The Witcher: Blood Origin – La recensione della serie prequel di The Witcher

Su Netflix la miniserie spin-off in quattro episodi che racconta le origini del primo Witcher

È disponibile su Netflix dallo scorso 25 dicembre The Witcher: Blood Origin, di cui vi proponiamo la nostra recensione (qui il trailer). Come già successo con il film di animazione The Witcher: Nightmare of the Wolf, che si concentrava sul passato del personaggio di Vesemir, anche in Blood Origin facciamo un salto indietro, in un passato ancor più remoto. Più precisamente 1200 anni prima degli eventi della serie madre, prima della Congiunzione delle Sfere e prima della caduta dell’antico popolo elfico. Una narrazione ricca di eventi importanti nell’economia della mitologia di The Witcher, raccontati con una formula ancora differente rispetto alla serie madre e a Nightmare of the Wolf. Blood Origin è infatti una miniserie articolata in 4 episodi.

L’attesa per The Witcher 3 è alle stelle già da un po’, non solo perché in sé la serie fantasy tratta dai romanzi di Andrzej Sapkowski è fra le più amate e fortunate di Netflix, ma anche per altri e ben noti motivi. La terza stagione di The Witcher segnerà infatti l’addio di Henry Cavill a uno dei personaggi che lo hanno reso celebre. Dalla quarta in poi a vestire i panni e indossare le spade di Geralt di Rivia ci sarà Liam Hemsworth. Un cambio in corsa che non è piaciuto affatto ai fan della serie e che sta già polarizzando il dibattito, nonostante la showrunner Lauren Schmidt Hissrich abbia garantito che quella di Cavill sarà un’uscita di scena assolutamente degna di nota. Nel frattempo, l’universo di The Witcher si espande con uno spin-off che introduce nuovi personaggi affidati a un cast corale di livello guidato da Sophia Brown, Laurence O’Fuarain, Mirren Mack e Michelle Yeoh.

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The Witcher: Blood Origin. Hivemind, Platige Image

Indice:

Una storia persa nel tempo – The Witcher: Blood Origin recensione

Quella che seguiamo in The Witcher: Blood Origin è “una storia persa nel tempo”, come ci racconta Seanchai (Minnie Driver), la misteriosa elfa che fa da voce narrante e che ci accompagna dall’inizio alla fine della narrazione. Una storia che si svolge 1200 anni prima degli eventi della serie madre, che racconta della nascita del primo Witcher e delle tappe che hanno portato alla Congiunzione delle Sfere, l’evento che ha catastroficamente mescolato umani ed elfi e spalancato le porte del Continente ai mostri. Una macchinazione frutto di ambizione e sete di potere ordita dalla principessa Merwyn (Mirren Mack) e dal druido Balor mette fine alla guerra dei tre regni degli elfi, ma sancisce l’inizio di una dittatura distruttiva.

Sarà compito di un gruppo eterogeneo, composto da guerrieri e maghi di diverse origini, cercare di fermare Merwyn e Balor. Un gruppo che si ritrova per caso e che si forma per comunione di intenti e motivazioni. Ne fanno parte Éile (Sophia Brown), la solitaria cantastorie nota come l’Allodola, il guerriero Fjall (Laurence O’Fuarain) e l’ultima superstite della Tribù Fantasma Scían (Michelle Yeoh), di cui Éile è stata allieva per imparare a padroneggiare l’arte della spada. A loro si uniranno altri quattro “ribelli”, che metteranno insieme le forze per dar vita a un’impresa che sembra impossibile, da portare avanti con coraggio, determinazione, forza e spirito di sacrificio.

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The Witcher: Blood Origin. Hivemind, Platige Image

Il worldbuilding di The Witcher: Blood Origin

Declan de Barra e Lauren Schmidt Hissrich, hanno goduto della massima libertà nello sviluppo di ambientazioni e personaggi. Il legame con il mondo creato da Sapkowski, pur ovviamente presente, è molto più labile e la maggior libertà rispetto al materiale di partenza ha permesso ai creatori di dar vita a un wordlbuilding popolato di nuove figure e spunti nuovi. Quello di The Witcher è un mondo complesso e variegato, estremamente affascinante e fertile di direzioni da prendere e il proposito di espanderlo con nuovi rami della narrazione e nuovi punti focali è certo ambizioso.

