Mr. Vendetta – Recensione del film di Park Chan-wook

Park Chan-wook è un nome ormai noto per chi mastica, anche poco, il cinema. Questa notorietà è data soprattutto dal cult pluripremiato Oldboy, il secondo film della Trilogia della Vendetta della quale Mr. Vendetta ne rappresenta l’inizio.

Mr. Vendetta, che dopo la sua uscita nel 2002 provocò non poche polemiche tra gli spettatori coreani, trovò invece largo consenso nei festival nordamericani. In Italia non ha avuto molto successo: è solo con Oldboy e Lady Vendetta, capitolo conclusivo della trilogia, che il regista sudcoreano comincia a far parlare di sé anche nella nostra penisola.

Mr. Vendetta – Recensione del film di Park Chan-wook

Vite difficili

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Protagonista della parte iniziale del film è Ryu (Shin Ha-kyun), un ragazzo sordomuto che ha perso la madre e vive solo con la sorella, la quale ha bisogno di un trapianto di rene per sopravvivere. Ryu non può donarle il suo rene per incompatibilità sanguigna e quindi mette la sorella in lista d’attesa. Nel frattempo, dato il suo modesto lavoro in fabbrica, Ryu non può permettersi le spese ospedaliere e quindi spende il suo gruzzolo di risparmi per comprare un rene nel mercato nero dei trafficanti di organi, in cambio, in più, del suo stesso rene. Ryu però viene truffato e si ritrova senza soldi e senza un rene per la sorella. Inoltre il povero ragazzo viene anche licenziato.

La ragazza di Ryu gli propone di rapire la figlia dell’imprenditore che lo ha licenziato per poi chiedere un riscatto. Il rapimento va a buon fine ma la bambina affoga per un incidente morendo. Park (Song Kang-ho), l’imprenditore, quando scopre che i rapitori della figlia sono Ryu e la sua ragazza, decide di vendicarsi su di loro. Da qui l’attenzione del regista si sposta su Park e sulla sua algida ricerca di vendetta. Anche Ryu perpetra la sua vendetta verso i trafficanti che lo avevano truffato.

I signori Vendetta

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Ryu e Park sono all’apparenza due persone molto differenti. Alla generosità e alla modestia del ragazzo si oppongono la voglia di potere e la freddezza dell’uomo d’affari. Ryu è disposto a donare un suo rene e a commettere azioni riprovevoli pur di salvare la sorella, Park è stato lasciato dalla moglie perché dedicava poco tempo alla famiglia per lavorare e guadagnare sempre più soldi. Due modi di vivere che sono agli antipodi, finché la vendetta non si impossessa dei due protagonisti. Una volta che il parassita della rivalsa entra nelle due teste, tutte le differenze sociali e comportamentali svaniscono.

Ryu e Park diventano la stessa persona, vittime della vendetta che spazza via gli altri sentimenti e manipola con i fili le azioni dei suoi sottomessi. Un ciclo di odio e violenza, che il regista esalta come solo pochi sanno fare aggiungendoci uno straziante realismo e un po’ di grottesco che lascia un forte senso di angoscia in chi guarda la pellicola. Lo spettatore, violentemente messo nei panni dei protagonisti, attraverso un uso magistrale della camera, dei rumori e dei tempi di sceneggiatura, non riesce a trovare un’uscita da questa spirale soffocante e non sa più da che parte stare. Sembra quasi che la vendetta riesca ad impadronirsi anche di chi guarda il film.

Il degrado della società

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La vendetta non è l’unica ragione per cui Ryu e Park si ritrovano a commettere crimini violenti. I due sono anime frustrate, frustate dalla società e dalle sue ingiustizie. Ryu e la sorella erano studenti, e il primo ha un buon talento nel disegno. Entrambi hanno dovuto lasciare gli studi per lavorare e guadagnare miseri salari che non sono sufficienti neanche a pagare il ricovero in ospedale. La sanità, quindi, viene criticata perché non gratuita in Corea e per le lunghe liste d’attesa. Il lavoro estenuante in fabbrica viene rappresentato da delle bellissime scene che lasciano riflettere sul perché un uomo debba fare sforzi enormi per guadagnare pochi soldi. Non solo gli operai, ma anche gli impiegati trovano uno spazio nella critica sociale del film. Un impiegato, dopo anni di duro lavoro e buoni risultati, viene licenziato brutalmente da Park e uccide sé stesso e la propria famiglia per la disperazione. Il terrorismo crescente di cui anche la ragazza di Ryu fa parte. Tutto ciò sembra aggregarsi in un sentimento di odio represso che aspetta solo un’occasione per venire fuori e creare il caos.

Sua Maestà Park Chan-wook

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Sebbene con qualche difetto, il film possiede una qualità ottima. Partendo dai difetti, l’inizio è un po’ lento e alcune scene durano troppo, anche se questo è un effetto sicuramente voluto al fine di concentrare lo spettatore sulla psiche dei personaggi e trasmetterne tutta l’angoscia e l’afflizione. La voglia di vendetta, a differenza degli altri due film della trilogia, ci mette un bel po’ di tempo a prendere la rincorsa e ciò potrebbe inizialmente annoiare lo spettatore.

Tolti questi piccoli nei, tra l’altro soggettivi, il film non sbaglia un colpo. Il regista non ha bisogno di presentazioni, e in Mr. Vendetta fa sfoggio di tutti i suoi elementi caratterizzanti. Il tocco di Park Chan-wook lo si potrebbe riconoscere tra diecimila film: scene violente e grottesche che, nel caso di Oldboy, hanno attirato l’attenzione di Tarantino; uso corposo di un colore rappresentativo che in Mr. Vendetta è il verde (come i capelli di Ryu); carrellate e punti di vista spiazzanti; montaggio che predilige raccordi sull’asse e di movimento; personaggi e altri elementi che mai ci si aspetterebbe di vedere in certe situazioni (come il disabile presente lungo il fiume durante l’annegamento della bambina). Carina l’idea di usare i cartelli in stile film muto per spiegare ciò che Ryu dice con i gesti. Gli attori sono abilissimi nel creare empatia e trasmettere tutte le emozioni che i personaggi provano.

Guardando Mr. Vendetta ci si fa subito un’idea su cosa saranno gli altri due film della trilogia, ovvero dei capolavori. Un film assolutamente da vedere, essenziale per capire il modo di fare cinema del regista sudcoreano.

 

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