Mirai: recensione del film d’animazione di Mamoru Hosoda

Un film intimo e sincero che esplora una delicata dinamica familiare

Mamoru Hosoda è uno dei registi giapponesi in attività più premiati e acclamati del panorama dei film d’animazione. Dopo essere stato vicino alla regia del Il castello errante di Hawl e aver diretto due film per vari studi, nel 2011 fonda lo studio Chizu e inizia il suo progetto autoriale. Summer Wars, Wolf children e The boy and the beast sono i tre film che lo hanno avvicinato al grande pubblico e Mirai, di cui vi proponiamo la recensione, gli ha garantito la candidatura agli Oscar 2019 e il plauso mondiale.  

Dopo aver trattato il tema della famiglia, della paternità e della maternità, in Mirai viene esplorato il rapporto fraterno nella sua complessità e nella sua unicità. Hosoda si concentra soprattutto sul punto di vista di un bambino ricoperto di attenzioni, che deve scontrarsi con l’arrivo di una sorellina e le conseguenze che scatena nelle dinamiche familiari. La genialità del regista giapponese è di non limitare la storia alla realtà oggettiva, ma aggiungere una componente fantastica e onirica per rendere la storia speciale.

Indice:

Trama – Mirai recensione

Kun è un bambino di otto anni figlio di un giovane coppia giapponese. Vive nell’armonia, pieno delle attenzioni necessarie e coccolato come un figlio merita. La sua vita subisce uno scossone quando in famiglia arriva un nuovo elemento: la sorellina Mirai. Il primo incontro tra i fratelli è molto toccante, come se si conoscessero da sempre, ma presto gli equilibri familiari iniziano ad incrinarsi. La madre deve occuparsi della neonata, il padre della casa e Kun si sente trascurato. Provare un forte senso di esclusione lo porta ad odiare la nuova arrivata. Il ragazzino la tratta con fastidio e ricerca le attenzioni a cui era abituato, ma questo atteggiamento non fa altro che provocare ulteriori danni.

Tutto cambia quando Kun, tramite l’albero del giardino di casa, entra in contatto con una realtà diversa. In quello strano luogo incontra il suo cane in forma umana e la sorella adolescente. Tutti insieme tornano nella realtà del bambino per sistemare una faccenda importante per Mirai, e finalmente il bambino si sente partecipe di qualcosa. Ma, tornato solo, Kun ricade nella solitudine e nei problemi che lo stavano affliggendo prima di quello strano momento; ma sarà sempre quel misterioso albero che gli farà vivere un’esperienza fuori dal comune. Inizierà un viaggio fuori dal tempo e dallo spazio, dove conoscerà luoghi e persone in grado di farlo crescere. Tutte queste esperienze lo porteranno a confrontarsi con sé stesso. Dovrà capire gli errori che ha commesso e abbracciare la possibilità di diventare un fratello migliore, in un finale poetico ed emotivo come solo l’animazione giapponese riesce a fare.

Un rapporto particolare – Mirai recensione

Pirandello descrisse la famiglia come una delle trappole sociali più dannose insieme alla dimensione lavorativa. Ogni rapporto familiare ha intrinsecamente problemi relazionali e dinamiche complesse da gestire. Il rapporto tra fratelli è forse quello più intricato perché si sviluppa tra due persone ancora piccole. Entrambi sono inesperti e l’assenza di una figura matura innesca situazioni difficili da gestire. L’arrivo di Mirai fa perdere completamente a Kun la centralità affettiva. La sua età non gli permette di avere la maturità per capire le circostanze e i motivi di quella perdita. La reazione immediata è quindi un rifiuto istintivo, un bisogno di fare male alla sorella perché gli sta togliendo un affetto che appartiene a lui. Mirai funziona molto meglio rispetto ai precedenti lavori del regista, soprattutto di The boy and the beast, proprio perché emerge una maggiore semplicità e il contesto familiare permette al film di colpire ogni spettatore.