“Sulla carta” a Blood Origin non mancherebbe nulla: l’introduzione di nuovi interessanti personaggi, affidati alle interpretazioni di un cast corale di richiamo, un racconto di quelle che sono le origini della figura centrale della serie madre, nuove storie da scoprire per aggiungere un ulteriore tassello a un puzzle già piuttosto stratificato. Il problema è che dalla “carta” i piani si trasferiscono nella serie in maniera non del tutto (e non sempre) soddisfacente. A cominciare proprio dalla scelta di un formato, quello di una miniserie in quattro episodi, che sacrifica la completezza al punto che il prequel di The Witcher risulta, a fine visione, un racconto troppo sbrigativo. I personaggi hanno archi narrativi limitati, troppo è affidato allo storytelling della narratrice e non all’azione vera e propria, poca è la vera e propria espansione di un universo dalle potenzialità pressoché illimitate.

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The Witcher: Blood Origin. Hivemind, Platige Image

Un universo in espansione, tra pregi e difetti

Blood Origin ha abbastanza materiale e una qualità complessiva sufficiente per assicurare 4 ore di intrattenimento, adatto anche a chi abbia poca familiarità con il franchise di The Witcher. Il ritmo degli episodi è sostenuto, le sequenze d’azione sono ben coreografate ed eseguite e i dialoghi tra i personaggi sono spesso punteggiati da una piacevole ironia. Gli attori fanno un ottimo lavoro e compensano ciò che manca ai loro personaggi in termini di profondità con intensità e una dose generosa di credibilità. È il caso soprattutto di Michelle Yeoh, colpevolmente messa ai margini (tanto in termini di approfondimento, quanto di presenza sullo schermo) in una storia in cui la sua Scían ha un ruolo cruciale e strategico.

Ma è un discorso valido anche per il Fjall di Laurence O’Fuarain, il cui arco narrativo è tra i più interessanti e, purtroppo, anche tra i più bistrattati. Il prequel di The Witcher ha poi un difetto che si riscontra, qua e là, anche nella serie principale: un utilizzo della CG non sempre perfetto, che salta all’occhio (anche in momenti cruciali) come una macroscopica stonatura. Manca invece quello che è uno dei tanti pregi assoluti di The Witcher, ovvero quella tensione che permea i passaggi più intensi della storia e che permette di entrare nell’azione, di immergervisi completamente.

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The Witcher: Blood Origin. Hivemind, Platige Image

Le nostre conclusioni – Blood Origin recensione

Con un materiale di partenza come quello creato dalla penna di Sapkowski da cui attingere liberamente, il fatto che questo prequel non aggiunga né tolga granché all’universo che si voleva espandere è qualcosa che sa di occasione sprecata. O, quantomeno, gestita male. Finiti i 4 episodi si resta con la voglia di saperne di più, ma si tratta di una voglia figlia del fatto che ciò che si è visto non è stato abbastanza. Blood Origin ha senz’altro quel che serve per garantire intrattenimento anche a chi non abbia particolare familiarità con la serie madre.

Ed è innegabile che sul fronte della qualità della confezione il bilancio sia decisamente positivo. Ma come spin-off, come nuova espansione dell’universo di The Witcher manca l’obiettivo, magari non clamorosamente, ma quanto basta per lasciare i fan di quel mondo quantomeno insoddisfatti. Blood Origin è quindi una miniserie fantasy che può funzionare in generale, in autonomia, ma come prequel di The Witcher finisce con l’aggiungere poco a quello che già c’era, quasi come un riempitivo per ingannare la spasmodica attesa della terza (e già chiacchieratissima) stagione.

 

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The Witcher: Blood Origin

Voto - 6

6

Lati positivi

  • La prova del cast corale, Michelle Yeoh e Laurence O'Fuarain su tutti
  • Blood Origin è una miniserie fantasy complessivamente ben fatta, in grado di incontrare anche il gusto di chi abbia poca familiarità con The Witcher

Lati negativi

  • Gli archi narrativi dei personaggi sono troppo sacrificati e, alla fine dei 4 episodi, l'impressione è quella che la storia sia stata trattata in maniera troppo sbrigativa
  • Blood Origin aggiunge davvero poco all'universo di The Witcher di cui è espansione

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