Mommy – La recensione del film di Xavier Dolan
Ecco la nostra recensione di "Mommy", uno dei film più amati del 2014 frutto della mente di Xavier Dolan!
Mommy, di Xavier Dolan, è decisamente uno dei migliori film del 2014 e in generale degli ultimi dieci anni almeno. L’enfant prodige, che ormai a 29 anni forse non più così enfant, firma forse il suo miglior lavoro. Lo fa con una carica emotiva e biografica che fa vibrare il posto a sedere sul quale eravamo ben comodi prima della visione del film. Neanche 30 anni e 6 film e mezzo (il settimo arriverà a fine 2018) sono una gran bella presentazione per un regista che sta cominciando a conoscere fortuna anche nel nostro paese. Fortuna che è partita proprio da quando, nel 2014, vince il Premio della giuria al Festival di Cannes proprio con “Mommy“. In questo articolo presentiamo la nostra recensione di questo piccolo gioiello, analizzandone la struttura tecnica e l’impatto emotivo:
Mommy – La recensione del film di Xavier Dolan
La danza dell’amore malato
Il film si apre con una premessa: nel 2015, in Canada è stata approvata una legge, la S-14, che consente alle famiglie con minori particolarmente difficili il ricovero in una struttura psichiatrica, saltando tutte le procedure burocratiche, solo in caso di emergenza. La storia ora si focalizza su Diane “Die” Depres, vedova anticonformista, un personaggio senza freni che si ritrova a dover prendersi cura del figlio Steve. Il ragazzo era stato portato in un centro riabilitativo dopo la morte del padre: Steve infatti aveva manifestato segni di squilibrio causati da un deficit oppositivo provocatorio.
Quando però supererà ogni limite causando un incendio nella struttura, verrà dimesso di forza e dovrà vivere la sua vita affrontando la realtà di una condizione sociale ed economica allo sbando. Il rapporto con la madre però non sembra migliorare questo: i due si amano e si odiano, si respingono e si attraggono, quasi sessualmente. Il rapporto violento e morboso tra i due viene quasi ammorbidito dalla figura di Kyla, una vicina che entrerà nelle giornate della coppia fungendo da ponte sociale. Le brusche reazioni di Steve e l’instabilità economica ed emotiva della famiglia porteranno a situazioni compromettenti.
La malinconica gabbia 1:1
Una gabbia, con dei limiti ben marcati. Proprio questo pensiamo guardando la struttura estetica di Mommy. Xavier Dolan ci impone una visione compromessa del rapporto dell’immagine 1:1. Non più un 4:3 ma ancora più soffocante e fastidioso. Il nostro occhio sembra cercare i pezzi mancanti di un’immagine che risulta artificiale ma allo stesso tempo anche estremamente naturale. Le inquadrature schiaccianti permettono di focalizzare l’attenzione ad un solo personaggio per volta, con controcampi malinconici in stile soap verso i corpi iperemotivi. Personaggi che si trovano intrappolati dentro la già citata gabbia, dimenandosi come animali in trappola alla ricerca di qualcosa.
E quando quel qualcosa viene trovato, allora cambia tutto. Il campo si allarga, il rapporto diventa il tipico e piacevole 16:9 e quegli animali che prima erano corrotti da dei limiti imposti, adesso sono liberi di correre e dimenarsi. Ma è un piacere effimero, perché le condizioni emotive dei personaggi sono altamente instabili e al primo cedimento la prospettiva cambia nuovamente e l’immagine torna a opprimere. Agli esterni luminosissimi si contrappongono gli interni tristi che schiacciano più delle condizioni visive imposte dallo stretto rapporto. Merito questo di una bellissima fotografia di André Turpin.
