Lisa e il diavolo: recensione dell’horror surreale di Mario Bava

Recensione di una delle opere più oniriche e divisive del maestro Mario Bava, disponibile su Amazon Prime Video

Lisa e il diavolo: recensione. Grazie al palinsesto di Amazon Prime Video è possibile riscoprire un lavoro surreale dell’artigiano del brivido Mario Bava, geniale precursore del cinema di genere ed eccellenza della cinematografia nostrana, glorificato oltreoceano ma riscoperto solo da poco nel nostro paese. Diretta dal regista ligure e sceneggiata assieme al produttore Alfredo Leone nel 1972, la pellicola venne prematuramente ritirata dalla distribuzione dopo la fredda accoglienza riservatale al Festival di Cannes del 1973 e consegnata ad un momentaneo oblio.

Due anni dopo Leone decise di riproporla nelle sale, rimaneggiata su più livelli, col titolo La casa dell’esorcismo. Il risultato fu un claudicante lavoro che imboccò il sentiero delle possessioni. In un inutile tentativo di ripercorrere l’exploit di incassi ottenuto da L’esorcista di William Friedkin. Bava si distaccò dal progetto e solamente nel 2004 fu possibile ritrovare l’opera originale del cineasta di Sanremo (al di fuori dell’home video estero) tramite la piattaforma Sky.

Indice

Lisa e il diavolo recensione – Danza Macabra

Toledo, antica città collinare spagnola. Lisa (Elke Sommer, che agli esordi aveva lavorato in alcuni film di Lucio Fulci), bella donna giunta dagli Stati Uniti per turismo, si separa dal gruppo ritrovandosi in una stramba bottega. Qui incontra un ambiguo e bizzarro soggetto (un istrionico e inquietante Telly Savalas, la cui interpretazione sarà ispirazione per il fortunato ruolo del tenente Theo Kojak) intento ad acquistare un manichino. Terrorizzata dalla disturbante somiglianza fra l’uomo e una figura luciferina ammirata in un vecchio affresco, la donna fugge in un dedalo di strettoie spazzate dal vento, ove regna un silenzio surreale che cita atmosfere e inquadrature grandangolari di uno dei capolavori del regista, Operazione Paura (Kill, Baby, Kill!). Infine, un uomo la avvicina farneticando e rovina al suolo dalla scalinata in pietra, morente.

Per sfuggire agli eventi Lisa trova la compagnia notturna di una coppia e del loro autista diretti all’albergo, ma un guasto li costringe a riparare in una vetusta villa in mezzo ai boschi di proprietà della glaciale e cieca contessa interpretata da Alida Valli. Con lei vivono il figlio Massimiliano (Alessio Orano), lo strano individuo incontrato alla bottega, di nome Leandro, impiegato come maggiordomo ed un misterioso ospite. La magione spalanca le fauci dell’assurdo ed ha inizio una catabasi verso una ridda terrificante e allucinata in cui Lisa dovrà ritrovare la propria identità.

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Lisa e il diavolo, Euro America Produzioni Cinematografiche, Leone International Film, Roxy Film, Tecisa

Lisa e il diavolo recensione – Impasto di stilemi gotici

Per sua stessa natura Lisa e il diavolo si nutre del lavoro estetico e concettuale maturato dal cineasta durante il suo percorso artistico. In un vortice di illusioni e turbamenti Mario Bava amalgama elementi ricorrenti del suo cinema. Le atmosfere avvolte dal blu asfissiante ricordano I tre volti della paura (distribuito negli USA come
Black Sabbath, che ispirò il nome dell’omonimo gruppo); l’uso viscerale e simbolico dei manichini era già stato formalizzato dal cineasta in Sei donne per l’assassino (uno dei capostipiti del giallo all’italiana). Ad uno dei suoi film migliori, La Maschera del Demonio, deve lo studio su composizione dell’inquadratura, gestione della foschia (efficace la fotografia fredda, di cui si occupò il direttore spagnolo Cecilio Paniagua) e potenza degli sguardi, con close-up che sfociano in primissimi piani o in lugubri dettagli: si contano infatti oltre 100 zoom.

Non mancano rimandi ad opere massime. L’utilizzo delle ombre che strisciano sui muri rimembra l’operato dell’Espressionismo tedesco, anche senza il tagliente bianco e nero; il personaggio di Lisa strizza l’occhio alla Mia Farrow del meraviglioso Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York di Roman Polanski ed alcuni design sono un omaggio a Psycho di Alfred Hitchcock. È dunque un collage di topoi di un horror decaduto, come i cult della Hammer diretti da Terence Fisher, basato su fantasia, illuminazione e talento visivo. Allo schema gotico Mario Bava aggiunge il tema del doppio, ben elaborato e non relegato a mero motore narrativo.

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Lisa e il diavolo recensione – Il dubbio iperbolico

Renato Cartesio, filosofo francese che operò nel XVII secolo, teorizzando il dubbio iperbolico disse che l’uomo deve dubitare di qualunque aspetto del mondo fino a porre persino l’esistenza di un Genio Maligno, un’entità che abbia come scopo ingannarci. È interessante come la pellicola di Mario Bava trasponga questo concetto su un piano ancora più radicale: se l’inganno si protraesse anche alla morte? Veniamo a contatto con un luogo dove realtà e finzione si sovrappongono, l’impossibile e la certezza si fanno un unico concetto. Amore e morte si confondono, dando vita ad una delle sequenze più inquietanti del film.

Lisa si ritrova in un teatro dell’assurdo permeato da un malsano senso di eternità, dove si susseguono personaggi grotteschi ed eventi inspiegabili. La dilatazione degli spazi e delle azioni spingono a far dubitare la donna anche di sé stessa; la logica si infrange in un non-luogo mendace e sospeso. Fino all’ultimo fotogramma e forse oltre, nei nostri cuori, il Diavolo può ingannarci e deriderci poiché siamo manichini, ignari dinnanzi al fato e alla verità: non abbiamo neanche il diritto di sapere se siamo morti.

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Considerazioni finali

In conclusione di questa recensione di Lisa e il diavolo è opportuno sottolineare come si tratti di una delle opere più complesse di Mario Bava: per alcuni un capolavoro, per altri da scartare. Chi scrive, nel rispetto della mediocritas, tende a soppesare i due fuochi. Non è il miglior film del regista; propone una difficoltà di ricezione notevole ma a tratti eccessivamente confusa, soffrendo di cali di ritmo nella parte centrale. L’altalenante chiarezza e un’interpretazione del cast qualitativamente non omogenea potrebbero infastidire i meno avvezzi. Le musiche, curate da Carlo Savina, a differenza della scenografia risultano monotone e poco incisive nella costruzione dell’atmosfera.

Al netto dei difetti vi è grande attenzione per i dettagli e per l’estetica. La regia si libera dai vincoli dei banali horror odierni dando vita ad un morboso incubo che pervade personaggi e spettatore. Ispirati i simbolismi e la messa in scena: l’arredo della villa spicca per cura e precisione, memorabile il macabro carillon. Una pellicola da riscoprire, inadatta ad un primo approccio al regista italiano eppure un must per gli amanti dell’horror nostrano.

Lisa e il diavolo

Voto - 7

7

Voto

Lati positivi

  • Summa di tecniche espressive surreali oramai rare
  • Ambientazioni orrorifiche di grande efficacia
  • Importante per gli estimatori del regista

Lati negativi

  • Di ardua lettura e con alcuni cali di ritmo
  • Non tutti gli interpreti sono convincenti

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