The Bear 2: recensione della serie tv disponibile su Disney Plus

Questa seconda stagione riconferma l'altissimo livello della serie, una miscela tra interpretazione e linguaggio cinematografico a favore di una storia sul cambiamento e sull'accettazione

Dopo una prima stagione entusiasmante sotto molteplici punti di vista, The Bear torna con una seconda stagione che non delude le già altissime aspettative. 
Partita in sordina come una serie che parla di salute mentale con la cucina, i rapporti familiari con lo stress che si respira nel campo della ristorazione, The Bear riesce a trasformarsi e a rileggere se stessa, riuscendo a cambiare senza però perdere tutte le caratteristiche che l’hanno resa il capolavoro di scrittura che è.

Indice

La stagione d’apertura – The Bear 2, la recensione

La prima stagione si concentra sul percorso professionale di Carmine Berzatto (interpretato da un sorprendente Jeremy White che anche in questa seconda stagione regala una performance notevole) che passa dall’essere uno chef rinomato in un famoso ristorante al gestire il locale di famiglia a seguito del suicidio del fratello. Il The Beef è un ristorante sull’orlo della chiusura, un posto in pieno degrado in cui lavora una crew che non ha né la passione per la cucina, né la voglia di migliorarsi.

The Bear.

The Bear. FX Productions.

Uno stato d’animo che rispecchia la psiche dei protagonisti che si trovano incastrati in un ristorante che non sentono proprio, a vivere il sogno di un uomo che non c’è più. La fine della prima stagione ci lasciava con Carmy, Sydney e gli altri che sono costretti a chiudere il The Beef e decidono di prendere l’occasione al volo, cercando di inaugurare il nuovo locale, il The Bear per l’appunto.

La potenza di The BearThe Bear 2, la recensione

La chiusura del The Beef e l’imminente inaugurazione del The Bear segna un rito di passaggio.
Durante la prima stagione, ogni personaggio era in conflitto con i propri demoni interiori, con i loro traumi mai davvero elaborati e superati, dolori a cui si ancoravano troppo spaventati dal cambiamento per andare realmente avanti. Dolori profondi, ricordi e un passato che era più vivido che mai soprattutto all’interno delle mura del The Beef in cui tutto portava il ricordo di Michael e della sua morte. L’ambiente stressante della ristorazione rispecchiava la mentalità caotica e frenetica dei protagonisti, la loro incapacità di comunicare e di non prendere cura l’uno dell’altro, troppo concentrati nel vivere nella loro testa.

The Bear.

The Bear. FX Productions.

The Bear è una serie potente proprio perché parla di un argomento trattando tutt’altro, ma ogni cosa ci dice qualcosa del personaggio.
Un ristorante demolito non è solamente un problema di soldi, ma è la metafora del bisogno profondo di demolire qualcosa prima di ricostruire, della loro vita che sta cadendo a pezzi, ma che viene ricostruita pezzo per pezzo per dare inizio a qualcosa di migliore, la descrizione più visiva possibile del fatto che per andare avanti bisogna ricominciare dalle fondamenta. I contrattempi non sono messi lì per creare semplice minutaggio, ma per rappresentare un progresso che non è mai lineare.

L’arco di trasformazione dei personaggi – The Bear 2, la recensione

Tutti i protagonisti fanno un salto nel vuoto dettato dalla fiducia che nutrono l’uno per l’altro e che presto si traduce con l’accettazione per loro stessi.
Carmine riesce a lasciarsi andare e a pensare anche ad altro oltre che al suo lavoro, al ristorante e alla morte di suo fratello. Sydney (Ayo Edebiri) decide di fidarsi di Carmy e di sfruttare la sua giovane età e la sua voglia di fare per aprire un ristorante.
Lo staff accetta di prendersi quel periodo di pausa forzata per tornare tra i banchi di scuola e migliorarsi.

The Bear.

The Bear. FX Productions.

Ma ad avere l’arco di trasformazione più degno di nota è quello di Richard (Ebon Moss-Bachrach), il personaggio peggiore della prima stagione a causa del suo carattere irascibile. Anche Richard viene mandato in un ristorante famoso in Danimarca dove Carmine ha iniziato la sua carriera. Quella che a detta sua sembra essere un’esperienza che lui vive come degradante si rivela essere un’occasione per scoprire un lato di se stesso che non era visibile, ma era sempre stato lì.

Il linguaggio cinematografico – The Bear 2, la recensione

The Bear riesce a parlare dei rapporti familiari in modo intimistico utilizzando il linguaggio cinematografico per creare tensione e accompagnare i dialoghi che sono la vera forza della serie. Ogni inquadratura è curata e il sonoro accompagna la storia diventando un personaggio a sé usato a favore della narrazione e per accompagnare la tensione crescente. Questa caratteristica, già presente nella prima stagione, qui diventa un punto fermo che accompagna ogni discussione e dialogo importante, ma che trova il suo apice nella puntata flashback dedicata alla cena di Natale. 

Il cambiamento e la voglia di andare avanti sono le tematiche principali di questa seconda stagione, ma la puntata dedicata alla cena di famiglia prima della morte di Michael ci dice di più sui protagonisti, come sempre in un ambiente stressante e fuori controllo. Quella che doveva essere una cena allegra e l’occasione per passare del tempo assieme diventa un modo per ricordare come i personaggi erano, evidenziando il loro arco di trasformazione. In The Bear nulla è lasciato al caso ed è questo che fa della serie di Christopher Storer una perla della serialità contemporanea. 

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The Bear 2

Voto - 9

9

Lati positivi

  • Il modo in cui la serie riprende le caratteristiche della prima stagione, ma riesce a ripensare al tipo di narrazione senza tradirla
  • Il lato tecnico è di altissimo livello
  • La puntata di Natale

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