Eli: recensione del nuovo horror di Netflix

Ciarán Foy ci ripresenta le sue paure, a metà fra scienza e esoterismo

Recentemente è sbarcato su Netflix Eli, ultimo film di Ciarán Foy di cui oggi vi proponiamo la nostra recensione. Il regista irlandese non figura di certo come un nome di punta nel settore, ma ha dimostrato di poter mostrare qualcosa di interessante. Prima dello sfortunato Sinister 2, Foy aveva infatti stupito al Torino Film Festival grazie a Citadel, un intrigante horror psicologico. Prodotto da uno sforzo congiunto di Paramount, MTV Films e Intrepid Pictures, Eli non ha avuto molta fortuna nelle sale statunitensi ed è dunque approdato sul colosso distributivo.

Se si osservano i nomi che hanno collaborato alla realizzazione di Eli si denota immediatamente un buon livello. Auspicando un ritorno di Foy ai vecchi fasti di Citadel e una performance decisa da parte di un cast avvezzo al genere horror (Kelly Reilly, Max Martini, Lili Taylor), il film non può che stupire. Se aggiungiamo persino un comparto sonoro orchestrato dalle mani esperte di Bear McCreary e una sceneggiatura scritta dalla coppia che ha fatto così bene in Autopsy, il successo è assicurato. Forse.

Eli racconta la storia dell’omonimo ragazzino che, a causa di un problema del sistema immunitario, è condannato a vivere in isolamento. Anche una minima esposizione all’aria aperta gli genere una dolorosa reazione cutanea che può perfino ucciderlo. Eli vive dunque in una camera apposita, potendosi spostare solamente grazie all’ausilio di un ingombrante tuta. I genitori, disposti a tutto pur di far guarire il figlio, lo portano in una lontana casa di cure dove la dott.ssa Horn ha sviluppato una particolare terapia genica virale. Eli però, durante la cura, inizia a notare delle stranezze in questa casa e nello staff medio, ma neanche i genitori gli credono. Inizia dunque una ricerca volta allo scoprire cosa si cela sotto il lavoro della losca dottoressa.

Indice

Scienza e non – Eli recensioneEli recensione

Foy decide di trattare l’ormai bistrattato tema del dualismo fra scienza e soprannaturale, con lo scopo di confondere lo spettatore. Quest’ultimo, costantemente in dubbio, non ha appigli sicuri e non riesce a schierarsi del tutto. Si tratta di una reale malattia o c’è qualcosa di più? Eli inizia il suo percorso propendendo decisamente per la prima. La dott.ssa Horn intende utilizzare la ricombinazione genica per curare il sistema immunitario deficitario di Eli, incipit totalmente scientifico.

Uno spettatore attento nota ben presto però che il vento sta cambiando e che la componente esoterica è più dominante di quanto si possa pensare inizialmente. I piccoli dettagli ci preavvisano il cambio di rotta e il film passa dall’essere un’analisi sulla condizione umana di Eli alla più banale delle ghost story. Un chiaro esempio di come queste due tematiche, quando accostate, non diano necessariamente origine a uno sfizioso scontro generante speculazioni e incertezze, ma possono anche tramutarsi in un austero conflitto senza vincitori.

Il particolar modo il finale si schiera apertamente e in modo del tutto inaspettato. Un plot twist totalmente imprevisto che, anche se preannunciato da qualche sporadico segnale, resta quasi impronosticabile. Un piccolo punto a favore per un film che non esce mai dai binari della mediocrità e, quantomeno, osa un po’ con l’epilogo. Se da un lato smentisce gran parte di quella che è effettivamente l’opera di Foy, dall’altra non c’è poi tanto da smentire e aggiunge almeno un pizzico di piccante in un film davvero insipido.

Tutto fumo e niente arrosto – Eli recensioneEli recensione

Eli poteva sicuramente ambire a qualcosa in più. La premessa alla Bubble boy poteva essere efficacemente sviluppata con un tono più drammatico; costringendo lo spettatore a empatizzare con un ragazzino in una situazione così difficile. Foy si allontana ben presto da queste ben più interessanti e inesplorate sponde per rifugiarsi nel tipico horror moderno, fatto di fantasmi e jumpscares. L’irlandese banalizza quella che potenzialmente sarebbe potuta essere una storia affascinante, fatta sì di paura, ma anche di empatia.

