Barbie è un film femminista? Analisi dell’ultimo lavoro di Greta Gerwig

Barbie è stato bersaglio di critiche prima ancora della sua uscita nelle sale, prima tra tutti l'accusa di non essere abbastanza femminista o di esserlo troppo.

È passato un mese dall’uscita di Barbie e finalmente possiamo tirare le somme di cosa ci ha lasciato l’ultima opera di Greta Gerwig, regista, sceneggiatrice e attrice dichiaratamente femminista che ha debuttato al cinema nel 2007 come attrice e nel 2017 come regista regalandoci film quali Lady Bird e Piccole Donne.

Con Barbie la regista fa un salto di qualità riprendendo le medesime tematiche a lei care, ma alzando il tiro. Barbie (qui la recensione senza spoiler e qui la spiegazione dettagliata) difatti è una produzione ambiziosa fin dalle sue origini con Margot Robbie come protagonista e produttrice. Un’ambizione che è apprezzabile fin dalla strategia di marketing iniziata un anno fa, che è esplosa a pochi mesi dall’uscita e continua fino ad adesso. Collaborazioni con case cosmetiche, brand d’abbigliamento, fast food, merchandising firmata Mattel, Barbie è diventato in fretta un fenomeno culturale che ha diviso il pubblico.

Se da una parte c’erano ragazze entusiaste che andavano al cinema vestite in rosa, salutando le altre con il già emblematico “Hi Barbie!”, si godevano il film e assorbivano gli insegnamenti di quello che ad una prima occhiata sembrava essere una commedia simpatica e colorata; dall’altra non sono mancate numerose critiche, molte delle quali sterili o completamente infondate. In questa analisi, il mio obiettivo è quello di scandagliare le critiche più accese e decostruirle una ad una per dimostrare che Barbie è un film di cui avevamo un gran bisogno.

Indice

Blockbuster e capitalismo – Barbie, l’analisi

Barbie è un film femminista? Sì, ma ha un linguaggio tutto suo che è molto diverso da quelli che conosciamo. Barbie ha sconvolto tanto ed è diventato un fenomeno culturale tra le ragazze e le donne poiché ha fatto qualcosa di nuovo in modo inatteso.
I discorsi femministi si sono sempre sviluppati in ambienti frequentati da una nicchia di persone e divulgati tramite saggi, conferenze, in eventi organizzati da e nelle associazioni femministi o durante dei corsi universitari. Anche i film dichiaratamente femministi trovano spazio in una nicchia più ristretta. Chi li va a vedere sono persone già interessate all’argomento che vanno in sala appositamente perché sono già interessate. Chi si è interessato a film come, ad esempio, Una donna promettente, Donne che parlano o Piggy è andato al cinema sapendo cosa stava per vedere, richiamando un gruppo ristretto di spettatori proprio perché il target di riferimento è molto più preciso e ristretto. Film che sono stati premiati in diversi festival, alcuni di loro sono arrivati agli Oscar, ma al botteghino non hanno regalato guadagni significativi, mai come Barbie.

Barbie

Barbie. Heyday Films, LuckyChap Entertainment, Mattel Films.

Quel che Barbie ha fatto di nuovo è stato portare gli stessi argomenti in un prodotto commerciale di più ampio respiro, in un blockbuster che ha incassato più di un miliardo al botteghino. E lo ha fatto facendoci divertire.
Il linguaggio femminista qui si sposa con gli stilemi della commedia (camp e riprendendo le dinamiche della comedy degli anni 30 di cui parleremo più avanti) riuscendo a rendere divertente il femminismo che è sempre stato visto come una tematica tediosa.
Molte persone trovano inconciliabili i due aspetti – quello del blockbuster e quello del femminismo – affermando che il blockbuster per definizione è un prodotto capitalista e il femminismo è tale solo se anticapitalista, se muove una concreta critica al capitalismo. È un’argomentazione indubbiamente fondata, ma che si basa su un pregiudizio sempre rivolto alle donne secondo cui si devono impegnare il doppio per avere i riconoscimenti che meritano. Viviamo in una società capitalista in cui tutti i canali tradizionali ne sono contaminati, sarebbe praticamente impossibile quindi per le donne far sentire la loro voce a un nutrito gruppo di persone e usare il loro privilegio per diffondere il messaggio se i media più conosciuti sono esclusi. O meglio, esclusi alle donne.

