American Horror Story: NY – recensione dell’undicesima stagione

L'ultima stagione di American Horror Story è una caduta di stile per gli autori che farciscono di stereotipi una storia altrimenti avvincente e ben costruita.

Dopo The Watcher e Dahmer, Ryan Murphy assieme a Brad Falchuk tornano con l’undicesima stagione della serie antologica American Horror Story dall’esplicativo sottotitolo New York disponibile su Disney Plus.
Ambientata nella Grande Mela agli inizi degli anni Ottanta, Murphy torna a parlare di denunce sociali, del silenzio e dei pregiudizi che circondano la comunità gay e di un virus che ha molto in comune con l’HIV in una stagione che convince meno delle altre.

Indice

Trama – American Horror Story: NY, la recensione

La comunità LGBTQIA+, da sempre argomento centrale nella filmografia di Ryan Murphy, torna ad essere riproposta in un ambientazione conosciutissima nei film e serie tv che trattano tematiche queer ossia quella degli primi anni di sviluppo dell’HIV.
Declinata qui in chiave horror e più introspettiva rispetto alle precedenti stagioni di American Horror Story, New York diventa la culla di due agenti esterni e misteriosi che colpiscono la comunità gay, uccidendo i ragazzi sotto lo sguardo indifferente della polizia e del governo omofobo. I due eventi, collegati tra di loro, sono la presenza di un serial killer che prende di mira i ragazzi nei night club e un virus sconosciuto che dilaga a macchia d’olio.

American Horror Story: NY.

American Horror Story: NY. 20th Television, Ryan Murphy Television, Brad Falchuk Teley-Vision.

Personaggi cardine della stagione sono il poliziotto gay Patrick Read (Russell Tovey) e il suo compagno Gino Barelli (Joe Mantello, già visto in Hollywood e The Watcher), reporter del Native dichiaratamente gay e fiero attivista. Gino è l’unico ad essere preoccupato dal silenzio testardo della polizia e dei media ed è proprio mentre cerca di portare l’attenzione sulla presenza di un assassino che si fa chiamare Big Daddy che Gino fa l’incontro di Adam (Charlie Carver), un ragazzo il cui coinquilino gay è scomparso misteriosamente una notte in un parco in cui si stava svolgendo un evento gay. Sta qui lo snodo principale di American Horror Story: NYC, un serial killer vestito in latex che ricorda il Rubber Man della tanto amata prima stagione e un virus che colpisce gli stessi ragazzi vittima dell’omicida, uccisioni e morti che si sarebbero potute risparmiare se la comunità LGBTQIA+ non fosse succube di pregiudizi e ritorsioni.

Una stagione introspettiva – American Horror Story: NY, la recensione

American Horror Story: NY si allontana dalla formula horror collaudata in ogni sua forma da Ryan Murphy per avvicinarsi a un orrore reale e tangibile, negli anni Ottanta come oggi. Con un tono più introspettivo rispetto alle precedenti stagioni, l’autore completa quel discorso che aveva iniziato con The Watcher e, soprattutto, con Dahmer.

American Horror Story: NY.

American Horror Story: NY. 20th Television, Ryan Murphy Television, Brad Falchuk Teley-Vision.

Entrambe basate su fatti reali, storie dell’orrore che hanno trovato terreno fertile in un ambiente ostile e governato dall’omertà e dalla negligenza da parte della polizia. Murphy in questo ha molto da insegnare e riesce a modellare in modo magistrale il clima di omertà e silenzio che circonda la comunità LGBTQIA+ che si è sempre rimboccata le maniche per cambiare la società che non li accoglie, che unisce le forze per aiutarsi l’uno con l’altro e far fronte comune. Delle pratiche che sono sempre stato il vero cuore della comunità fin dai suoi albori.

L’anima della stagione è nel contrasto – American Horror Story: NY, la recensione

È intelligente quindi aver dato maggiore spazio alla coppia composta da Patrick e Gino, un attivista che fa di tutto per cercare di mettere in guardia gli altri, di ribellarsi per far sentire la propria voce e per cercare di porre l’attenzione su un pericolo reale e, al contempo, informare le probabili vittime di quello che sta accadendo nella loro città. Dalla parte opposta c’è il suo fidanzato Patrick, un poliziotto non dichiarato che non riesce a usare il suo potere per cambiare le cose dall’interno, troppo spaventato e ben cosciente di come le carriere dei poliziotti gay vadano a rotoli in una società fortemente omofoba dove i primi ad avere dei pregiudizi sono proprio i corpi delle forze dell’ordine.

American Horror Story: NY.

American Horror Story: NY. 20th Television, Ryan Murphy Television, Brad Falchuk Teley-Vision.

