L’uomo invisibile: recensione del thriller con Elisabeth Moss

Una reinterpretazione del classico di H. G. Wells in chiave moderna e sociale

Nel 1897 (1900 in Italia) H. G. Wells pubblicava uno dei più importanti e conosciuti romanzi fantascientifici dal titolo L’uomo invisibile. Quando il cinema si consolidò economicamente e artisticamente, la Universal Pictures ne produsse una versione cinematografica facente parte di una serie di film horror; nota come il ciclo dei “mostri della Universal“. Ad essa, infatti, seguirono numerose pellicole di genere che fecero la fortuna della casa di produzione negli anni Trenta. Vari furono, tra sequel e reboot, i tentativi di riesumare il mito e il fascino dell’uomo invisibile fino ai giorni nostri. I primi mesi del 2020 vedono ritornare in auge questa figura grazie al nuovo film della BlumHouse ispirato alla figura protagonista del romanzo di Wells e reboot del film del 1933. In questo articolo la nostra recensione de L’uomo invisibile.

Il film dalle atmosfere molto più thriller è diretto da Leigh Whannell, regista del sorprendente Upgrade (2018); inoltre creatore, insieme a James Wan, della saga di Saw. Nel cast spicca la figura di Elisabeth Moss, protagonista della serie tv The Handmaid’s Tale, nel ruolo della protagonista. In questa recensione di L’uomo invisibile (The Invisible Man) proviamo a capire se le ottime premesse e le altrettanto positive critiche americane siano state confermate dal nuovo adattamento del classico della narrativa horror e fantascientifica in chiave moderna.

Indice

La trama – L’uomo invisibile, la recensione

Cecilia Kass, compagna del ricco magnate dell’ottica Adrian Griffith, è arrivata al limite della sopportazione. La loro storia d’amore è oramai divenuta una storia di violenze e abusi, in cui la donna si sente letteralmente intrappolata. Decisa a cambiare la situazione, una notte Cecilia decide di evadere dalla lussuosa villa-prigione di Adrian, drogando quest’ultimo e disattivando le telecamere, per rendere più sicura la fuga. L’uomo per poco non riesce a raggiungerla ma la protagonista della storia riesce a scappare grazie all’aiuto della sorella Emily. Cecilia (Cee, per gli amici), non può restare con la sorella dato che Adrian conosce l’abitazione di Emily. Decide quindi di rifugiarsi da James, amico d’infanzia, che la accoglie nella casa in cui vive con la figlia adolescente. La donna trascorre le sue giornate con la paura di esser spiata, seguita e osservata, per via del forte trauma lasciatole da Adrian.

La voglia di ricominciare è forte ma il passato è sempre dietro l’angolo, pronto a colpire. Un giorno, però, le arriva una notizia sconvolgente. Adrian, colui che le ha fatto tutto quel male e di cui ancora non riesce a liberarsi mentalmente, è morto. L’uomo è stato trovato senza vita nella sua abitazione e si pensa possa trattarsi di un inspiegabile suicidio. Quando Cee inizia finalmente a sorridere, grazie al pensiero di libertà, strani eventi iniziano a scandire le sue giornate, mettendole i bastoni fra le ruote nel lavoro e in famiglia. Dopo gli iniziali dubbi, la donna inizia sempre più a sentire una presenza familiare attorno alla sua persona e alla casa nella quale abita. Adrian è morto e questo lo sanno tutti; Cecilia, però, si convince del contrario, supponendo che l’uomo sia diventato invisibile. Una serie di drammatici eventi sta per abbattersi sulla sua vita.l'uomo invisibile recensione

Una prospettiva moderna

Si storce sempre il naso quando si ha davanti il caso dell’ennesimo reboot, specie se su di esso gravita l’enorme peso dei suoi predecessori. Ma, come più volte abbiamo visto nel recente passato – si veda il Suspiria di Guadagnino –  il miglior modo per farlo è stravolgerlo, omaggiando i precedenti ma creando qualcosa di nuovo. Questo è esattamente quello che succede con L’uomo invisibile di Leigh Whannell, nuova versione nel senso più letterale del termine. La consapevolezza non è soltanto legata alla probabile impossibilità nel riuscire ad emulare un prodotto che aveva già praticamente detto tutto il possibile (e, difatti, sarebbe stato forse inutile); quanto della volontà di cambiare i registri, rinfrescandoli e rimodernandoli. E così cambia la storia, l’atmosfera resta simile ma i toni puntano più al thriller ansiogeno che all’horror e i punti di vista sovvertono gli schemi narrativi delle opere che lo hanno preceduto.