La critica sul capitalismo viene mossa solamente quando dietro al progetto c’è un nome femminile, una donna che parla ad altre donne. Quando è uscito Dune – sempre distribuito da Warner Bros – non ci sono state crociate che affermavano che il messaggio sulla crisi climatica non potesse essere portato avanti da un kolossal sebbene anche l’ambientalismo sia agli antipodi del capitalismo. Le discussioni che sono nate attorno a Dune riguardano le scelte registiche e di casting, se la sceneggiatura è più o meno solida, sulla buona riuscita del film e non sull’obbligo morale di Villeneuve.

L’aspetto camp – Barbie, l’analisi

Anche riconoscendo che no, Barbie non è e non può essere un film anticapitalista finire la discussione qui vorrebbe dire ignorare tutto quello che questo film ha di buono. Greta Gerwig ha preso un determinato tipo di estetica e di linguaggio, lo ha arricchito e fatto suo. Un’operazione che non è nuova, è uso comune sfruttare un immaginario ben preciso per pilotare un messaggio. Oltre ai film che la stessa regista e sceneggiatrice ha citato come sue fonti d’ispirazione, Gerwig si è ispirata a un tipo di estetica che è molto conosciuta soprattutto nella cultura queer e camp.

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Barbie. Heyday Films, LuckyChap Entertainment, Mattel Films.

Ne fanno parte film come Mean Girls, La rivincita delle bionde, La morte ti fa bella, La donna perfetta, Rocky Horror Pictures Show e Una donna promettente, tutte storie legate tra loro da un’estetica plastica e volutamente fittizia.
Ma camp non è solamente un termine che definisce un particolare gusto estetico, è stata una vera e propria rivoluzione culturale. Nata negli anni Sessanta, in pieno periodo della rivoluzione sessuale, la corrente camp è diventata di uso comune tra i media e la letteratura con il compito ben preciso di contaminare la cultura alta con argomenti, tematiche ed estetiche che non erano mai stati ammessi lì prima d’ora. Susan Sontag nel suo Notes on Camp afferma che: “Il camp può cancellare la moralità. Neutralizza l’indignazione morale, promuove ciò che è scherzoso”.

Barbie stereotipo – Barbie, l’analisi

La storia si concentra su Barbie stereotipo che è la Barbie archetipo, la prima creata e che ha preceduto tutte le altre bambole. Bambole che con gli anni son diventate sempre più sfaccettate sia per quanto riguarda le caratteristiche fisiche, ma soprattutto per gli hobby che hanno e i lavori che svolgono.
La Barbie impersonata di Margot Robbie è una bambola senza passioni, senza un lavoro, un manichino la cui sua unica caratteristica è l’essere bella e senza difetti. Non a caso, i cambiamenti che Barbie subisce ad inizio film non sono solamente legati a pensieri intrusivi, ma anche fisici: la comparsa della cellulite è il momento di rottura che convince la bambola ad andare nel mondo reale per sistemare quello che le sta accadendo, ad accettare la chiamata dell’eroina. Oltre a quello Barbie inizia ad avere l’alito pesante, i piedi piatti e la sua più grande paura è somigliare a Barbie Stramba che è considerata brutta, un’outsider emarginata.

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Barbie. Heyday Films, LuckyChap Entertainment, Mattel Films.

L’operazione di Gerwig è estremamente intelligente perché mette sul tavolo tutte le discussioni che si sono sviluppate da decenni a questa parte attorno alla bambola più controversa e famosa che sia mai stata creata. Da un lato quel che dice Barbie all’inizio del film è vero: le Barbie sono state uno strumento di emancipazione, ci hanno fatto credere che noi donne (all’epoca bambine) potevamo inseguire i nostri sogni. Non a caso, il set up del film si concentra sull’esperienza di gioco facendoci immergere totalmente nella narrazione utilizzando le tecniche e il modo di giocare tipico delle bambine. Per chi era un’appassionata di Barbie è emozionante vedere una persona in carne ed ossa muoversi nello spazio ignorando porte e finestre, la logica del movimento che viene meno, vedere queste case rosa aperte su un lato e interagire con gli oggetti di uso quotidiano formato Barbie, dalla doccia da cui non esce acqua al cartone di latte sproporzionato. Ma la regista mette anche in luce tutte le problematiche legate ad una bambola che per decenni è sempre stata raffigurata come una donna bellissima, magra, dai capelli perfetti e con un sorriso smagliante.

