Don’t Move: recensione del film Netflix prodotto da Sam Raimi, con Finn Wittrock
Il nuovo thriller targato Netflix è un prodotto intrigante che racconta una particolare storia di sopravvivenza
Alcuni recenti film thriller/horror hanno posto i loro protagonisti in situazioni in cui, privati di sensi o elementi fondamentali come la vista, l’udito o la parola, dovevano sopravvivere a creature mostruose o sadici killer. Hush di Mike Flanagan, Bird Box di Susanne Bier e A Quiet Place di John Krasinski sono gli esempi migliori per descrivere questa recente tendenza. Ora giunge ad inserirsi in questo particolare filone un nuovo thriller Netflix, in cui la protagonista cerca di sfuggire a un inquietante serial killer che le ha iniettato un serio che la renderà completamente immobile. Il film in questione è Don’t Move, di cui vi presentiamo la recensione.
Prodotto da un esperto del cinema di genere come Sam Raimi, questo thriller vede come protagonisti Kelsey Asbille (Yellowstone) e Finn Wittrock (American Horror Story) ed è diretto da un duo di registi composto da Adam Schindler e Brian Netto. Diverso da molti sbiaditi thriller di Netflix, Don’t Move (qui il trailer) riesce nell’impresa di intrattenere, tenere in tensione e allontanarsi da molti stereotipi del genere. La sua premessa intrigante però rischia di diventare un limite alla piena riuscita del film.
Indice
La trama – Don’t Move recensione
Iris (Kelsey Asbille) non ha ancora superato il lutto per suo figlio Mateo, morto durante un’escursione in famiglia. Una mattina si reca da sola sul luogo della sua morte, che si trova all’interno del parco nazionale del Big Sur. Il dolore della donna è così forte da spingerla a volersi suicidare, gettandosi da una rupe. Proprio quando sta per compiere questo gesto disperato, compare un uomo di nome Richard (Finn Wittrock), il quale raccontandole la sua storia, riesce a farle cambiare idea. Poco dopo l’uomo però la aggredisce con un taser e la rapisce. Iris riesce a liberarsi, ma prima di fuggire l’uomo le rivela di averle somministrato un agente paralizzante, mentre era incosciente. La donna ha solo venti minuti prima che la sostanza faccia effetto. Saranno sufficienti per mettersi in salvo? È solo l’inizio di una corsa per la sopravvivenza.
Un thriller che cerca di non sfidare la sospensione dell’incredulità
Don’t Move è un prodotto interessante che ha inizio da un incontro che ricorda quasi l’incipit di un film drammatico con una storia d’amore. Un inganno svelato poco dopo, quando l’uomo che incontra Iris si rivela uno psicopatico che l’ha salvata dal suicidio solamente per renderla una sua vittima. A questo si aggiunge un altro elemento interessante: di lì a poco la protagonista si ritroverà completamente immobile e questo induce a chiedersi come potrà andare avanti il film fino al termine dei 90 minuti. Da questo punto di vista Don’t Move si rivela una vera sorpresa, perché si allontana dai tanti stereotipi del genere thriller e horror. Infatti il killer incontrerà non poche difficoltà nel suo tentativo di portare al termine il suo piano, nonostante la sua vittima sia completamente immobile.
Nel suo percorso l’uomo non troverà persone completamente ingenue, che sfidano la sospensione dell’incredulità, e dovrà combattere con l’ostinazione della donna, la quale ha completamente ritrovato la voglia di vivere in questa terribile situazione. La storia del film dunque contiene una maggiore dose di realismo, un elemento spesso raro nei thriller e negli horror, e le situazioni rappresentate appaiono verosimili. Un altro elemento apprezzabile è senz’altro la costruzione psicologica del killer, una figura intrigante e inquietante al tempo stesso che non mancherà di sorprendere. Lo stesso non si può dire della protagonista, limitata purtroppo dall’immobilità, il motore narrativo dell’intera pellicola. Avere una protagonista inerte però non rallenta minimamente il ritmo narrativo, in cui la tensione non viene mai a mancare. L’immobilità limita invece il ritratto psicologico della donna, la quale possiede una dimensione interiore complessa, essendo una madre in lutto che ritrova all’improvviso la forza di continuare a vivere.
Cosa non funziona – Don’t Move recensione
Un altro elemento debole del film risiede nel significato metaforico che si cela dietro la trama thriller. Il tema del controllo maschile sul corpo femminile e l’evoluzione catartica della protagonista sono infatti mal sviluppati, soprattutto per l’eccessivo focus sull’antagonista maschile, che finisce per rendere molto superficiale la rappresentazione della rivendicazione dell’autonomia femminile. Da questo punto di vista quindi Don’t Move sembra quasi contraddirsi da solo. Una contraddizione che si nota anche nelle prove del cast, dove a emergere è senz’altro Finn Wittrock. L’attore è stato uno dei pupilli di Ryan Murphy in varie stagioni di American Horror Story, in cui ha potuto sfoggiare buone doti recitative, soprattutto in ruoli di villain. Queste qualità attoriali sono ben visibili anche in Don’t Move, ma finiscono per soppiantare la performance di Kelsey Asbille, costretta in gran parte all’immobilità e incapace di restituire a pieno la portata emotiva del suo personaggio.
In conclusione Don’t Move è dunque un film intrigante, in grado di distinguersi da altri prodotti del genere; la tensione non manca e attori e cast tecnico sono dei buoni punti a favore. Piacevoli anche alcune suggestioni presenti in alcune sequenze, che rimandano a classici del thriller e dell’horror come Le verità nascoste di Robert Zemeckis e Venerdì 13. Come detto, a mancare è invece una maggiore attenzione ai sottotesti metaforici che il film cerca di imbastire un po’ goffamente. Con uno sforzo in più il film poteva diventare un prodotto maggiormente degno di considerazione. Se non altro, lo si può consigliare per un buon intrattenimento di genere.
Don't Move
Voto - 6.5
6.5
Lati positivi
- La premessa del film è intrigante
- Il film cerca di allontanarsi da diversi stereotipi del genere thriller/horror
- La performance di Finn Wittrock
Lati negativi
- L'immobilità della protagonista limita molto il suo approfondimento psicologico e la performance recitativa di Kelsey Asbille
- Il film sembra un po' contraddire se stesso nello sviluppo del sottotesto metaforico