Green Book: la recensione del film con Viggo Mortensen

In anteprima dalla tredicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, ecco la nostra recensione di Green Book

Green Book, la recensione. Peter Farrelly si cimenta in solitario – senza l’aiuto del fratello Bobby, questa volta – portando sullo schermo uno spezzone di vita di Tony Lip. Presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, ormai alla sua tredicesima edizione, Green Book ha ottenuto il plauso del pubblico, ponendosi senza dubbio alcuno come uno dei migliori film presentati durante la rassegna cinematografica. Green Book, che si presenta come una comedy-drama decisamente ben costruita, riesce a rendere dinamico un road-movie senza particolare difficoltà. Complici, in questo contesto, anche le brillanti interpretazioni dei suoi protagonisti; Viggo Mortensen nel ruolo di Tony “Lip” Vallelonga, e Mahershala Ali in quello del musicista Don Shirley.

Il titolo del film si richiama al The Negro Motorist Green Book, una guida per i viaggiatori afroamericani che si mettevano sulla strada tra la metà degli anni 30 e la metà degli anni 60. Questa guida, ideata per far fronte alle leggi di segregazione razziali presenti nel Sud degli USA, conteneva al suo interno suggerimenti per muoversi il più in sicurezza possibile; erano indicati al suo interno locali, ristoranti e alberghi “African-American friendly”, in modo tale da proteggere il più possibile coloro che decidevano di mettersi sulla strada in posti estremamente razzisti.

Green Book recensione

 

Green Book recensione

New York, 1962. Tony “Lip” Vallelonga, americano di origini italiane, lavora come buttafuori in un locale notturno fino a quando questo chiude i battenti. Bisognoso di denaro per poter mantenere la propria famiglia, Tony prima si arrangia come può – anche grazie alla sua infallibile oratoria – per poi ottenere un nuovo incarico. Nessun locale questa volta, ma un lavoro come autista per quello che gli viene presentato come un “dottore”, ma che si rivela essere un musicista di estremo talento, Don Shirley.

Inizialmente scettico sull’incarico, soprattutto perché Don Shirley è nero, e Tony ci viene presentato subito come un uomo poco avanguardista per i tempi, l’italo-americano si ritroverà ad accettare il lavoro e a intraprendere un viaggio di 8 settimane nel profondo Sud del Paese; lì dove il razzismo era ancora una realtà molto più radicale di quanto non lo fosse a New York. E sarà proprio durante questo viaggio che i due impareranno a conoscersi e a dare un nuovo significato alla parola rispetto; e, perché no, anche a quella di amicizia.

Green Book e il road-movie

Lontano da qualsiasi intento didascalico, Green Book si presenta agli occhi del pubblico come un road-movie il cui significato più profondo si cela in superficie. Non c’è bisogno di scavare per ottenere una morale; questa è sempre presente, intrinseca nella sceneggiatura e nelle interpretazioni dei personaggi. E ci viene restituita grazie a una scansione temporale e geografica che procede di pari passo con l’evoluzione della consapevolezza che si fa strada nella mente dei protagonisti. Ed è proprio questo procedere le miglia che i due percorrono insieme che permette a entrambi di mutare opinione sul proprio compagno di viaggio.

Con una sovrapposizione di luoghi e date sullo schermo, ci ritroviamo a percorrere insieme a Tony Lip e Don Shirley le strade che li condurranno nel razzista Sud del Paese, in un viaggio consapevole in territori non facili per un uomo con la pelle scura. Questa scansione consente di mantenere un perfetto filo narrativo e, al contempo, di sfruttare la dinamica del road-movie per rendere palesi i cambiamenti che iniziano a verificarsi nel rapporto tra datore di lavoro e impiegato.

Green Book: i due protagonisti

Trattandosi di un biopic, per quanto limato e ritratteggiato, poteva sembrare inevitabile la lenta scivolata verso una narrazione banale e scontata. Tuttavia, l’ottimo lavoro del regista Peter Farrelly e degli sceneggiatori ha fatto sì che il racconto biografico non appesantisse la resa filmica. Ma oltre a ciò, il vero punto focale di Green Book è senza dubbio alcuno la resa scenica dei due protagonisti, perfetti nei loro ruoli.