Due antitesi nella stessa coppia, due visioni e due storie diverse che convivono sotto lo stesso tetto e che portano Gino – il personaggio più riuscito dell’intera stagione – a domandarsi se Patrick sia davvero la persona giusta per lui, se idee politiche così diverse possano coesistere o siano destinate a essere solamente un peso enorme, un elefante nella stanza con cui scendere a patti.

Tensione narrativa e impegno sociale con una caduta di stile – American Horror Story: NY, la recensione

Da qui Murphy e Falchuk sono partiti per realizzare una serie di impegno sociale che però non manca di tensione narrativa costruita su colpi di scena e diversi punti di vista dislocati tra personaggi diversi rendendo bene l’idea di un panico generale, di una paura dilagante in cui le vittime – sia del virus che del serial killer – possono fare ben poco e chi, invece, dovrebbe e potrebbe aiutare e fermare l’epidemia di malattia e omicidi se ne sta con le mani in mano. La nota stonata, e l’enorme difetto vista la volontà di muovere una precisa denuncia sociale, è la rappresentazione della comunità gay.

American Horror Story: NY.

American Horror Story: NY. 20th Television, Ryan Murphy Television, Brad Falchuk Teley-Vision.

Una rappresentazione basata su un unico stereotipo suddiviso tra molteplici personaggi a cui solamente Gino e, in parte, Patrick riescono a sfuggire. Un errore che da Ryan Murphy che porta sullo schermo personaggi gay e appartenenti alla comunità LGBTQIA+ da dieci anni in varie forme è duro da digerire tenendo conto anche del suo impegno politico che è riuscito a sdoganare il tabù e l’assenza dei personaggi gay nel genere horror come molti altri registi e sceneggiatori hanno fatto prima di lui, ma portandolo a un livello nuovo ossia nella serialità mainstream.

Stereotipi dilaganti – American Horror Story: NY, la recensione

In American Horror Story: NY la comunità gay degli anni Ottanta è rappresentata ricalcando lo stesso stereotipo che ha portato a soprannominare l’HIV come “la malattia dei gay”, per molti una punizione divina per la loro promiscuità e sodomia, per molti altri un’epidemia a cui non prestare attenzione visto che era erroneamente considerata una malattia che colpisse solamente gli omosessuali. Gli uomini nella serie sono frequentatori incalliti di night club e locali da cui uscire con il primo che si incontra, sono ragazzi che vanno a casa di un uomo che ha chiamato in un telefono pubblico e con cui hanno scambiato solo un paio di battute, sono promiscui e disdegnano la monogamia e i legami, volendo puntare solamente sul sesso e sul divertimento senza freni fino ad essere dipinti come degli sprovveduti.

American Horror Story: NY.

American Horror Story: NY. 20th Television, Ryan Murphy Television, Brad Falchuk Teley-Vision.

Tra di loro spicca lo spaventoso Big Daddy e il suo costume che richiama le pratiche sadomaso e Sam (interpretato da Zachary Quinto) un ricco imprenditore che fa concorrenza al serial killer della stagione e in cui convergono tutti gli stereotipi fino ad ora descritti. Una caduta di stile da parte di quelli che, guardando quest’ultima stagione di American Horror Story si fa fatica a credere, sono i padri di Pose, una delle serie più belle e delicate che affronta la medesima tematica.

In conclusione – American Horror Story: NY, la recensione

Ryan Murphy continua comunque a dimostrare di essere in continua evoluzione e American Horror Story: NY è l’ennesima prova della sua voglia di tornare sugli stessi temi e sviscerarli in ogni loro variante, ogni minima loro sfaccettatura. Come in molti altri prodotti che portano la sua firma, Murphy non è sempre sinonimo di garanzia, ma sicuramente richiama subito alla mente la ferrea volontà dar voce alla comunità queer grazie a messe in scena mai soporifere e che centrano dritto il punto, portando sul piccolo schermo numerose critiche sociali estremamente attuali anche se la serie è ambientata decenni fa.

Una voglia che è solamente da lodare, ma che in determinati casi – come questo o come il troppo romanticismo messo nel ricreare le vicende di Jeffrey Dahmer – cade in errori grossolani che non dovrebbero essere commessi da chi si è preso questo impegno politico, soprattutto in una serialità contemporanea che sta dimostrando di essere più aperta verso determinate tematiche.

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American Horror Story: NY

Voto - 6

6

Lati positivi

  • LE tematiche della serie sono ben analizzate
  • La coppia principale e soprattutto il personaggio di Gino

Lati negativi

  • Il resto dei personaggi sono stereotipi ambulanti

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