Battle Royale: recensione del film di Kinji Fukasaku

Ecco la recensione di Battle Royale, il film distopico di Kinji Fukasaku con Takeshi Kitano, Tatsuya Fujiwara e Chiaki Kuriyama

Battle Royale è un film di culto giapponese, nonché l’ultimo diretto dal noto regista Kinji Fukasaku e tratto dall’omonimo romanzo post apocalittico e di fantascienza distopica di Koushun Takami. Il romanzo risale, a quello che si può accertare, al 1996, anche se in realtà non fu mai pubblicato prima del 1999, appena un anno prima della distribuzione del film in Giappone. Estremo, disturbante e visionario è tuttora uno dei più grandi successi al botteghino del Sol Levante, piazzandosi probabilmente addirittura tra i 15 film giapponesi più importanti del nuovo millennio, ispirando perfino il cinema di Quentin Tarantino.

Nel cast di Battle Royale (Batoru Rowaiaru) troviamo un fenomenale Takeshi Kitano, nei panni del professore-arbitro della lotta per la sopravvivenza. Il talento smisurato di Kitano fa da vera e propria guida a un cast giovanissimo ma decisamente molto valido. Tra i molti nomi spiccano sicuramente Tatsuya Fujiwara (Death NoteRurouni Kenshin) e la bella Chiaki Kuriyama, famosa per aver interpretato la spietata Gogo Yubari in Kill Bill. Meritano una menzione anche le performance dei giovani Aki Maeda e Tarō Yamamoto.

Battle Royale: recensione del film di Kinji Fukasaku

La trama

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Il lascito artistico di Kinji Fukasaku, uno dei migliori registi popolari del cinema giapponese anni ’70/’80, non poteva che essere un film indimenticabile, crudo e diretto. Battle Royale è sicuramente uno dei più interessanti titoli distopici realizzati a partire dagli anni 2000 in poi, capace di influenzare fortemente le pellicole a venire. Basti pensare che i presupposti del film sono gli stessi del romanzo di Suzanne Collins, capostipite della tetralogia cinematografica di Hunger Games. Entrambi, al tempo stesso, sono debitori della fantascienza distopica più buia di film come Rollerball di Norman Jewison.

Sceneggiato dal figlio Kenta Fukasaku e dalla star Takeshi Kitano, Battle Royale è ambientato in un futuro distopico in un indefinito stato asiatico, dove la crisi economica sta distruggendo il paese. Il tasso di disoccupazione è superiore al 15% e ciò pesa sulla classe sociale più giovane, organizzatasi in movimenti di protesta e sommosse organizzate. Gli adulti hanno perso il totale controllo della società, incapaci di trasmettere valori e insegnamenti validi ai propri figli. Il tutto esplode in una crescente delinquenza giovanile. Emerge così la necessità di disciplinare i più giovani e viene emesso il Battle Royale Act: ogni anno una scolaresca viene estratta a sorte e mandata su un’isola deserta.

Qui ogni studente riceve un kit di sopravvivenza contenente del cibo, una mappa e un’arma diversa, con lo scopo di eliminare tutti i compagni entro tre giorni. Solo una persona dovrà sopravvivere, potendo così guadagnarsi il ritorno a casa e la possibilità di riprendere la sua vita fortificato dall’esperienza. Come strumento di controllo viene utilizzato un collare, in grado di osservare i valori biofisici della persona che lo indossa, nonché la sua posizione sull’isola. A seguire e coordinare il sadico gioco, il sadico professore Kitano (Takeshi Kitano), vittima a sua volta della violenza di una scolaresca.

Fukasaku tra Golding e Kubrick

Il ritratto che Kinji Fukasaku traccia della società nipponica è a dir poco agghiacciante. Il regista mette in scena una società allo sbaraglio, dove la lezione kubrickiana di Arancia Meccanica è più forte che mai. In una società dove la degenerazione diviene una costante, si sollevano profondi dubbi sui caratteri che definiscono quella stessa realtà. È così che ogni comportamento è volutamente portato all’eccesso ed estremizzato, ricadendo anche sulle scelte stilistiche del film.

Fukasaku dimostra però di essere un regista molto elegante, in grado di donare realtà a un film che parte di per sé da un’idea irreale. Il film risulta così essere sobrio, grazie anche alla buonissima caratterizzazione dei personaggi. Le vittime del gioco sono ragazzi poco più che adolescenti, che ben presto si trasformeranno in nemici. Alcuni preferiranno il suicidio, altri scopriranno l’innata voglia di uccidere. La violenza è molto fredda e pochi in punto di morte avranno dolci parole per la ragazza amata o per l’amico di pochi giorni prima.

Chiara l’influenza de Il signore delle mosche, capolavoro di William Golding. Ciò che interessa a Fukasaku, così come a Golding è la disamina psicologica di un gruppo di ragazzi con tutte le esasperazioni del caso. Tutti vanno incontro a delle trasformazioni in situazioni disperate e molto spesso lo fanno nel modo più crudele e tremendo possibile, connaturato alla cattiveria insita dell’essere umano. Le due opere sono accomunate dal concetto di confrontarsi con il proprio lato più oscuro, arrivando a replicare la parte peggiore del mondo degli adulti nel poco tempo trascorso su un’isola deserta. Battle Royale, così come Il signore delle mosche, evidenzia fin da subito tutta la sua carica violenta nell’esasperata lotta di sopravvivenza a cui sono sottoposti i ragazzi, arrivando a provare un senso di diffidenza anche verso gli amici più stretti.

