Hit Man: recensione del nuovo film di Linklater – Venezia 80

Mentre Fincher ci spiega come diventare assassini, Linklater ci dice che invece non esistono e che tutti i sicari sono in realtà attori sotto copertura

Un festival di Venezia all’insegna dell’omicidio, tra Coup de Chance, The Killer e Hit Man, di cui vi proponiamo la recensione. Richard Linklater, regista eclettico e prolifico, porta fuori concorso un film di cui Glen Powell sembra l’autore principale. Ovviamente la mano del regista è innegabile, ma è curioso notare come l’attore, già visto in Top Gun: Maverick, sia produttore, protagonista e co-sceneggiatore.

Ispirato ad un vecchio articolo di cronaca letto dal regista anni fa, Hit Man racconta la storia di un falso sicario, a metà tra thriller e commedia, ragiona sulla capacità delle persone di cambiare, o addirittura stravolgere completamente la propria personalità, attraverso la semplice forza di volontà o interpretando un personaggio fino a dimenticare il confine tra farsa e realtà. Incredibile come il killer, figura cinematografica per antonomasia, abusata e inflazionata possa ancora fungere da spunto per opere originali e fresche. Ennesima sorpresa del festival Hit Man, seppure l’esclusione dal concorso resta un mistero.

hit man recensione

Hit Man, BarnStorm Productions, Aggregate Films, Detour Filmproduction

Indice

Trama: il mito del sicario – Hit Man, recensione

Gary è un professore universitario con la passione per gli hardware e di tanto in tanto auto la polizia nel piazzare cimici per registrare conversazioni di nascosto. Insieme al dipartimento infatti sfruttano il falso mito del sicario inviando Jasper, un lunatico poliziotto sotto copertura, ad interpretare il ruolo dell’Hit Man, per poi incastrarli non appena la transazione è compiuta. Un giorno però Jasper non è disponibile e pur di non sprecare l’occasione, Gary viene inviato come finto sicario, ma nonostante l’ansia porta a termine la missione. Interpretare un Hit Man si rivela un piacevole gioco e man mano che passa il tempo Gary si specializza nel costruire false identità a seconda di chi richiede il servizio. 

Durante una missione incontra però Madison, una bellissima donna vittima di un marito violento e piuttosto che incastrarla la dissuade dal commettere un crimine. Tempo dopo i due si rincontrano, ma Gary non rivela la sua reale identità continuando ad indossare i panni di Ron il killer. La faccenda gli sfugge rapidamente di mano e nel mentre la relazione con Madison prosegue, la farsa rischia di diventare realtà ed il gentile e dolce Gary si trasforma nello spietato Ron.

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Hit Man, BarnStorm Productions, Aggregate Films, Detour Filmproduction

Tra omicidi e teorie freudiane – Hit Man, recensione

Nel mentre Fincher ci insegna come diventare un sicario professionista, Linklater ci spiega come questo sia impossibile perché i sicari, o Hit Man che dir si voglia, in realtà non esistono. Gli assassini sono una finzione, un mito alimentato dal cinema e dalle serie tv, nel mentre criminali di bassa lega abboccano a quella che è una vera e propria truffa. Gary infatti si traveste e costruisce l’assassino perfetto per ogni cliente, spronando ognuno di loro a compiere il crimine piuttosto che dissuaderli. Non vi è una vera e propria riflessione sul sistema legale americano e come questo tuteli o meno gli incoscienti, vittime di sé stessi piuttosto che veri criminali, ma il tutto non è neppure lasciato al caso. Gary infatti si accorge del problema quando dissuade Madison e da buon poliziotto/professore si trasforma letteralmente in Ron il killer. Se inizialmente il suo lavoro lo rendeva un eroe, dopo aver salvato indirettamente una vita piuttosto che condannarla alla galera, la medaglia si rovescia e l’eroe della damigella non in pericolo non è il poliziotto ma l’assassino. È evidente che Gary diventa parte del giustizialismo tipico americano, che spesso sfocia in una vera e propria giustizia privata.

Non tutti coloro che assumono un sicario infatti sono bifolchi in cerca di vendetta per una partita a carte, Madison dimostra che a volte ci sono vere e proprie vittime e che dinanzi a queste la giustizia preferisca chiudere gli occhi. L’accenno è rapido e breve, ma non assente e influisce pesantemente sull’evoluzione e metamorfosi del protagonista. Gary/Ron è come un supereroe con una doppia identità e se di notte veste i panni del temibile Hit Man, di giorno, a scuola, spiega la differenza tra l’es, io ed il super io teorizzati da Freud. Ma nel mentre il programma scolastico procede, egli stesso diventa l’esperimento della sua tesi. La trasformazione da Gary a Ron ha inizio dalla semplice pulsione sessuale, il piacere per eccellenza, e l’infatuazione per Madison lo spinge a compiere un’azione incosciente, dettata soltanto dalla ricerca del piacere appunto (es). Man mano che il rapporto procede le regole inizieranno a diventare sempre più stringenti, risultato inevitabile viste le circostanze ed il lavoro che fa, portando ad una ridefinizione del rapporto sfrenato e animalesco tra i due, nel mentre la menzogna procede imperterrita (io). Dinanzi poi all’ovvia resa dei conti, in Gary (ormai Ron) emerge la consapevolezza che quanto fatto è sbagliato, consapevolezza che si unisce al desiderio di continuare però il rapporto e trovare quindi un compromesso. Ecco che il protagonista, scisso tra Gary e Ron, diventa super-io, non più uno o l’altro ma entrambi. 

Method acting letale – Hit Man, recensione

Come già detto in questa recensione, Hit Man non è solo una commedia ma un velato ragionamento su come le persone possano cambiare attraverso la motivazione e la forza di volontà, semplificato attraverso le teorie freudiane sull’inconscio. E non solo, infatti persino la recitazione intesa come pratica artistica viene tirata in ballo, è Jasper a riconoscere il valore artistico della messa in scena in uno dei momenti più esilaranti e complessi del film. Non c’è riferimento esplicito al metodo Stanislavskij, ma (forse inconsciamente e ancora una volta torna in gioco Freud) è proprio quello che fa il protagonista, truccandosi e vestendosi per ogni sicario che deve interpretare.

Rapidamente però il personaggio diventa persona e divora l’attore, portando in questo caso a conseguenze tanto ironiche quanto rischiose. In fondo il personaggio è pur sempre un sicario e seppure all’inizio del film ci viene detto che questi non esistano, Gary lo rende reale, assumendosene tutte le responsabilità e le colpe. Linklater non manifesta eccessivamente la mano dietro la macchina da presa lasciando alla narrazione il comando, forte di una sceneggiatura di ferro che mischia con sapienza diversi generi e di interpretazioni d’alto livello, centrali anche da un punto di vista tematico. La vera scoperta di questo Hit Man è però Glenn Powell, protagonista a tutto tondo del film e attore che decisamente terremo d’occhio dopo una performance a dir poco eccezionale, con tempi comici perfetti e capace di passare da un registro all’altro senza nessuno sforzo, anzi facendo apparire il tutto di una semplicità disarmante. Peccato soltanto non fosse in concorso.

hit man recensione

Hit Man, BarnStorm Productions, Aggregate Films, Detour Filmproduction

Hit Man

Voto - 8

8

Lati positivi

  • Glen Powell dimostra incredibili doti attoriali passando da un Hit Man all'altro
  • Dietro la semplice commedia si nasconde un più ampio ragionamento sulla recitazione ed il cambio di personalità

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