The Manchurian Candidate: recensione del film con Denzel Washington

Qui la recensione del remake diretto da Jonathan Demme dell'omonimo film del 1962

Presentato fuori concorso alla 61 esima Mostra del Cinema di Venezia (2004), The Manchurian Candidate è un brillante thriller diretto da Jonathan Demme con protagonisti Denzel Washington, Meryl Streep e Liev Schreiber.

Il film è un remake più convincente di Va’ e uccidi (1962), il thriller di John Frankenheimer con Angela Lansbury e Frank Sinatra. Il lungometraggio candidato agli Oscar si basa sul libro di Richard Condon ed affronta la teoria del complotto nata in America negli anni Sessanta, in seguito all’assassinio di John Fitzgerald Kennedy. In un clima di sospetto e timore la persone iniziarono a diffidare dalla verità proposta dal governo e comunemente accettata dall’opinione pubblica.

Il film di Frankenheimer non ebbe subito un riscontro positivo forse perché dipinse un’America mai vista prima o forse per l’allora dilagante sentimento anticomunista. Analogamente all’omonima pellicola del 1962, Demme ambienta la sua storia nel periodo subito successivo all’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre.

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The Manchurian Candidate: sinossi

La missione “Desert Storm”, che vedeva coinvolti il maggiore Bennett Marco (Denzel Washington) ed il sergente Raymond Shaw (Liev Schreiber) durante la Guerra del Golfo del 91′ si è conclusa da tempo. Quest’ultimo viene insignito della medaglia d’’onore del Congresso per i suoi servigi. Inoltre è il figlio della senatrice Eleanor Shaw (Meryl Streep) e candidato come Vice Presidente alle future elezioni.

Nel frattempo il maggiore Bennett Marco ed un altro ex commilitone iniziano ad essere tormentati da strani sogni che riguardano la precedente missione in Kuwait. In essi la realtà degli avvenimenti in guerra è ben diversa da quella che ricordano e da quella che racconta Shaw. Bennett comincia a chiedersi se ci possa essere qualcosa di veritiero in questi sogni tanto vividi da essere quasi allucinazioni. Ne parla allora con uno scienziato suo amico e con Shaw, in parte scettico ed in parte dubbioso.

Lo spettatore accompagna il maggiore Marco durante il suo graduale percorso di risveglio e consapevolezza, fino a svelare i misteri e le atrocità accaduti in missione. Alla fine l’inganno viene svelato: ai soldati è stato fatto un lavaggio del cervello per testare nuove tecniche di controllo mentale e renderli killer ignari di ciò che stanno facendo. Una procedura voluta da privati potenti ed attuata da uno scienziato sadico ed il suo team. Bennett è stupefatto ed inorridito ed una volta aver capito la verità intuisce che Shaw potrebbe ancora essere sotto controllo. Farà di tutto per salvarlo.

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The Manchurian Candidate: una provocazione?

Quando uscì Va ed Uccidi di Frankenheimer la polemica fu accesa, tanto che il film, dopo la morte prematura del presidente John Kennedy, scomparve dalla circolazione. Ricomparve solo molti anni dopo e riscosse un discreto successo. I tempi non erano maturi per le tematiche affrontate, soprattutto visto che l’uscita del lungometraggio avvenne in piena Guerra Fredda.

In particolare in quel periodo si vociferava che gli Stati Uniti, già indeboliti dal fenomeno del maccartismo, e l’Unione Sovietica eseguissero una serie di esperimenti per raggiungere successi scientifici utili in guerra. Ne è un esempio il famoso quanto mai confermato progetto MK-ULTRA della Cia presente nella serie tv targata Netflix Stranger Things.

Insomma questo fece sì che si creasse un clima di sfiducia nelle pratiche attuate dal governo americano. È questo il tema principale delle due versioni dell’omonima pellicola The Manchurian Candidate.  Attraverso frequenti flashback ripercorriamo gli orrori e le torture che i soldati subirono durante la missione in Kuwait. Intensa per esempio la scena in cui al sergente Shaw, sotto controllo mentale, viene chiesto di soffocare un soldato di grado minore.

I potenti in questo caso vengono rappresentati come mostri senza cuore che agiscono per il cosiddetto Bene Superiore tanto caro alla letteratura ed alla cinematografia. Per loro la risorsa umana non è altro che un esercito di schiavi utili al raggiungimento di un obiettivo.

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The Manchurian Candidate: conclusioni

Intensa la performance attoriale di Denzel Washington, personaggio in conflitto tra una realtà che gli fa comodo ed un’altra che solletica il suo desiderio di verità e giustizia. Il suo è infatti un soggetto complesso, che non ha paura di rimescolare le carte e di indagare la propria mente.

Strepitosa anche Meryl Streep che in questo scenario quasi orwelliano fa da burattinaio. La senatrice Shaw è una donna forte, cinica e manipolatrice ed incarna perfettamente lo stereotipo del politico freddo e calcolatore. Nonostante ciò il suo personaggio è molto più contorto e complesso di quanto si possa evincere. Liev Schreiber impersona, invece, un personaggio più debole, che non riesce a divincolarsi tra il controllo che la madre impone su di lui, i suoi sogni tormentati e i continui dubbi sul mondo in cui è cresciuto.

The Manchurian Candidate è un film brillante, dinamico, che tiene con il fiato sospeso fino al finale dolce-amaro. La trama, che si sviluppa intorno ad uno scenario fantapolitico neanche troppo surreale, non è arzigogolata ma, ed è forse l’unica nota dolente, all’inizio è presente una componente confusionaria. La pellicola è tutto sommato di facile comprensione e gli attori da dieci e lode. Consigliato.

 

The Manchurian Candidate

7,5 - 7.5

7.5

Lati positivi

  • ottimo remake dell'omonimo
  • regia solida

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