La vita nascosta – Hidden Life: recensione del film di Terrence Malick

Il regista statunitense torna con un dramma tratto da una storia vera

Ci sono autori che, nel bene o nel male, resteranno per sempre legati alla storia del cinema. Cineasti che avranno sempre un posto riservato accanto alla parola maestro. Questo è il caso di Terrence Malick, cineasta che certamente non ha bisogno di grandi presentazioni. Dopo The Tree of Life, opera di immensa fattura sotto tutti i punti di vista, il regista statunitense ha portato avanti una serie di progetti più che discutibili. Gli ultimi dieci anni, per Malick, sono stati sia i più produttivi e fertili della carriera che, contemporaneamente, quelli più sperimentali e discussi. All’ultimo Festival di Cannes, provando a guardare al passato, ha presentato La vita nascosta – Hidden Life, di cui vi parleremo in questa recensione.

La storia è quella di Franz Jägerstätter (beatificato nel 2007) fattore austriaco della piccola cittadina di Sankt Radegund. Egli, padre di famiglia, è l’unico dei suoi concittadini a votare contro l’Anschluss, l’annessione dell’Austria alla Germania hitleriana. Quando scoppierà la guerra, Franz sarà chiamato alle armi ma l’uomo conosce già il destino che lo attenderà; rifiutandosi di combattere per il Terzo Reich rischia non solo di esser arrestato ma anche giustiziato per tradimento. Scopriamo di più in questa recensione de La vita nascosta.

Indice

La vita nascosta – Hidden Life, la recensione

L’idea di coniugare il vecchio con il nuovo a Malick non è probabilmente riuscita come da premessa. Se la linearità del racconto – inteso nella sua costruzione narrativa – è forse la più solida da I giorni del cielo, il regista resta ancora legato al modo di realizzare le sue immagini, di girare, che ha caratterizzato le sue ultime opere. Ed è proprio questo a rendere purtroppo, per certi versi e in alcuni specifici frangenti, indigeste alcune sequenze. Nel recente passato, o almeno da The Tree of Life in poi, i soggetti sui quali si basavano i suoi prodotti permettevano di proporre soluzioni formali simili. La storia qui raccontata, nel suo esser più “concreta”, mal si sposa con questo tipo di messa in scena. Malick torna alla linearità, alla storia raccontata da capo a coda: ma qui, a mancare, sono proprio le fondamenta per parlare di storia.

Non solo nel modo di girare e di vedere i suoi protagonisti, ma anche nel modo di raccontarli, La vita nascosta è molto più vicino a opere come Knight of Cups di quanto non si possa immaginare. Malick cambia il soggetto e l’ambientazione, manovrando elementi che garantiscono maggiore empatia, ma il suo modo di vederli resta uguale. L’esasperata ripetizione pleonastica di alcune immagini e del processo di sviluppo di esse distrugge il dramma e prosciuga ogni stimolo intrinseco dell’opera. Ed è un peccato se si evidenzia quello che una storia così potente poteva raccontare allo spettatore, tenendo per altro conto del suo esser sconosciuta ai molti. Malick però sembra non essere interessato a osservare gli eventi e raccontali, visceralmente legato alla potenza di alcune frasi e soprattutto all’impatto emotivo che quei piccoli gesti, dettagli, possono provocare; essi, però, restano confinati all’istante nel quale vengono fuori.

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La vita nascosta – Hidden Life. Studio Babelsberg, Elizabeth Bay Productions

Di martelli e di incudini

Una vicenda così poteva – e forse doveva – esser raccontata diversamente. Ma, come già detto, viene scelta un’attenzione più orientata alla riflessione sulla massima pronunciata di tanto in tanto. E i personaggi (interpretati però benissimo) ne risentono, raccontando meno di quanto l’autore non faccia con gli eventi. Malick non scava all’interno del suo protagonista e così non ne comprendiamo gli intenti e le motivazioni; sì accenna alla religione ma senza indagare un rapporto uomo-fede che avrebbe donato maggior attrattiva al personaggio e alla storia. L’indagine psicologica è la vera assente, mancando di turbamenti e antitesi, dando un taglio quasi dottrinario a protagonista e vicenda. Un percorso che inizia e finisce (non scontato viste le recenti proposte tutt’altro che “ordinate”) ma che in mezzo perde di sostanza, scaricandola tutta nella potenza del bellissimo finale che però si porta dietro due ore e mezza fin troppo faticose.

La natura cristologica del protagonista della sua opera non giustifica l’intenzione dogmatica che non passa mai al vaglio di un esame critico e di coscienza ma viene data dall’inizio alla fine come assiomatica. Il tema della storia nascosta non è sostanzialmente mai esso in gioco (oltre a qualche occasionale, quanto effimero, riferimento) e forse, al netto delle tre ore, sarebbe stato molto più interessante costruire il film su questo. Ciò invece resta confinato al titolo e ad un cartello finale che da solo varrebbe il prezzo del biglietto. La forma, certo non aiutata dall’estrema libertà dei movimenti di macchina e del montaggio (non una novità, oramai), gode di una spettacolarità delle immagini singolare. Non c’è Lubezki ma il suo stile è ripreso fedelmente; uno studio della natura, dei suoi colori e delle atmosfere bucoliche che lasciano a bocca aperta ad ogni frame. Una poesia cromatica che diventa grande grazie alla luce, qui più controllata rispetto al recente passato.

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La vita nascosta – Hidden Life. Studio Babelsberg, Elizabeth Bay Productions

La comprensione del nemico e di noi stessi –  La vita nascosta, la recensione

Curioso è come Malick osservi i suoi personaggi. Egli pone sull’altare della beatificazione il suo martire senza dar mai voce alla sua anima, rifiutando di aprirlo al dialogo. L’unico spiraglio di interiorità è il dialogo epistolare che punta a raccontarci l’intensità degli effetti e dell’intimità – con un uso delle voci fuoricampo diverso e più coerente del passato. Le tante parole che sentiamo, però, non le comprendiamo; perché lo sguardo sul nemico è spietato e, anche qui, non felice nella scelta fin troppo manicheista di vedere il bene e il male. Ogni elemento considerato come il male, il nemico, non viene tradotto, sottotitolato e quant’altro. Deve riconoscersi chiaramente chi sta dalla parte opposta e in questo caso è la lingua tedesca a distinguerlo. Poco comprendiamo del nemico e lo stesso si può dire delle intenzioni di Malick.

Un film che, sia chiaro, affascina con il suo spirito evocativo e poetico ma che non poggia sulla concretezza che il soggetto offriva. Uno stile che mal si adatta a questo tipo di storia e, più che dar peso espressivo, a volte infastidisce. Un messaggio che non è chiaro e non si focalizza mai, perdendosi nella sua libertà visiva e narrativa e soffrendo per gli stessi difetti che rendevano opere come To the Wonderper citare forse la peggiore della recente produzione – insopportabili. Malick dà l’idea di ricercare sempre qualcosa – e lo fa per almeno due terzi del film – ma sembra trovarla e afferrarla soltanto nell’intensa conclusione dall’elevata scarica emotiva.

La vita nascosta - Hidden Life

Voto - 6.5

6.5

Lati positivi

  • Il ritorno ad una narrazione più lineare e un finale potentissimo
  • Buona parte delle sequenze sono dei quadri in movimento, fotografati con una cura per la luce e il colore impressionanti

Lati negativi

  • Una storia che non scava quasi mai a fondo, non rendendoci partecipi pienamente e risultando meno interessante di quanto avrebbe potuto fare grazie al soggetto
  • Un ritmo compassato che non aiuta a render più fluidi i 180 minuti

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