The hateful eight: recensione del fim di Quentin Tarantino

Tarantino torna al suo amato western e lo fa in modo dirompente

The hateful eight, film di cui vi presentiamo la recensione, segna il ritorno al genere western di Quentin Tarantino dopo l’acclamato Django Unchained. Il film doveva uscire nel 2013, ma a causa della diffusione della sceneggiatura online, uscì solo nel 2015 dopo che Tarantino fu costretto a cambiare lo script.  La pellicola vanta di un cast stellare, come Samuel L. Jackson, Kurt Russel, Jennifer Jason Leigh, Tim Roth e Michael Madsen (tutte vecchie conoscenze di Tarantino). Non solo un attori d’eccezione, ma anche una collaborazione con il maestro Ennio Morricone, il quale vinse il premio Oscar e il Golden Globe per la miglior colonna sonora.

RECENSIONE DI THE HATEFUL EIGHT, NUOVO FILM DI QUENTIN TARANTINO

Recensione The hateful eight

The hateful eight, Shiny Penny, FilmColony

“The hateful eight  non è solo un western, ma anche un giallo e un thriller”

Durante il rigido inverno del Wyming si intrecciano le strade del cacciatore di taglie John Ruth (Kurt Russel), che sta portando a Red Rock la criminale Daisy Domergue (Jennifer Jason Leigh), e del Maggiore Marquis Warren (Samuel L. Jackson). Lungo il tragitto per Red Rocks si unirà al trio anche Chris Mannix  (Walton Goggins), futuro sceriffo della cittadina. La diligenza nella quale i quattro viaggiano è costretta a fermarsi all’emporio di Minnie, a causa di una violenta bufera di neve. Al suo interno troveranno: il messicano Bob (Démian Bichir); il boia Oswaldo Mobray (Tim Roth); il cow-boy Joe Gage (Michael Madsen); il generale Sanford Smithers (Bruce Dern). Otto uomini impenetrabili che si riparano da una tempesta di neve in uno chalet di montagna, scenario adatto per una storia ricca di tensione e mistero.

Recensione The hateful eight

The hateful eight, Shiny Penny, FilmColony

Il tema dell’odio

Un film che già nel titolo presenta il tema dell’odio e sul quale ci costruisce tutta la trama. Un sentimento dettato dai canoni dell’epoca; infatti siamo alla fine della guerra civile americana, il nord ha vinto contro il sud e la schiavitù dei neri è stata finalmente abolita. Tutti e otto i personaggi sono ricchi di odio, chi verso i neri, chi verso le donne e chi verso i nordisti/sudisti. Tarantino racchiude in una stanza otto esemplari di uomini e donne che incarnano perfettamente lo spirito dell’America del ‘800. Dimostra con dialoghi e una sceneggiatura tagliente che da allora poco è cambiato.

È un tema già documentato in primis in Le Iene e poi in Bastardi senza gloria; una violenza verbale e in seguito fisica innescata dall’odio verso l’altro, che sia ebreo o nazista, bianco o nero. Argomento caro a Tarantino, che puntualmente lo inserisce nei suoi film, e che definisce i lineamenti del suo fare cinema, selvaggio e violento. Viene mostrata una ferocia macabra e intensa ben definita in un contesto che non la rende più pulp, come nel suo precedente Pulp Fiction, ma vera ed autentica.

Quello che fa Tarantino è incorniciare un’epoca, la quale assomiglia in tanti aspetti a quella contemporanea, ed esaltarne tutta l’essenza e la sua crudeltà. Egli continua a fare un cinema politicizzante, al fine di generare una conoscenza su argomenti sensibili, generata prima da dialoghi pungenti e portata poi all’apice dai personaggi: primo tra tutti il Maggiore Warren. Tutto ciò è reso magistralmente da una sceneggiatura che fa emergere l’odio da ogni protagonista e che senza la quale The hateful eight non avrebbe avuto lo stesso impatto. Una sceneggiatura che rende i personaggi non solo ricchi e carichi di questo sentimento ma anche odiosi e talvolta sgradevoli. I quali però sono paradossalmente perfetti e completi.

 Un western non proprio western  – The Hateful eight, la recensione

Il vecchio e selvaggio west è la cornice del film The hateful eight. Un west che però non compare interamente se non nel periodo storico in cui è ambientata la pellicola, nei costumi e nella scenografia. Infatti la trama, che fino all’ultima scena non svela nulla sui personaggi, e  l’ambientazione della storia prevalentemente in un unico ambiente, l’emporio di Minnie, sono elementi che fanno assomigliare il film del cineasta ad altri generi più noir che proprio ad un western. Insomma un genere che Tarantino rivisita completamente; in cui pone delle situazioni e ambienti simili al vecchio west, ma che di fatto fanno pensare al film, soprattutto in fatto di trama e svolgimento di essa, come ad un thriller/giallo.