Il tocco geniale di Hosoda è quello di portare Kun in un’altra dimensione, lontano da quella realtà familiare che non riesce più a sopportare. Ha quindi l’occasione di andare fuori dal tempo e conoscere alcuni suoi familiari, che gli faranno fare delle esperienze uniche e formative. Capirà come gestire la rabbia e i sentimenti più scuri. Imparerà a pensare prima di agire ferocemente con l’istinto e soprattutto conoscere meglio sé stesso per essere il migliore fratello possibile. Il lato onirico non si ferma ai viaggi di Kun e anche molti simboli accompagnano alla perfezione la narrazione. L’albero come famiglia, il treno come viaggio della vita sono perfettamente contestualizzati. Ogni simbolo permette alla storia di essere apprezzata non solo da chi si sente coinvolto emotivamente, ma anche da chi non ha mai affrontato la specifica tematica che affronta Mirai.

Recensione Mirai

Mirai. Studio Chizu

Lato tecnico – Mirai recensione

Hosoda per l’ennesima volta si dimostra un ottimo artista anche dal punto di vista tecnico. I disegni sono ottimi e sempre animati alla perfezione dallo studio Chizu. Gli sfondi familiari della casa riescono a restituire il giusto senso di intimità e l’atmosfera casalinga giapponese. Dove però tutto viene portato a un livello superiore sono gli esterni e le ambientazioni fantastiche dei viaggi che compie Kun. Foreste infinite, luoghi acquatici e stazioni infernali sono solo alcuni dei bellissimi luoghi nati dall’immaginazione di Hosoda che riescono a donare qualcosa in più al film. Tutto questo è accompagnato da musiche magnifiche. La canzone che apre il film è cantata da Tatsuro Yamashita, leader della corrente City pop giapponese degli anni ’80. Tutte le altri canzoni avvolgono magistralmente lo scorrere e l’evoluzione della storia.

Anche la regia è sempre perfetta e adattata alle dinamiche raccontate. Per tutta la prima parte la telecamera resta bassa per concentrarsi sul punto di vista del protagonista. Resta sugli occhi di Kun perché la storia è incentrata completamente sul percorso che deve affrontare. Le inquadrature non sono sempre libere, alcuni movimenti di macchina si ripetono soprattutto quando il bambino entra in contatto con l’albero e inizia un viaggio proprio per denotare un senso di ripetizione nelle azioni che deve compiere. La sceneggiatura non risulta mai banale, i dialoghi sono appassionanti e i personaggi che Kun incontra sono perfettamente caratterizzati, anche se interagiscono poco tempo con il protagonista. Curiosa la scelta di non dare nomi ai personaggi se non per Kun e Mirai, proprio per far emergere la centralità e l’importanza dell’evoluzione del loro rapporto.

Conclusioni – Mirai recensione

Mirai è un film sincero e autentico. È palese come Hosoda abbia voluto ancora una volta inserire la sua storia personale ed estrapolare una storia in grado di colpire tutti. Anche lui è padre di due figli e Mirai nasce proprio dalle esperienze che ha vissuto all’interno del suo nucleo familiare. La storia di Kun funziona bene proprio perché alla base si percepisce l’intento di trasmettere un qualcosa che parte da un’osservazione precisa. Una ricerca dettagliata che emerge molto nello studio degli sguardi, delle parole e degli atteggiamenti messi in mostra dal piccolo protagonista.

Mirai è una parabola sull’accettazione, sulla comprensione di un disagio che nasce da un bisogno e di come un rapporto debba nascere prima da un’introspezione personale. Kun odia con tutte le sue forze la nuova arrivata, vuole che sparisca, brama di nuovo le attenzioni che tanto amava e prima di accettare Mirai deve guardare dentro sé stesso, crescere e comprendere cosa sta succedendo alla sua vita. Il lato fantastico del film è quello che lo rende diverso da tutti gli altri che trattano il tema fraterno. Kun ha la possibilità di affrontare il problema uscendo dalla normalità e incontrare un mondo fantasy, che però è in grado di renderlo pronto ad affrontare la realtà.

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Mirai

Voto - 8

8

Lati positivi

  • Tratta con semplicità una dinamica complessa
  • Ottima regia e animazione

Lati negativi

  • Alcune dinamiche familiari poco approfondite

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