Peaky Blinders tra finzione e realtà: la storia vera che ha ispirato la serie con Cillian Murphy

Peaky Blinders: la storia vera della serie tv con protagonista Cillian Murphy

Tommy Shelby e tutta la sua famiglia hanno conquistato il pubblico nel corso di sei stagioni della fortunata serie tv Peaky Blinders (sul sito anche la nostra recensione), online sulla piattaforma streaming Netflix. Quello che però forse non tutti sanno è che la serie creata da Steven Knight non è tutto frutto di fantasia del creatore, ma è vagamente ispirata alla storia dell’omonima banda criminale, attiva nella Birmingham del XIX e XX secolo. Chi erano i Peaky Blinders? Perché sono diventati così famosi nell’immaginario collettivo? Come sono diventati una serie tv? Questa è la storia vera che si cela dietro la serie.

Indice

La storia vera dei Peaky Blinders

Come suddetto, i Peaky Blinders erano una banda criminale attiva a Birmingham tra la fine del 1800 e l’inizio del nuovo secolo. Il gruppo nacque principalmente a seguito delle dure privazioni economiche che colpirono la classe operaia britannica. Era infatti composta da giovani di classe medio bassa, che basavano la loro vita su attività criminali, quali rapine e violenza. I Blinders controllavano il gioco d’azzardo e controllavano il territorio della città attraverso l’uso del terrore. L’espressione del loro nome nasce principalmente da due ipotesi. La prima, meno accreditata, è che il nome derivi dalla pratica di cucire le lamette della barba nella visiera (chiamata in inglese peak) dei loro cappelli, che diventavano automaticamente l’arma principale con la quale commettevano i loro crimini. Secondo invece una traduzione più letterale, peaky – che significa appuntito – e blinder – che significa visiera – indicano l’utilizzo da parte della banda di un cappello appuntito. Blinder, nella comunità di Birminghan, indicava anche un aspetto elegante, tanto da accecare. La gang infatti era distinta soprattutto per il suo aspetto molto elegante e con i caratteristici cappelli con visiera.

La criminalità, a partire dal 1870, nasce soprattutto nei quartieri poveri di Birmingham a causa del sovrappopolamento e della mancanza di condizioni di vita adeguate. Lì dove regna la miseria si creano le condizioni favorevoli per la diffusione delle idee di una piccola banda criminale, comandata da John Adrian, che faceva regnare il terrore nei quartieri della città. Solo venti anni dopo, quando ormai il gruppo si era consolidato, si afferma il nome Peaky Blinders. Tutto avvenne in una notte, quando il clan assalì e ferì alla testa l’abitante di Small Heath George Eastood. Sui giornali comparve l’espressione Peaky Blinders. Da allora la loro diffusione divenne sempre più rapida, il loro nome incuteva paura in tutta la città e i loro atti divennero sempre più criminali. Agli inizi del nuovo secolo, i Peaky Blinders acquisirono anche un certo potere politico, ridimensionato a partire dal 1910, anno in cui un’altra gang criminale – i Birmingham Boys – spostò la sua attenzione sulla banda concorrente. I due gruppi si scontrarono ferocemente, fino alla totale scomparsa dei Peaky Blinders.

Come vestivano?

peaky blinders

Caryn Mandabach Productions, Tiger Aspect Productions

Nella serie tv i Peaky Blinders, con Tommy, Arthur e tutti gli altri della famiglia Shelby, sono diventati iconici non solo per le loro azioni o le loro parole, ma anche e soprattutto per il loro modo di vestire. Da quando è arrivata la serie tv nel 2013, sono tanti gli emulatori di quello stile, etichettato come “Peaky Blinder style”. Ma cosa indossavano i veri membri della gang più famosa di Birmingham? I loro erano spesso abiti su misura, con un berretto piatto a punta. I loro pantaloni erano a zampa di elefante e sopra indossavano giacche a bottoni. I membri più ricchi accompagnavano l’outfit con sciarpe di seta e colletti con bottoni metallici. Le loro donne invece erano ricoperte di perle e fazzoletti al collo colorati.

Dalla realtà alla finzione

peaky blinders

Caryn Mandabach Productions, Tiger Aspect Productions

Era il 2013 quando Peaky Blinders – la serie tv con protagonista Cillian Murphy, Helen McCory, Paul Anderson, Annabelle Wallis e Joe Cole – fece il suo debutto al Festival Internazionale del Cinema di Edimburgo. Fu poi distribuito nello stesso anno dalla BBC Two e due anni dopo arrivò anche in Italia su Netflix. Da allora il successo della serie è stato inarrestabile, in quanto la storia di Tommy Shelby e della sua famiglia, rappresentazione fittizia di ciò che erano i veri Peaky Blinders, ha catturato gli spettatori, che nel corso degli anni hanno stretto un legame inossidabile con la serie. Ambientata a cavallo dei due conflitti mondiali, la serie è ambientata lì dove la vera gang mosse i suoi passi, a Birmingham. Durante il tracollo economico e sociale, in un ambiente di miseria e dolore, la famiglia Shelby cerca di imporsi nel suo quartiere come criminali, ma soprattutto come protettori della città.

Il capofamiglia è Thomas – detto Tommy – Shelby, che ha un forte senso di giustizia, anche se in una strana accezione del termine. Crede nella famiglia, nella sua famiglia, e cerca di fare il possibile per proteggerla, anche se per farlo deve ricorrere alla violenza e ai crimini. Nel corso delle sei stagioni, le vicende diventano sempre più intricate e lo stesso Tommy Shelby – che inizialmente era conosciuto come un personaggio integerrimo che riesce a portare avanti i suoi affari con disinvoltura – si mette a nudo, mostrando anche le sue debolezze e quella della sua famiglia. È proprio questo, però, che più di tutto mette in pericolo la stessa gang e i suoi affari. Peaky Blinders non è una serie tv storica, le sue vicende sono quasi del tutto inventate e sono pochi i personaggi presenti negli episodi che hanno avuto un vero ruolo nella storia vera della banda. Peaky Blinders, però, è una serie tv da vedere e recuperare – soprattutto prima dell’uscita al cinema del film conclusivo – perché riesce a collegare bene realtà e fantasia, storia e finzione, presente e passato, in un connubio che non stanca, ma anzi ti alimenta sempre di più la fame di sapere.

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