Emotività esternata anche dal frenetico montaggio curato dallo stesso Xavier Dolan che per Mommy si destreggia in ogni settore. Il montaggio riesce a focalizzarsi su ciò che la sceneggiatura ha voluto omettere. Su quelle emozioni trasparenti che riusciamo a percepire ma non a vedere chiaramente, arrivando a portarle fino all’estremo (per esempio, con l’abuso dello slow-motion). Il tutto condito dai suoni che si contrappongono con maestria: se da una parte abbiamo i frequenti rumori fastidiosi di oggetti quotidiani, dall’altra veniamo movimentati dalla colonna sonora pop che comprende Oasis, Lana del Ray, Dido etc. Dentro un piccolo spazio, milioni di cose.
Amarsi e odiarsi liberamente
In Mommy, Dolan sposta il rapporto familiare e l’inferno personale alla doppia crisi, entrambi i personaggi soffrono. Soffrono anche d’amore, un amore estremo che sembra più odio, non riuscendo a sfociare mai in una sorta di incomunicabilità. Il problema di Steven (Antoine Olivier Pilon) non sembra essere adatto alla condizione di Diane (Anne Dorval), lei non sembra riuscire a frenarlo. Ma è l’unica che, amandolo, ci crede e continua a sperare. Il calore che riescono ad emanare è unico, anche attraverso la figura stabilizzatrice di Kyla (Suzanne Clément), enigmatica figura che funge da collante emotivo, mantenendo sempre quel vuoto che non esterna mai.
L’amore della famiglia è malato, condito da una gelosia bruta che divora e distrugge. E la linea tra la gabbia piena e lo spazio tristemente vuoto, si fa sempre più sottile. Tra i personaggi non si riesce a tifare, è un gioco troppo grande per noi, pur restando sempre coinvolti quasi in prima persona. I loro atipici caratteri li trasformano costantemente da madre in figlio ad amanti e viceversa: oltre il complesso di Edipo.
E Mommy ci coinvolge perché parla di libertà, quella di cui Dolan ha saputo parlare, osando non poco. Una libertà sia espressiva (è riuscito a parlare di un morboso rapporto che non sfocia mai nel sessuale all’estremo) sia tecnica (con la sapiente e provocatrice messa in opera con un rapporto visivo fastidioso a primo impatto). E proprio quest’ultimo riesce a dilatarsi in alcune occasioni. In una bellissima scena, con Wonderwall degli Oasis di sottofondo, Steven riesce con la proprie mani ad allargare vertiginosamente il rapporto 1:1 portandolo al 16:9, sentendosi in quell’istante come padrone del mondo. La prospettiva cambia quando la bellezza del vivere e vedere prende il sopravvento.
Mommy: le conclusioni
In Mommy, Xavier Dolan scava nel rapporto madre-figlio e prova a scoprire la struttura di esso. Violenza, amore e desiderio possessivo sembrano alludere al rapporto del regista con la madre, travagliato se presi come esempio i precedenti lavori. Con Mommy però egli rimanda a quell’amore che forse non l’ha mai abbandonato. Lo fa come una personalità seduttiva e iperemotiva, oltre che un estremo realismo. Affascina l’accostamento a modelli come Jane Campion, Wong Kar-wai, oltre che John Cassavetes o Jean-Luc Godard. Importante sottolineare anche il messaggio sociale del prodotto; esso spinge su una condizione sociale ed economica che porta alla distorsione delle emozioni, portando all’estremo ogni cosa.
Mommy potrebbe essere accostato all’esordio del regista, ovvero “J’ai tué ma mère“, paragone valido ma per antitesi: in quest’ultimo il protagonista vuole liberarsi ossessivamente della madre, mentre qui è l’opposto, una ricerca morbosa della presenza e dell’amore materno di cui ha bisogno un piccolo uomo. Mommy è un film sincero, dettato dal cuore. Commuove senza se e senza ma e introduce in un contesto ai limiti dell’assurdo con un’estetica nervosa che ci fa dire solamente una cosa: bravo Xavier, tanto di cappello.
Mommy
Voto - 9
9
Lati positivi
- La regia di Xavier Dolan: maestria espressiva e tecnica
- Il cast: l'arma in più per dare un grande impatto emotivo
Lati negativi
- Pur non considerandolo un lato negativo, il formato 1:1 può infastidire qualcuno