Ciarán Foy sfoglia il manuale dei cliché più dozzinali, optando infine per metterne il più possibile. Tralasciando il finale, ogni decisione o evento è, per chi ha un minimo di dimestichezza con il genere, chiaramente citofonato. Ciò da vita a una a una storia lineare, ma estremamente piatta e monocorde. Gli unici sussulti sono dovuti a picchi acustici che riescono a rendere scialba e dimenticabile persino la sonorità di Bear McCreary, autore di alcuni dei temi più iconici del recente passato: The Walking Dead, Black Sails, 10 Cloverfield Lane e Hell Fest.

Stupisce in negativo anche l’ottima accoppiata di Autopsy, intrigante horror che si è distinto proprio per la brillante sceneggiatura. Ian Goldberg e Richard Naing sembrano l’ombra di ciò che erano a causa di un lavoro di scrittura davvero svogliato. La componente orrorifica in Eli si identifica facilmente con quella del più tipico degli horror moderni; non emerge mai. Le presenze si limitano a delle tanto fugaci quanto futili comparsate che, se da un lato sono funzionali per la trama, dall’altro sono prevedibili e assolutamente innocue.

L’ossimoro di Foy – Eli recensioneEli commento

L’ossimoro che è tanto stato il fulcro di Citadel è qui solo accennato. L’esordio di Foy aveva il pregio di risultare claustrofobico per l’agorafobico. Il regista ha sperimentato sulla propria pelle questa paura a causa di un pestaggio da parte di un gruppo di ragazzini, trauma che gli ha impedito per diversi mesi di uscire di casa. L’irlandese riuscì a trasmettere perfettamente questa sensazione di costrizione che si può provare in spazi aperti come lo sono le verdi colline irlandesi.

In Eli la scenografia diventa una grande casa che ben presento diverrà, agli occhi del protagonista, una prigione. Ancora una volta la storia viene dunque inserita in un contesto claustrofobico dal quale i personaggi sono, per un motivo o per l’altro, impossibilitati a uscire. La claustrofobia di Eli si estende però a tutto il suo arco narrativo e di vita. La malattia gli ha sempre impedito un contatto con l’esterno e lo ha racchiuso a forza in un solitario microcosmo.

Similmente, a causa della sua strana condizione, Eli viene spesso preso in giro e non riesce ad amalgamarsi pacificamente a chi gli sta intorno. Questo genera nel ragazzo un sentimento di repulsione verso gli altri e più in generale dell’esterno: luogo dove è vulnerabile al mondo. L’ossimoro dunque si ripresenta, ma è incredibilmente meno di impatto rispetto a quello di Citadel. La casa di cure non si erge come vero personaggio e, tranne qualche piccola inquadratura dedicatale, funge più da sfondo che da veicolo per un messaggio.

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Nonostante le premesse che facevano ben sperare, Eli non sfonda mai la soglia della mediocrità. In realtà non ci prova nemmeno. Si vede come Foy tenti ancora di dar voce al suo passato, ma sembra aver perso la fame del suo primo lavoro. Risucchiato dal vortice Hollywoodiano a causa di Sinister 2, il regista irlandese ha perso la sua identità in un labirinto di cliché. Eli è a tutti gli effetti un film ordinario: non si distingue se non per il finale.

Non è da sconsigliare in toto a causa dell’apprezzamento che questo filone “horror” sta riscuotendo dal grande il pubblico, al quale questa pellicola è chiaramente rivolta. Si utilizzano infatti dei nomi noti: Kelly Reilly, Max Martini, Lili Taylor sono dei nomi importanti in questo genere. I primi due però sembrano alquanto spaesati e impacciati nel portare sullo schermo una traballante relazione di coppia e spesso sembrano insolitamente fuori luogo. L’unica che, nonostante l’insipida sceneggiatura, offre una prova convincete è Lili Taylor nei panni della “losca” dott.ssa Horn.

Foy tenta dalla sua di regalare qualche ottima inquadratura grazie a una furba gestione degli specchi, ma ogni volta questa si identifica in un jumpscare irrilevante. I toni cianotici sui quali si poggiava Citadel vengono in Eli esageratamente enfatizzati e drammatizzati, con un risultato in certi frangenti al limite del viraggio. In conclusione questa recensione di Eli ci ha condotto verso la consapevolezza che, dobbiamo rassegnarci,questo genere di film rappresenta il “nuovo classico” film dell’orrore, anche se c’è chi se ne scosta. Questo in particolare, forse, vivrà un po’ più a lungo grazie al chiacchiericcio sul discusso finale.

Eli

Voto - 4.5

4.5

Lati positivi

  • Un finale imprevisto che fa discutere
  • Offre un piccolo assaggio del passato del regista

Lati negativi

  • La parte horror vive solo di jumpscare
  • Comparto tecnico e performance attoriali seriamente anonime
  • Una sceneggiatura scialba e svogliata

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