Il linguaggio cinematografico – Barbie, l’analisi

in questo modo che Gerwig costruisce l’illusione, ma anche la successiva disillusione. Le Barbie sono convinte che grazie a loro il mondo reale sia esattamente come Barbieland, un mondo dove le donne ricoprono ruoli di potere come essere Presidente, ricevere il Nobel per la fisica e per la letteratura, essere pilote di arei e astronaute, tutti lavori che hanno ottenuto lavorando sodo e impegnandosi senza ricevere ostacoli esterni come succede nella vita di tutti i giorni. Ma è soprattutto lo sguardo quello che colpisce, il linguaggio cinematografico utilizzato da Gerwig. A Barbieland tutto viene visto attraverso il female gaze e il queer gaze, uno sguardo che racconta senza sessualizzare i corpi, senza renderli oggetti. Le Barbie e i Ken si vestono seguendo esclusivamente i loro gusti, ma questo cambia totalmente quando Barbie mette piede nel mondo reale dando via alla disillusione, la momento in cui si rende conto di aver creduto ad una bugia.

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Barbie. Heyday Films, LuckyChap Entertainment, Mattel Films.

C’è un immediato cambio di sguardo sancito dall’inquadratura che si sofferma sul sedere di Barbie, che segna in modo drastico il passaggio dal female gaze al male gaze. Subito dei gruppi di uomini iniziano a commentare il suo fisico, il modo in cui è vestita, il suo corpo in modo che la mette fortemente a disagio, un disagio che esprime a parole. Più Barbie scopre il mondo reale, più il forte senso di disagio aumenta. L’incontro con la Mattel rappresenta il punto più alto della disillusione, il momento in cui il suo mondo non può tornare più come prima. Gli uomini della Mattel sono grotteschi, tutti uguali tra di loro, anche più simili di quanto sono le Barbie e i Ken che al contrario sono molto diversi l’uno dall’altro. Ma i piani alti della Mattel, eliminando l’aspetto estetico, sono uomini che tutti noi conosciamo e che ricoprono piani alti delle aziende, della società. Sono uomini che si professano femministi, che dicono di amare le donne, che sentono molto vicini a loro i problemi del patriarcato poiché sono figli di madri, sono sposati con una donna, hanno figlie.

Belle parole che non si traducono in azioni concrete, ma anzi si plasmano quando le donne che dicono di rispettare non si comportano come loro vorrebbero, escono dai binari delle rigide regole patriarcali. Quando Barbie, prima di scappare, chiede di poter parlare con la CEO le viene risposto che non ci sono donne al comando, dimenticandosi completamente della creatrice della bambola che è ancora nel palazzo, ma dimenticata in uno sgabuzzino. A culminare quel momento è la scena dove Barbie viene invitata con l’inganno ad entrare nella sua scatola con la promessa che tutto si aggiusterà. Il gesto del liberare la Barbie appena comprata qui viene proposta al contrario, con un close-up sui polsi di una donna che vengono stretti dai fili di plastica che servono a tenerla ferma.

Sorellanza – Barbie, l’analisi

In tutta la filmografia di Gerwig è centrale il rapporto madre e figlia analizzato ogni volta sotto una lente differente e Barbie non fa eccezione. Gloria è una donna che ha vissuto la stessa illusione di Barbie nel momento in cui il rapporto con sua figlia Sasha, prima stretto e connesso, si sta indebolendo. La donna, vedendo che la figlia si sta allontanando da lei, torna a giocare con la Barbie che le teneva unite quando Sasha era piccola. Un gioco che se da una parte le dà conforto e stimola la sua creatività, dall’altra la intrappola in pensieri negativi che sono i medesimi che ha Barbie essendo le due connesse.

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Barbie. Heyday Films, LuckyChap Entertainment, Mattel Films.

Il rapporto tra Gloria e Sasha viene ricucito da un’avventura insieme, ma non è l’unico rapporto materno del film. Il più profondo e commuovente è quello tra Barbie e la sua creatrice, Ruth infatti non ha solamente inventato la bambola ispirandosi a sua figlia Barbara con la speranza di darle il futuro che vorrebbe per lei, ma diventa la madre spirituale di Barbie in quanto sua creatrice. Creatrice e mentore che la conduce senza giudicarla, ma solamente con infinito amore verso la sua decisione di abbandonare Barbieland e diventare umana.

Il rapporto tra donne nel film è fondamentale. La sorellanza per Barbie si traduce nell’unico modo possibile per sconfiggere i Ken che vogliono conquistare Barbieland e trasformarla in Kendom.
Nel medesimo modo in cui il femminismo è nato e prospera, attraverso una fitta rete di testimonianze e di aiuto, di donne che si aiutano tra loro, le Barbie riescono pian piano ad uscire dall’incantesimo del patriarcato e a tornare lucide com’erano. L’aiuto decisivo viene da Gloria con il monologo più commuovente del film, nato dalla rabbia della donna che cerca costantemente di essere perfetta, di rispettare gli standard irraggiungibili e pieni di contraddizioni impostati dalla società per noi donne. Mettendo in luce l’enorme difficoltà nel tentare di tenere il passo e il cercare di essere tutto (magra, ma non fissata con la linea; bella e curata, ma nel modo più naturale possibile agli occhi degli altri; una madre amorevole, ma che non pensa o parli troppo dei figli; una lavoratrice instancabile, ma che si accontenti dello stipendio che ha; indipendente, ma che non spaventi gli uomini), Gloria riesce a far aprire gli occhi alle Barbie. E alle spettatrici.