Questo è certamente un punto di forza di The hateful eight. Si stacca dai classici film western, in cui un pistolero arriva in una città nel mezzo del nulla in cerca di riscatto (come in C’era una volta il west, Per un pugno di dollari, ecc), per mixare tra loro elementi tipici di altri generi (trama misteriosa e ambienti ambigui). Possiamo definirlo unico, originale e coraggioso, anche se Quentin Tarantino creando una commistione tra i generi, tralascia caratteristiche importanti di ciascuno.

C’è azione, c’è sangue, ci sono pistole e ci sono spari come un western che si rispetti e com’è consuetudine vedere in un film del cineasta. Per questo The hateful eight non è solo un western, ma anche un giallo e un thriller. Presentato con una climax ascendente verso un finale a dir poco spiazzante e shockante. È un accozzaglia di generi, sì; però è anche un film omaggio a Sergio Leone, al suo stesso film Le Iene e ai romanzi di Agatha Christie (Dieci piccoli indiani), che diverte ed esalta senza risultare mai banale.

Aspetti tecnici: regia e sceneggiatura  – The Hateful eight, la recensione

Oltre ad una trama e a tematiche forti come quelle sopracitate, il grande lavoro di Tarantino lo si vede anche nell’utilizzo dell’Ultra Panavision 70 e la pellicola da 70mm; un metodo vecchio stile di fare cinema in modo analogico, oggi superato dal digitale. Una scelta che ci riporta alle origini, infatti film come Ben-Hur e Lawrence d’Arabia sono stati girati in 70mm. Tarantino ha deciso di girare The hateful eight con la Ultra Panavision 70 perchè la pellicola da 70mm ha la capacità di riprendere un’immagine più larga e grande, nel maggior spazio a disposizione. Ha creato inquadrature ampie e profonde che inglobano ogni angolo dell’emporio di Minnie, facendo credere allo spettatore di esservi davvero all’interno.

Inoltre la pellicola 70mm permette di inserirvi più tracce audio con una qualità dell’immagine nettamente superiore alle pellicole da 35mm classiche o del digitale. Bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare, e non si può dire che Tarantino non sia un genio in fatto di riprese. Ha dato vita a scene dunque che sono dei veri e propri capolavori, che senza l’utilizzo della pellicola da 70mm non avrebbero avuto la stessa resa finale.

Il tutto è reso ancora più vivido e reale dallo splendido lavoro sulla fotografia di Robert Richardson, il quale fu nominato anche per il premio Oscar. Le immagini e le atmosfere paiono piene di intensità, ricreando perfettamente la luce ed i colori prima del paesaggio invernale del Wyming e poi dell’emporio di Minnie. Un ulteriore elemento che va a coronare il vigore e l’energia delle scene, assieme al già citato ottimo lavoro sulla sceneggiatura. Dialoghi fluenti e veementi tipici dei film di Tarantino, caratterizzati da botta e risposta provocatori e stimolanti per la visione. Una sceneggiatura che non intrattiene solamente ma che fa riflettere su temi forti ed importanti che sono tuttora attualissimi come la misoginia e il razzismo. Argomenti che mai come negli ultimi anni stanno smuovendo radicalmente il settore cinematografico.

Colonna sonora

Un’ultima menzione allo splendido lavoro fatto sulla colonna sonora dal maestro Ennio Morricone che si aggiudica anche il premio Oscar. Ciliegina sulla torta per ricreare quell’effetto vintage al film già dato dall’utilizzo della pellicola 70mm. Infatti la colonna sonora richiama le ambientazioni dei vecchi film western di Sergio Leone e non solo; ricrea l’atmosfera del vecchio west a cui non vi si può resistere. Musica che oltre ad essere la colonna sonora è protagonista assoluta delle scene e della trama, come se fosse quasi il nono personaggio del film.

Quentin Tarantino

The hateful eight, Shiny Penny, FilmColony

Considerazioni finali – The Hateful eight, la recensione

The hateful eight è un film completo sotto ogni punto di vista: trama, sceneggiatura e regia. Racchiude perfettamente lo stile di Quentin Tarantino in fatto di violenza cruda e pura che però non stanca e non è mai abbastanza. Atmosfere e sviluppo della storia coinvolgenti e trascinanti grazie ad una sceneggiatura coi fiocchi e da una colonna sonora dominante.

Tarantino fa il suo lavoro e lo fa magistralmente rendendo questo film uno  tra i suoi migliori. Un film che parla di odio e violenza verso i “diversi”. Tema leit motiv di tutte le pellicole di Tarantino, alle quali si aggiunge anche The hateful eight. Quindi “gli Odiosi Otto” in italiano è una pellicola che convince e che appassiona lo spettatore. Viene trascinato nel Wyming ricco di pregiudizi di metà ‘800, nel quale riconosce, per certi aspetti, i tratti della società contemporanea. 

Leggete anche: 

Le cinque cose da non dire mai a un fan di Tarantino

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The hateful eight

Voto - 8

8

Voto

Lati positivi

  • cast d'alto livello
  • utilizzo della pellicola da 70mm e l'Ultra Panavision 70
  • sceneggiatura tagliente e coinvolgente
  • colonna sonora penetrante

Lati negativi

  • non propriamente un western

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