La critica societaria di Battle Royale

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Il Giappone che filtra da questa pellicola è quello dell’arrivismo sfrenato e della competizione selvaggia. Tutto ciò è ampiamente criticato da Fukasaku, che non risparmia osservazioni sul regime che castra le aspirazioni dei giovani. La notorietà del regista nipponico è dovuta alle pellicole yakuza degli anni ’70 e ’80, intrise di violenza documentaristica e ambizioni da affresco nazionali impensabili per l’epoca. Abituato a raccontare il suo Paese attraverso mafiosi spietati, Fukasaku non ha avuto problemi a mettere a fuoco la situazione societaria giapponese in un futuro nemmeno troppo irreale.

Per questo in Giappone il film ha suscitato diverse polemiche che hanno inizialmente al ritiro della pellicola per poi ridistribuirla in versione vietata ai minori. Ciò che ha dato fastidio è stata l’allegoria tra la situazione ipotetica e l’attualità giapponese. Il film, come il romanzo di Takami, pone sotto accusa l’individualismo, la voglia di protagonismo e la competizione. Si ritrovano così elementi tipici di quella fantascienza (da la Decima Vittima di Elio Petri al già citato Il signore delle mosche) che riflette sugli ipotetici scenari di una società futura per denunciare la mercificazione dei valori sociali e dei criteri educativi. Da qui la visione decisamente negativa del mondo degli adulti, le cui colpe ricadono poi sui figli, portando perfino l’anima più innocente a macchiarsi di violenza.

È vero che Fukasaku modifica l’approccio al soggetto originario, concentrandosi più sul senso della messa in scena e sulle dinamiche tra i protagonisti. Il regista da una parte mantiene accese l’invettiva contro una società che ha smarrito la direzione giusta, dall’altra però smorza i toni della satira sociale tramite didascalie tratta dalla versione manga e un effetto splatter fittizio, espedienti atti a smitizzare il dramma.

Il lato tecnico

Il film risulta nel complesso sobrio, senza la ricerca ossessiva di virtuosismi tecnici che sarebbero stati forse esagerati. Le immagini sono comunque molto curate, i movimenti di macchina minuziosi e precisi. La macchina da presa infatti segue i personaggi in modo molto naturale e si sofferma sui dettagli quando è giusto farli notare agli spettatori. La mano di Fukasaku non è insistente e il suo lavoro è accompagnato da un’eccellente fotografia di Katsumi Yanagishima.

La bravura di Kinji Fukasaku certo non si copre con Battle Royale, dal momento che ha firmato grandi classici giapponesi del calibro di Tora! Tora! Tora! e Lotta senza codice d’onore. L’unica grossa pecca forse è un po’ la ripetitività della pellicola. Il film infatti finisce per scadere in un ciclo di mattanze che potrebbero stufare dopo la metà del film. Ma il montaggio è buono e riesce a calibrare in modo equo la durata di ogni singola scena, con sequenze che riescono a tenere vivo il ritmo del film, seppur non sempre eterogeneo. Le musiche inoltre donano un’atmosfera particolare al film, creando un contrasto tra brani moderni e musica classica. Sembra quasi che il regista voglia sottolineare la modernità delle tematiche e il classicismo generale del film.

Ultima nota positiva: la sceneggiatura è stata sapientemente arricchita di personaggi credibili e tangibili. La psicologia dei gruppi e non gruppi  è molto accurata, e lo spettatore può godere delle reazioni delle piccole aggregazioni di studenti, amici, nemici, fidanzati, gruppi di studi. In Battle Royale si può intravedere la realtà sotto il velo della fantascienza proprio grazie a una solida fase di scrittura.

Battle Royale: recensione – Conclusione

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L’opera di Fukasaku richiama il cinema di Takeshi Kitano, che tra l’altro interpreta il professore-arbitro della contesa, ma si avvicina più ai primi anni del cinema di Takeshi Miike e all’animazione di Hayao Miyazaki. Fukasaku però è bravo a giungere al compromesso tra la tradizione narrativa giapponese e le istanze postmoderne. In Battle Royale, il regista nipponico è bravo a sottolineare quegli scatti di emozione, rabbia o amore, giocando sulle caratteristiche caricaturali del popolo giapponese.

Il regista realizza così una pietra miliare del cinema d’azione e fantascientifico, velata di accadimenti grotteschi e tragici. Fukasaku morirà solo tre anni dopo l’uscita di Battle Royale, ma in tempo per stupire ancora una volta e presentare tematiche nuove e interessanti. Considerato un film maledetto, tanto da non essere mai stato distribuito negli Stati Uniti, si tratta di una piccola enciclopedia cinematografica capace di fotografare le transizioni del cinema asiatico degli ultimi trent’anni. Fukasaku regala al mondo il suo testamento artistico che guarda al futuro e parla alle generazioni a venire.

Oscillando tra il sentimentalismo e l’indagine senza filtro degli aspetti più reconditi dell’essere umano, Battle Royale è un film che colpisce e fa riflettere. L’ultima opera di Fukasaku accompagnerà lo spettatore per diverso tempo dopo la visione, lasciando un certo senso di inquietudine proprio per gli evidenti punti di contatto ben visibili con la realtà in cui viviamo. Il finale, romantico e minaccioso, suona proprio come un monito per gli errori commessi e da non ripetere mai più.

Battle Royale

Voto - 8

8

Lati positivi

  • Critica societaria potente e realistica
  • Eccellente fotografia di Katsumi Yanagishima
  • Sceneggiatura solida
  • Buon contrasto tra modernità e classicismo

Lati negativi

  • Ripetitività narrativa
  • Ritmo non sempre eterogeneo

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