Screwball comedy – Barbie, l’analisi

Come abbiamo già detto, i riferimenti in Barbie sono molteplici e prendono ispirazione dall’intera storia del cinema. Ne è un esempio il rapporto – per molti controverso – tra Barbie e Ken e la rappresentazione dei Ken. Barbie si approccia ad un sottogenere della commedia ben precisa chiamata screwball comedy, un tipo di commedia svitata caratterizzata da gag veloci, incidenti, una comicità molto fisica piuttosto che affidata al linguaggio verbale. Una commedia la quale, come molti altri film, ha al centro la famigerata lotta tra i sessi creata e sviluppata su una struttura intelligente quanto divertente. Negli anni Trenta la commedia ha fatto scuola e, sebbene l’obiettivo di questi film fosse far ridere, il fine ultimo è costruire una sofisticata critica sociale. Per far questo la sceneggiatura si affida a un rapporto tra il personaggio maschile e quello femminile, sbilanciato a favore della protagonista.

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Barbie. Heyday Films, LuckyChap Entertainment, Mattel Films.

La commedia di quegli anni ha riscritto il genere poiché le protagoniste erano donne emancipate ed indipendenti e argute che si scontravano con protagonisti ingenui e pasticcioni, un rapporto che nasceva come conflittuale e si concludeva in una relazione romantica. Il caso più eclatante è Susanna! di Howard Hawks del 1938 in cui la protagonista è un’ereditiera esuberante e intelligente mentre la sua controparte maschile è un professore imbranato.
Ken non è sciocco, ma ingenuo e imbranato. E soprattutto ha il suo arco di trasformazione che cammina in parallelo con quello di Barbie.

I’m Kenough – Barbie, l’analisi

Una delle critiche più aspre al film è rivolta al personaggio di Ken che, secondo alcuni, ne esce in modo inglorioso se non addirittura misandrico. Basterebbe osservare la popolarità del personaggio – che ha superato quello di Barbie stessa sebbene Margot Robbie sia stata impeccabile – per capire che Ken non è stato lasciato in secondo piano né scritto da una donna che odia gli uomini. Lo conferma il fatto che la sceneggiatura è scritta a quattro mani da Greta Gerwig e Noah Baumbach, uno sceneggiatore abile e capace che ha dato prova della sua bravura in Rumore bianco, Storia di un matrimonio e Frances Ha, quest’ultimo scritto assieme a Gerwig. E l’umorismo di Baumbach si esprime soprattutto nei tratti esagerati ed eccentrici dei Ken.

ryan gosling barbie role

Barbie. Heyday Films, LuckyChap Entertainment, Mattel Films.

Inoltre, come già detto, Barbie è una commedia e tale rimane dall’inizio alla fine, motivo per cui Ken spicca ed è così tanto amato per il suo essere un personaggio simpatico, buffo e bonaccione sebbene quel che faccia, visto nell’ottica del film, è grave. Ma nell’economia della storia e nelle sue intenzioni finali, non viene percepito come il villain quale è. Ken, grazie anche all’interpretazione di Ryan Gosling e all’iconica canzone “I’m Just Ken“, ne esce come un personaggio simpatico che ha fatto un errore in buona fede.
Così come Barbie ha un arco di trasformazione, quello di Ken le cammina in parallelo. Fin dall’inizio lo vediamo sempre accanto a lei, con l’intenzione di impressionarla per catturare l’attenzione e la stima degli altri Ken, conquistare il cuore della ragazza vuol dire dimostrare al Ken interpretato da Simu Liu chi è il migliore tra i due.

Sul finale, Ken esprime la sua paura di non essere nulla senza Barbie in quanto la sua bambola raramente viene acquistata da sola, addirittura spesso – come fa notare Gloria – Ken non è contemplato nel baule dei giocattoli delle bambine. Mentre Barbie accetta di non voler essere più una bambola, Ken – già durante la sua canzone – capisce di essere abbastanza anche se non è fidanzato con Barbie, che la sua esistenza non deve girare attorno alla competizione maschile e che ha dei pregi e hobby che vale la pena coltivare.

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