6ixtyNin9: recensione della serie crime tailandese di Netflix

Adattamento seriale dell'omonimo film del 1999, la serie di Pen-Ek Ratanaruang guarda esplicitamente ai crime di fine millennio con un occhio al presente

Arrivata su Netflix il 6 settembre, la serie tailandese 6ixtyNin9, scritta e diretta da Pen-Ek Ratanaruang, è l’adattamento seriale del suo omonimo film del 1999. Le premesse sono pressapoco le stesse: una ragazza, senza più lavoro né soldi, si imbatte per un caso fortuito in un pacco pieno di denaro. Sarà l’inizio di una serie di vicissitudini che la vedranno al centro di un intrigo fatto di spacciatori, retate di polizia e pericolosi boss locali, tutti smaniosi di mettere le mani su quel pacco e di farla pagare a chi l’ha sottratto.

Una serie che, tra black humour e colpi di scena improbabili, si inscrive appieno in quel filone crime e “pulp” tanto in voga a fine millennio e a cui il regista Ratanaruang cerca di dare nuova linfa vitale, adattandola a un nuovo contesto e a una nuova epoca. Ecco allora che la vicenda trova una sua rinnovata ragione d’essere inscrivendosi nel mondo post-pandemico di oggi, tra un sistema capitalista sempre più disumano e un Paese in preda a un’instabilità politica ormai radicata nel suo DNA. Basterà questo per svecchiare un racconto che pare, sin dalle sue premesse, appartenere a un’altra epoca?

Indice:

Trama – 6ixtyNin9 recensione

Toom (Davika Hoorne) ha appena perso il lavoro. Due anni di pandemia hanno convinto la sua azienda che fosse tempo di licenziamenti, lasciando decidere alla sorte chi sarebbe rimasto e chi no. Nel suo appartamento la ragazza sprofonda così in uno stato di sconforto, almeno fino a quando qualcuno, sbagliando porta per via del più classico degli equivoci (il 6 dell’appartamento confuso con il 9), non le recapita un pacco pieno di soldi derivati da attività illecite. Non passerà molto, però, perché i proprietari si rendano conto dello sbaglio commesso e si mettano sulle tracce del denaro, dando il via a una serie di morti violente apparentemente inarrestabile.

Mentre Toom, sempre più determinata a cambiare vita, si difende come può dai suoi inseguitori, le storie dei personaggi che le gravitano attorno finiscono per intrecciarsi e mischiarsi alla sua, con esiti spesso imprevedibili. Tra rapper coinvolti in traffici di droga, poliziotti ambiziosi, fidanzate gelose, dirigenti legati al mondo criminale, combattenti di muay thai e killer redivivi, la vita all’interno di quel palazzo di Bangkok – e forse anche fuori – non sarà mai più la stessa.

6ixtyNin9 recensione

6ixtyNin9. Five Star Production

Uno sguardo al passato…

Pare uscita direttamente dal decennio dell’omonimo film che l’ha ispirata, una serie come 6ixtyNin9. Perché tutto, in questa storia corale fatta di gangster, umorismo nero e colpi di scena, sembra rimandare al gusto per l’assurdo e per l’accumulo tipico dei film crime di quel periodo, da Pulp Fiction a Snatch, da Sin City a Slevin. Un’attitudine ben chiara sin dalle premesse, con la sua teoria di personaggi bidimensionali e sopra le righe e un intreccio mano a mano sempre più elaborato e caotico.

Proprio partendo dai gangster movie a cavallo del millennio prende infatti piede la serie (e il film prima di lei) firmata da Pen-Ek Ratanaruang, allestendo il suo gioco al massacro in un giorno e una notte, all’interno delle mura di un palazzo di Bangkok. È qui che, tra equivoci e scambi di persona, va in scena la parabola tragicomica di Toom, una ragazza qualsiasi presto alle prese, come da copione, con una storia ben più grande di lei, dove il caso sembra giocare un ruolo fondamentale dominando ogni cosa, dalla più insignificante alla più assurda.

6ixtyNin9 recensione

6ixtyNin9. Five Star Production

…e uno al presente

Una storia certamente derivativa, quella di 6ixtyNin9, tanto nel suo immaginario quanto nelle sue dinamiche, che il regista cerca però di svecchiare introducendo riferimenti alla situazione internazionale e a quella del suo stesso paese. Ecco allora, a fianco di un contesto post-pandemico dove il sistema capitalista pare ancora più spietato di prima, tra licenziamenti arbitrari e imprenditori senza scrupoli, accompagnarsi più di un riferimento all’attualità politica di un paese costantemente scosso da colpi di stato e contestazioni.

Un contesto apparentemente accessorio ma in realtà non del tutto fuori luogo, legato com’è a doppio filo a una vicenda in cui le logiche stesse del sistema si rispecchiano in quelle che regolano il mondo criminale in cui Toom precipita, facendosi un tutt’uno con esso. Fino a restituire il ritratto – leggero ma efficace – di un paese allo sbando, in cui la fortuna (o la sfortuna) detta le regole, mentre l’unica via di fuga sembra essere un aldilà improbabile e improvvisato, ma dove i miracoli sono ancora possibili.

6ixtyNin9 recensione

6ixtyNin9. Five Star Production

Tra le gabbie del genere

Eppure, nonostante questo tentativo di svecchiamento, l’anima (nera) di 6ixtyNin9 pare essere sempre la stessa. Meglio allora prendere la serie come quello che veramente è: una nerissima commedia degli equivoci dal gusto ludico e irriverente. Una storia per forza di cose sopra le righe, che, se da una parte non indugia in virtuosismi estetici o in uno stile debordante, dall’altra non rinuncia comunque a momenti decisamente surreali e stranianti.

Tra scene nell’aldilà (quasi un pretesto per tenere un originale body count) e morti redivivi, ecco così che il crime si contamina – un po’ ingenuamente – con il surreale, il dramma con l’ironia, dando vita a un prodotto curioso seppur non così anomalo come vorrebbe essere. Il risultato è così un’operazione che sembra – ancora di più se confrontata con il resto dell’offerta di Netflix – fin troppo candida e ingenua, calco di un immaginario che ha fatto inevitabilmente il suo tempo, ancora troppo vicino per godere dell’effetto nostalgia ma abbastanza lontano per sembrare vecchio e irrimediabilmente superato.

6ixtyNin9

Voto - 6

6

Lati positivi

  • Certe idee di sceneggiatura sono efficaci e hanno la giusta dose di cinismo
  • La serie a tratti riesce a uscire dalle gabbie del genere e a parlare al suo presente

Lati negativi

  • I personaggi sono bidimensionali, spesso ridotti a semplici funzioni narrative
  • La struttura, per quanto coinvolgente e divertente, è già vista e decisamente datata

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