Mahershala Ali dà vita a un Don Shirley sopra le righe; un uomo raffinato, di classe, lontano dal mondo del ghetto che spesso, in quei tempi, era parte integrante della vita delle persone afroamericane. Ali interpreta il musicista giamaicano con una perizia disarmante, riuscendo a comunicare i propri tormenti e il proprio disagio con semplici gesti, osservando il mondo che lo circonda senza sentirsi parte di esso, né da un lato – quello della borghesia “bianca”, che lo tratta da star solo per sentirsi in pace con se stessa – né dall’altro – quello del mondo dei neri discriminati, stereotipati e vittime di un razzismo radicale.

Viggo Mortensen, allo stesso tempo, ci restituisce una interpretazione magistrale, che sarebbe stata in grado di far reggere il film in piedi solo. Nel ruolo di Tony Vallelonga (per il quale è ingrassato di oltre venti chili) è perfetto; l’intercalare in italiano – e qualche stereotipo evidente – si uniscono al ritratto di un uomo che ha avuto il coraggio di cambiare se stesso. Mortensen si cala nella parte con entusiasmo, non vacillando neppure per un momento e permettendo così allo spettatore di assistere all’evoluzione di un uomo disposto a mettersi in discussione.

Green Book non ti dice cosa devi pensare; cosa devi ascoltare, o vedere. Secondo me, questo è un film, un invito a fare un viaggio. A ridere, a piangere, se volete. E forse a riflettere sui limiti delle prime impressioni. Non è una reazione forzata, è una bella storia condivisa dal passato, che può aiutarci a capire il presente.

– Viggo Morgensen

Uno sguardo sul presente

Green Book recensione

Nonostante il film sia ambientato nel 1962, è impossibile non individuare elementi che si richiamano alla contemporaneità. La volontà di trattare un tema razziale, ultimamente molto in voga, non si inserisce tuttavia con un intento didascalico o moralista. Si tratta, in ultima istanza, di un ritratto di ciò che è avvenuto; e ci viene presentato con eleganza nonostante la tematica di forte impatto sociale. D’altra parte, l’emotività gioca nel film un ruolo di rilievo; e allo stesso tempo l’empatia che entrambi i personaggi suscitano aumenta man mano nel corso della visione. Con toni da commedia, Green Book riesce a trattare argomenti di un certo spessore senza appesantire e senza diventare una apologia del razzismo.

L’accettazione, in ogni sua forma, diviene un punto chiave. E la sceneggiatura, curata tra gli altri dal figlio di Tony “Lip” Vallelonga, Nick – insieme a Brian Hayes Currie e Peter Farrelly – tratteggia in maniera sfumata, ma decisa, ogni componente che può concorrere a tale visione.

Conclusioni

Il film di Farrelly a livello emozionale ti lascia sconcertato, ti coinvolge dall’inizio alla fine; spingendoti a creare un legame emotivo con i protagonisti per motivazioni diverse. Tuttavia, non concentra tutto il suo potenziale nella storia. Sul piano tecnico lo spettatore può confrontarsi con una regia senza troppi fronzoli ma efficace, che riesce ad essere basica evitando di essere però noiosa. La fotografia, allo stesso tempo, è invece ben costruita, soprattutto nelle inquadrature on the road, dove i paesaggi dei vari paesi americani si alternano l’uno con l’altro. E proprio in base a questa alternanza si promuove anche il montaggio, che restituisce un movimento dinamico a tutta la pellicola.

Green Book è un film completo. Non lascia punti scoperti; non si distacca da un racconto ben strutturato per cercare una estetica non necessaria. Quello con Viggo Mortensen e Mahershala Ali è qualcosa che, con parole semplici, potremmo definire senza remore un bel film. Consigliato sotto ogni punto di vista.

 

Green Book recensione

8.5 - 8.5

8.5

Lati positivi

  • Ottima sceneggiatura
  • Riesce a coniugare comedy e drama perfettamente
  • Interpretazione dei protagonisti assolutamente convincente

Lati negativi

  • Finale che tende al sentimentale

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