Drive My Car: la recensione del film candidato agli Oscar 2022

Meta-teatro al cinema e un'elegante e avvolgente riflessione sul potere del linguaggio

Diretto da Ryusuke Hamaguchi, Drive My Car, di cui vi presentiamo la recensione in questo articolo, è stato molto acclamato dalla critica. Premiato a Cannes e vincitore del Golden Globe come Miglior film straniero, è stato candidato agli Oscar 2022 con quattro nomination: Miglior Film, Miglior sceneggiatura non originale, Miglior film internazionale, Miglior regia. Il film è tratto dall’omonimo racconto dello scrittore giapponese Haruki Murakami. Dalla durata corposa (179 minuti), Drive My Car è una pellicola molto complessa dal punto di vista della sceneggiatura. Ricca di dialoghi e di silenzi, dispiega gradualmente la sua essenza, quasi si trattasse di due film in uno. È molto forte la componente meta-teatrale che veicola un’acutissima ed elegante riflessione sulla comunicazione, su quanto sia difficile interpretare le parole e i silenzi, persino per chi con esse lavora ogni giorno, come il regista teatrale protagonista del film.

Attori sul palco e nella vita, assenza di parole, gestualità ripetute e omesse, sensualità del corpo e del linguaggio: Drive My Car è tutte queste cose insieme. Allo stesso tempo è un road movie, perché racconta di un viaggio fisico, ma anche metaforico verso l’accettazione e l’elaborazione della verità. Un po’ come l’intenso, dirompente e conturbante in Burning di Lee Chang Dong, è necessario attendere per addentrarsi e comprendere appieno la volontà del regista. Un’attesa che però non è mai noiosa, ma costruttiva, alimentata da sequenze cinematografiche pazienti e al contempo eleganti che riproducono abilmente il percorso di esternazione dei sentimenti dei protagonisti, molti dei quali sono repressi e nascosti. Da luogo di finzione il teatro diventa luogo di maturazione e di verità, così come lo è la macchina rossa simbolo del film. Essa può essere definita a tutti gli effetti come un vero e proprio teatro dell’anima in movimento.

Drive My Car la recensione

Drive My Car. C&I Entertainment, Culture Entertainment, Bitters End

Indice

La Trama – Drive My Car recensione

Drive My Car comincia descrivendoci la relazione che sussiste tra il protagonista Yusuke Kafuku (Hidetoshi Nishijima), attore e regista teatrale, e Oto (Reika Kirishima), una sceneggiatrice dallo spiccato talento, per la quale sensualità e parola sono un tutt’uno. La donna, infatti, ha la singolare particolarità di creare storie quando raggiunge il culmine del piacere con il suo partner, per poi dimenticarsi di esse il giorno dopo. È il marito a ricordargliele in un gioco sensuale e creativo. Caratterizzata da uno strano equilibrio, fatto di contatto fisico, complicità creativa, ma anche di notevole distanza, la coppia, già provata da una trauma, sarà segnata da un evento indelebile che modificherà per sempre la loro unione e con essa il film Drive My Car. In seguito a tale evento, dai complessi retroscena, il protagonista smette di recitare si reca ad Hiroshima, per dirigere un adattamento teatrale di Zio Vanja di Anton Cechov

Drive My Car la recensione

Drive My Car. C&I Entertainment, Culture Entertainment, Bitters End

In questo spettacolo, che coinvolge attori di diversa provenienza geografica, ognuno parlerà la sua lingua d’origine cercando di mantenere l’universalità del linguaggio teatrale e di comunicare il messaggio dell’opera di Cechov. Spostandosi sulla sua Saab turbo rossa, in cui si esercita a ripassare i copioni teatrali mediante registrazioni preparate dalla moglie, il regista Kafuku sarà accompagnato da Toko, una taciturna autista, una delle poche persone in grado di guidare bene, oltre a lui, la sua preziosa auto. In Drive My Car possiamo davvero distinguere due film in uno: il primo è quasi un grande prologo, precede i titoli iniziali, che in modo molto originale si avranno circa a metà film. Nella prima parte si descrive la complessa relazione fisica, emotiva e dialettica tra Yusuke e Oto, una descrizione che è però parziale ed enigmatica e i cui misteri saranno chiariti a poco a poco durante lo sviluppo successivo.

Un’auto rossa e il dilemma della comunicazione – Drive My Car recensione

Non è semplice riassumere il percorso di elaborazione, riflessione e catarsi che contraddistingue i personaggi principali di Drive My Car. Nella pellicola vi sono dei “luoghi”, quali la macchina e il teatro che diventano per loro dei significanti: dei mezzi per esprimere ciò che non è possibile esprimere a parole, a causa del dolore, del senso di colpa, della paura del rifiuto e dell’incomprensione. Il paradosso è che l’auto rossa e il palco teatrale siano dimensioni più vere della vita reale, luoghi in cui è possibile mostrare se stessi e mettersi a nudo per i protagonisti. “Checov tira fuori quello che hai davvero dentro di te” dice il regista Kafuku ed il suo grande progetto teatrale non è altro se non infine il desiderio di risolvere il dilemma della comunicazione: come possiamo davvero esprimere ciò che vogliamo agli altri, se ognuno di noi, in quanto individuo diverso dall’altro parla un’altra lingua?

