La Concierge Pokémon: recensione della serie di animazione Netflix

I celebri mostriciattoli giapponesi tornano con una miniserie in stop-motion contro lo stress della vita quotidiana

Alla sua sempre più ricca offerta di titoli d’animazione Netflix aggiunge, in tempo per le feste, una nuova serie. Dal 28 dicembre ecco allora disponibile La Concierge Pokémon, una miniserie in stop-motion che, in soli quattro episodi, esplora il celebre universo popolato dai “pocket monsters” creati da Satoshi Tajiri da una prospettiva inedita e laterale, quella dell’impiegata di un resort dedicato proprio agli iconici mostriciattoli giapponesi e ai loro allenatori.

Realizzata dai Dwarf Studios in collaborazione con Netflix e The Pokémon Company e diretta da Iku Ogawa, la serie, con leggerezza e delicatezza, rielabora così il celebre materiale di partenza attraverso una storia semplice e intima che è anche un viaggio di formazione, il tentativo di una ragazza di confrontarsi con una nuova realtà riscoprendo se stessa. Lontano dall’azione del concept originale (niente combattimenti, palestre o rivalità tra allenatori) ma non dal suo spirito, La Concierge Pokémon è così una deliziosa, piccola storia collaterale che non mancherà di sorprendere, facendo la gioia di fan e appassionati di ogni età.

Indice:

Trama – La Concierge Pokémon recensione

Non è un momento facile per Haru. Il suo fidanzato l’ha lasciata, il lavoro non va come dovrebbe e la sensazione di non trovare un posto nel mondo sembra essere sempre più pressante. C’è bisogno di un cambio di aria e di prospettiva, qualcosa che la allontani da tutto quello stress e le doni un minimo di pace e relax. Quale modo migliore, allora, se non quello di imbarcarsi e diventare concierge pokémon in un resort tropicale dedicato proprio a quelle simpatiche creature e ai loro allenatori?

Fatta la conoscenza dello staff e, soprattutto, di uno Psyduck desideroso di attenzioni, Haru scoprirà così, tra Pikachu intimiditi e Magikarp che non sanno nuotare, un nuovo mondo dove potersi finalmente mettere in gioco. Sarà l’inizio di un percorso verso l’accettazione di sé destinato a passare inevitabilmente anche attraverso il confronto con gli altri. Fino a scoprire che quei pokémon da accudire non sono poi tanto diversi da noi ma potrebbero addirittura insegnarci qualcosa.

La Concierge Pokémon recensione

La Concierge Pokémon. Dwarf Studios

Un universo in espansione

Ne è passato di tempo da quel lontano 1996 in cui Satoshi Tajiri dava vita alla coppia di videogiochi per Game Boy che avrebbero, di fatto, sancito la nascita dei Pokémon. Era l’inizio di un media franchise destinato a conquistare il mondo, tra anime, film, manga, giochi di carte collezionabili e gadget infiniti. Un vero e proprio impero nell’industria dello spettacolo e dell’intrattenimento in grado di plasmare un intero immaginario nei decenni a venire, invadendo con i suoi buffi e simpatici mostriciattoli le esistenze di milioni di bambini e ragazzi.

Un marchio, una fabbrica di mostri potenzialmente inesauribile a cui va riconosciuto il pregio di essere stata sempre fedele a se stessa, tanto nell’approccio al materiale di partenza quanto nello spirito. È proprio dallo stesso spirito che contraddistingueva quei primi videogiochi che sembra infatti scaturire La Concierge Pokémon. Una sorta di unicum, tra lo spinoff e la serie originale, che si colloca in un universo che non ha più bisogno di presentazioni. L’ennesimo tassello di un mondo oramai famigliare ma ancora desideroso di essere scoperto ed esplorato.

La Concierge Pokémon recensione

La Concierge Pokémon. Dwarf Studios

Impegno e divertimento

Quale modo migliore allora per esplorare ancora una volta quel mondo se non attraverso la routine di uno di quei “centri pokémon” di cui, sin dall’inizio, erano disseminati i videogiochi? È qui che comincia l’avventura di Haru, in un’isola felice dove poter finalmente essere davvero se stessa, dire addio allo stress di una vita frenetica, fatta di sveglie, scadenze, mail e codici di abbigliamento, per mettersi sulla stessa frequenza dei pokemon e dei loro problemi.

È proprio capendo quelle creature che Haru riuscirà infatti a capire se stessa, a “evolversi” come loro, trovando finalmente il suo posto nel mondo. Un viaggio di formazione, quello di La Concierge Pokémon, leggero ed essenziale ma che, nell’esilità della sua trama solo apparentemente infantile, nasconde temi e problemi in cui tutti si possono rispecchiare, dal senso di inadeguatezza al bisogno di prendersi una pausa, dall’insicurezza alla necessità di stare realmente bene con se stessi.

La Concierge Pokémon recensione

La Concierge Pokémon. Dwarf Studios

Una vacanza in stop-motion

Ma, oltre alla delicatezza della storia, la vera forza di La Concierge Pokémon sta sicuramente nella sua animazione a passo uno. Una tecnica che dona ai suoi personaggi una inedita dimensione fisica e materica trasformandoli da simpatici mostriciattoli bidimensionali a teneri pupazzi di pezza. Un connubio inedito tra passato e presente (anche dell’animazione) che si rivela ideale per questa vicenda sospesa tra fantasia e realtà, tenerezza infantile e problemi della vita adulta.

È proprio in questa commistione che la serie si rivela a suo modo sorprendente, regalandoci una storia per certi versi stratificata, capace di parlare tanto agli adulti quanto ai bambini. Ai primi, attraverso problematiche quotidiane e a un immancabile effetto nostalgia; ai secondi, attraverso una tenerezza smisurata per quelle creature bisognose di affetto e comprensione. Il risultato ha l’effetto di una cura contro lo stress della vita quotidiana, una breve, brevissima vacanza per grandi e piccoli che avremmo voluto durasse un poco di più.

La Concierge Pokémon

Voto - 7

7

Lati positivi

  • La vicenda è semplice ma capace di parlare tanto agli spettatori adulti quanto ai più piccoli
  • L'animazione in stop-motion si sposa bene alla natura della serie e al suo essere un unicum nell'universo pokémon

Lati negativi

  • Se ci si aspetta una serie fatta di combattimenti tra pokemon e scontri tra allenatori si rimarrà delusi
  • Un paio di episodi in più, forse, avrebbero reso la serie ancora più interessante

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