Se nelle precedenti versioni, dal romanzo ai film di Whale e Verhoeven, protagonista della storia era proprio colui che dava il nome ad essa, nella versione del 2020 l’uomo invisibile è quasi declassato a leva che fa scattare il meccanismo, a co-protagonista di una vicenda che, però, parte proprio da lui. Qui Whannell mostra la sensibilità ai temi caldi come la violenza domestica e lo stalking possessivo mostrandoli però privi di retorica – elemento che non troverebbe spazio in maniera diretta in un’opera così ma che velatamente si insinua nelle nostre menti. La protagonista, questa volta, è la vittima, nostra compagna durante tutto il percorso. Viviamo le sue angosce, il suo dramma della violenza subita, fisica e psicologica, il pericolo sempre presente ma mai palese e evidente per tutti. Un nemico che da fuori viene preso sottogamba ma che, invisibilmente, si prende pian piano l’intera vita delle sue vittime.l'uomo invisibile recensione

Spazi, presenze e assenze – L’uomo invisibile, la recensione

Il cambio di punto di vista e di registro – dall’horror sci-fi al thriller – funziona benissimo e dona nuova linfa vitale ad un’opera, smontata e riassemblata minuziosamente per funzionare narrativamente ma soprattutto a livello visivo. La regia fin dalle prime battute sa dove vuole andare a parare, sa bene cosa e come mostrare allo spettatore. Lo studio delle inquadrature e dei movimenti di macchina tende verso l’ispezione degli spazi, l’indagine dei pieni e dei vuoti, con una predilezione per questi ultimi. Sono proprio i momenti meno dinamici, quelli in cui l’inquadratura ci mostra le scenografie e gli spazi vuoti, a parlare in maniera più didascalica e a farci comprendere prima della protagonista cosa sta succedendo o cosa succederà a breve. Tutto ciò, sembra inutile specificarlo ma è bene ricordarlo, mostrando il nulla, l’invisibile; capace di inquietare più dei più comuni jump scare la cui assenza non pesa, anzi.

Whannell sembra avere un controllo più che maturo anche dei momenti più dinamici, articolando bene ogni scena in cui è il corpo vivido il protagonista, in un’azione sempre ben coreografata. Ogni sequenza è ben strutturata nelle forme e nelle tonalità dei colori e delle luci, oltre che degli elementi di scena e delle scenografie; queste ultime, insieme al sapiente uso delle varie ottiche, tentano di allargare la scena il più possibile dando la possibilità a noi prima e alla protagonista poi di guardarsi attorno e di esplorare gli spazi. Mettendo così in scena le e vere e proprie paranoie di una psiche turbata. Un gioco pregno, come raramente visto negli ultimi anni, di altissima tensione.
Inquietudine e angoscia che trovano nella prova di Elisabeth Moss la perfetta incarnazione del dramma, riuscendo a farci immergere nel clima di instabilità di cui è pregna la storia.l'uomo invisibile recensione

Conclusioni – L’uomo invisibile, la recensione

A conclusione di questa recensione, notiamo come L’uomo invisibile, sulla scia delle opere di Jordan Peele e Ari Aster, riesca a solidifica le basi del nuovo horror. Della nuova concezione legata al genere, più tendente ad un thriller che vuole inquietare più che spaventare. Il film di Leigh Whannell parte da ottime premesse, sviluppando una narrazione coerente ed essenziale, lineare e incisiva che sfrutta l’ottima regia e il montaggio calibrato per raccontare un dramma angosciante. La storia “si serve” – passateci il termine – dell’opera di Wells e dei suoi predecessori per mettere in scena un nuovo sviluppo; con un punto di vista rovesciato che dona all’uomo invisibile una nuova e funzionante chiave moderna.

Se è vero che la seconda parte dell’opera perde un po’ nell’appeal rispetto alla prima, la colonna sonora sembra procedere in maniera opposta; più ci si avvicina al finale, più il comparto sonoro fa sentire con decisione la sua presenza, immergendoci completamente. Un film che riesce a reggere il peso del pesante nome che porta; riuscendo nell’impresa di farsi apprezzare e risultare tra le sorprese positive di questo 2020. Un horror che cambia veste, mascherandosi da thriller ma mantenendo atmosfere inquietanti e degeneranti, capaci di far gelare il sangue mentre attendiamo qualcosa che, in fondo, già sappiamo. Il trucco sta proprio qui, creare un’inquietudine non tanto per cosa verrà mostrato, piuttosto per come; creando, sempre, un’effetto… sorpresa!

L'uomo invisibile

Voto - 8

8

Lati positivi

  • Uomo invisibile, cambiamenti visibili: le novità nei registri, nel soggetto e nei punti di vista rinfresca e modernizza dando nuova linfa vitale al concept
  • Elisabeth Moss: l’attrice statunitense riesce ad imprimere lo spessore giusto ad una protagonista che è il punto di forza di una storia angosciosa e drammatica
  • La colonna sonora: musica e suoni (sia in presa diretta che in postproduzione) aiutano ad immergere lo spettatore in nell’atmosfera
  • L’impatto visivo: regia, fotografia e regia sempre ben calibrate al servizio dell’ottima sceneggiatura

Lati negativi

  • L’uomo invisibile o no? Chi cerca il clima delle opere precedenti rimarrà deluso dal nuovo adattamento
  • In discesa: la seconda parte meno d’impatto rispetto alla prima, neo che macchia, pur impercettibilmente, il film nel complesso

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