Comunicare con gli altri è come guidare una macchina: bisogna farlo con cura, attenzione, ascolto, pazienza e rispetto, per sentirsi allineati sulla stessa strada. I silenzi e le menzogne del regista e della moglie, così come il loro viscerale rapporto fisico e la sensuale unione data dalla parola si fondano sul bisogno di superare una forte mancanza che li accomuna. Una mancanza coperta da un velo di silenzio. Solo grazie all’ingresso in scena di due personaggi – l’ autista Misaki e il giovane attore Koji Takatsuki (Masaki Oka), che segue il regista per cercare anche lui se stesso grazie all’innovativo spettacolo – Kafuku potrà guardarsi allo specchio e vedere riflessa lì la verità delle sue omissioni e dei dolorosi paradossi dell’amore non comunicato, ma tenuto nascosto. Senza dubbio Drive My Car è un film sul non detto, come dimostra la straordinaria interpretazione di tutti gli attori, che giocano in sottrazione.

Drive My Car recensione

Drive My Car. C&I Entertainment, Culture Entertainment, Bitters End

Meta-teatro e il potere della parola

Con abilità Ryusuke Hamaguchi si sofferma nel riprendere le prove degli attori nello spettacolo di Checov ideato dal protagonista. Essi guadagnano in espressività solo quando accettano di mostrare se stessi sul palco, senza orpelli né finzioni. La componente meta-teatrale di Drive My Car è, come si diceva all’inizio della recensione, fortissima. Gli attori del film interpretano attori teatrali che, nel recitare, cercano di comprendere se stessi. Tutto ciò è reso magistralmente dalla sceneggiatura che offre dei dialoghi di grande spessore e profondità, soprattutto nei punti cruciali della trama. Se nella prima parte del film si costruiscono gli enigmi e i vuoti nelle personalità dei personaggi, nella seconda parte e soprattutto nel finale l’alternanza tra il copione recitato di Zio Vanja e i dialoghi della vita vera dei personaggi costruiscono un moto armonico destinato a scardinare le omissioni e il silenzio con l’affermazione della dolorosa verità.

Elegante nella forma e nella direzione degli attori, la regia di Hamaguchi ci conduce delicatamente e pazientemente al culmine del racconto, con una guida calma e tranquilla, che costruisce un magnetico e graduale dialogo con lo spettatoreStraordinario il carisma di tutti gli interpreti, tra cui spiccano senza dubbio Reika Kirishima (Oto) , Hidetoshi Nishijima (Kafuku), Masaki Oka (Koji Takatsuki) e Toko Miura (Misaki). Film sulla parola e la sua assenza, Drive My Car è un road movie che si muove sul binario irregolare e tormentoso del significato del linguaggio. Qual è il vero potere della parola? Sembra chiederci il regista. Il discorso è più che mai attuale, non solo per la cultura giapponese, forse più restia all’esternazione verbale dei sentimenti, ma anche per la nostra. La domanda rispecchia i nostri tempi, in cui ad un facile accesso a molteplici forme di linguaggio non corrisponde sempre però la capacità di interpretarlo con autenticità…

Drive My Car la recensione

Drive My Car. C&I Entertainment, Culture Entertainment, Bitters End

Drive My Car e gli Oscar 2022

Per la sua piacevole e scorrevole complessità Drive My Car senza dubbio merita di essere protagonista agli Oscar 2022. Per la sceneggiatura non originale dovrà competere innanzitutto con Il potere del cane di Jane Campion, altro film pluripremiato ai Golden Globe. Anche qui si tratta di un film dall’impianto teatrale, con ottimi dialoghi, tratto dal romanzo omonimo di Thomas Savage. La sfida è ardua, considerato l’alto livello delle sceneggiature. Tuttavia Drive My Car brilla per un impianto decisamente meno classico nella costruzione del film. Il linguaggio metaforico, pur presente anche in Il potere del cane, in Drive My Car si sviluppa in forme maggiormente complesse che toccano diversi campi: da quello meta-artistico, a quello psicoanalitico sulla riflessione del linguaggio.

Per quanto riguarda le altre candidature: la vittoria ai Golden Globe 2022 come Miglior Film Straniero fa ben sperare in un successo. Ricordiamo però che il film dovrà competere tra gli altri con E’ stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino. Entrambi film, personali e autoriali, hanno in comune il tema del non detto e del trauma sotteso alla mancanza di parole per esprimerlo. Il film di Sorrentino attinge alla sua esperienza personale ed è la pellicola più personale del regista. Il discorso del regista italiano è condotto con toni drammatico-grotteschi fortemente accentuati, al punto che la verosimiglianza lascia il posto, a tratti, alla caricatura. Al contrario, la sceneggiatura di Drive My Car mostra un’attenzione rara per i personaggi descritti, anche quelli, che inizialmente sembrerebbero meno importanti, per descrivere il loro mondo interiore, che si dispiega attraverso l’arte, il dialogo, il silenzio, in tutte le possibili forme di linguaggio.

Drive My Car la recensione

Drive My Car. C&I Entertainment, Culture Entertainment, Bitters End

Drive My Car

Voto - 9.5

9.5

Lati positivi

  • Sceneggiatura piacevolmente complessa e profonda, sorretta da interpretazioni e dialoghi memorabili
  • Un avvolgente viaggio meta-teatrale e linguistico alla ricerca del senso della parola, attraverso la sua seduttività e il suo potere catartico
  • Una riflessione universale sul non detto e sul linguaggio

Lati negativi

  • La lunga durata, comunque coerente col senso del film, potrebbe pesare su qualche spettatore

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