserendosi in qualche circostanza. I due giocano, e aggiungono con fantasia elementi a quella che sarebbe comunque stata una meravigliosa storia.

Indice:

Come, dove, quando

Siamo negli Stati Uniti, negli anni ’70. Bob Dylan non era ancora l’icona della musica che è oggi, ma aveva già scritto gran parte dei suoi maggiori successi. Dylan scelse di organizzare un tour di concerti molto particolare, con l’intento di stare a contatto con le persone. La sua volontà era quella di suonare in piccoli auditori per creare un legame più intimo con i suoi fan. Non era solo, ma si fece seguito di cantanti suoi amici come Joan Baez, Roger McGuinn e Joni Mitchell, a cui si unirono artisti coinvolti nelle varie tappe, come la violinista Scarlet Rivera. Il tour prese il via nel 1975 con la fase nordamericana, cui seguì l’anno successivo quella nel sud.

Il nome del tour doveva inizialmente essere Montezuma, ma Bob scelse il nome effettivo in una giornata di tempesta, nella quale si susseguirono numerosi tuoni. Quando gli dissero che Rolling Thunder per gli indiani significa “dire la verità”, Dylan capì che era il nome perfetto. I cantanti si dichiarano ignari del fatto che questo nome fosse stato scelto anche da Nixon per indicare i bombardamenti in Cambogia. La prima tappa della carovana fu a Plymouth, dove i padri pellegrini sbarcarono con la MayFlower. Il ruolo dei cantanti era simile a quello dei Padri Pellegrini: portare luce e, soprattutto, musica anche nei luoghi meno importanti del paese.

Nel ’76 il tour si chiude senza aver portato eccessivi guadagni a detta dell’organizzatore. Ma la stella di Dylan, contrassegnata dalla faccia dipinta di bianco di questo tour, è destinata a salire ancora molto nel firmamento musicale.

The Rolling Thunder Revue recensione

The Rolling Thunder Revue: recensione – Nessun ricordo

L’inizio di questo documentario è, a suo modo, confuso. Non è una confusione sintomo del non saper mettere insieme il materiale a disposizione, ma deriva dalla volontà di entrare nella testa di un artista. Lo spettatore deve realizzare che non sta osservando un semplice racconto, ed entrare nell’ottica di mettersi in relazione con l’arte. Il tutto si apre con le immagini di The Vanishing Lady, di Melies: celeberrima sequenza degli esordi degli effetti speciali. Il quadro inizia così: una pennellata di antico stupore, per prepararci al moderno splendore. Lo splendore in questione è rappresentato dalle Torri Gemelle di New York, cui fanno seguito delle parole di Nixon, inquadrato mentre fa il discorso alla nazione per il bicentenario degli Stati Uniti: 1976.

Chi può chiudere questo trittico che così bene descrive gli anni ’70 americani? Bob Dylan, ovviamente. Mr Tambourine Man è la prima canzone che sentiamo, ballata che descrive la personalità del cantante. Il passaggio dagli anni ’70 ad oggi è repentino, come un arpeggio musicale, ed eccolo là: sullo schermo appare di nuovo Bob, quello di oggi. Il cantante è in difficoltà nel tentativo di ricordare l’essenza del Rolling Thunder, che afferma non esistere. Dylan afferma che il tutto è descrivibile in modo molto vago, dal momento che è successo 40 anni prima, quando non era neanche nato. Ovviamente la finzione parte da questo: Dylan sa che la sua leggenda inizia con quel tour, e infatti aggiunge una chiosa a questo primo intervento.

“La vita è creare se stessi e creare cose”. Non sembra una frase originale, ma Dylan la mette lapidariamente tra le prime battute di questo documentario. Eccola l’essenza di Rolling Thunder, che aveva poco prima sminuito. L’America sarà segnata da questa carovana di artisti, lo dimostra il riscontro a livello di pubblico di ogni concerto e l’ammirazione che ne ebbero anche personaggi di spicco.

Musica e finzione

Come detto, stavolta Scorsese non si limita a raccontare un tour rendendolo epico ma cerca di inserirsi nella narrazione. I più attenti fan di Dylan se ne saranno accorti, non tutto torna. Era chiaro dall’inizio, quando lo stesso cantante sostiene di non ricordare nulla, cosa in realtà quasi impossibile vista l’importanza culturale rivestita dal tour. Emblema di questa aggiunta di elementi fittizi è l’inserimento di Sharon Stone, per la quale si inventa un ruolo di costumista e truccatrice in quella carovana, oltre che ad una storia fantasiosa di un incontro con Dylan. La storia regge, di per sé, ma in nessuna inquadratura dei dietro le quinte appare mai l’attrice. Altro elemento fantasioso è espresso dal vecchio Michael Murphy, che torna a vestire in modo estremamente efficace i panni del politico fittizio Jack Tunner, inventato da Altman nell’ ’88.

Perché Scorsese fa questo? Vi chiederete giustamente. La risposta è che il regista probabilmente vuole scherzare con Dylan e ricamare attorno alla storia di questo tour leggendario. Dove non arriva il ricordo arriva la finzione cinematografica, ammesso che il non ricordare non sia già di per sé finzione. Ovviamente il documentario parla di un tour di concerti, e gran parte del minutaggio è dedicato alle canzoni. Si va da Isis a a hard rain’s gonna fall, da Just like a woman alle leggendarie Knocking on Heaven’s door e Blowing in the wind. La musica è veramente la protagonista del documentario, sia sul palco che, in maniera molto più interessante, dietro le quinte, dove gli artisti si raccontano a parole e con canzoni.

Un posto speciale è dedicato ad Hurricane, canzone che racconta di una condanna ingiusta inflitta ad un pugile, per la cui liberazione Dylan è stato fondamentale. The Rolling Thunder Revue è stato un fenomeno musicale e culturale evidente, nonostante si sottolinei l’importanza che ha avuto più per quanto riguarda i musicisti che per il pubblico.

The Rolling Thunder Revue recensione

The Rolling Thunder Revue: recensione – Conclusioni

Siamo di fronte a qualcosa di più di un documentario. Allo stesso tempo non siamo di fronte ad un semplice tributo. Questo prodotto è un insieme di arte in molte forme. Il moderno si unisce all’antico in un continuo gioco delle parti tra la musica e il cinema. L’immagine quasi granulosa del documentario originale girato da Ratso, che compare anche in interventi della parte moderna, si unisce all’estrema nitidezza dei dialoghi tra Scorsese e gli intervistati. Per fortuna non è stato doppiato, restituendo l’emozione dei protagonisti e regalando la patina inconfondibile della voce di Dylan.

Uno dei prodotti migliori di Netflix nel settore, che fa il paio con The Dirt, che racconta la storia dei Mötley Crüe. Il binomio Netflix-Scorsese si apre col botto, nell’attesa di The Irishman. Un’opera grandiosa, soprattutto per gli appassionati, con Dylan e Scorsese che si prendono in giro e ci prendono in giro fino alla fine. Proprio alla fine, infatti, a Dylan viene chiesto cosa resti di The Rolling Thunder Revue, ma ciò che egli risponde è:“nulla, cenere”. La risposta è emblematica: l’America degli anni ’70 sembrava essere stata scossa da questa carovana musicale, ma i frutti, oggi, non si vedono più. Quando pensi di aver fatto qualcosa di buono per qualcuno, ma le cose sembrano andare anche peggio, è preferibile dimenticare, come Dylan dice di aver fatto.

The Rolling Thunder Revue: a Bob Dylan Story by Martin Scorsese

Voto - 9

9

Lati positivi

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