Dragged Across Concrete – Poliziotti al limite: recensione del film di S. Craig Zahler

Mel Gibson e Vince Vaughn in un thriller poliziesco dalle molteplici facce

Dopo la sua première alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia del 2018, in Italia ha fatto parlare poco di sé. Stiamo parlando di Dragged Across Concrete – Poliziotti al limite, di cui vi parleremo in questa recensione. Il film è il terzo lungometraggio del regista S. Craig Zahler (Bone Tomahawk, Cell Block 99 – Nessuno può fermarmi). Lo stesso Zahler è autore della sceneggiatura e compositore della colonna sonora. Il film, come già detto, è stato presentato fuori concorso nel 2018 in anteprima al 75° Festival di Venezia, ricevendo fin dalle prime proiezioni ottimi consensi dalla critica e dal pubblico. L’opera con protagonisti Vince Vaughn e Mel Gibson è arrivata in Italia, in on demand, solo nel 2020, quasi due anni dopo dal suo esordio. Proprio la sua distribuzione digitale è la migliore occasione per parlarne. In questo articolo la recensione di Dragged Across Concrete – Poliziotti al limite.

Brett Ridgerman e Anthony Lurasetti sono due agenti della città di Bulwark. Il primo, veterano di quasi sessant’anni, non ha mai fatto carriera a causa della sua rabbia repressa e dei suoi metodi brutali. Il secondo, suo compagno di squadra, ha un carattere apparentemente opposto, oltre ad essere più giovane. Durante l’arresto di uno spacciatore messicano, Brett viene ripreso da un passante mentre esercita il potere in mano alle forze dell’ordine con eccessiva violenza: il video arriva subito ai media e ciò porta il Dipartimento di polizia a sospendere i due per sei settimane, privandoli della paga. Senza denaro e con i relativi problemi familiari, Ridgerman convince Lurasetti a commettere un’azione criminale ai danni di un possibile spacciatore. La situazione prenderà una piega inaspettata quando la loro storia incrocerà quella di Henry, giovane afroamericano appena uscito dal carcere, invischiato in illeciti per dar sostegno economico alla sua famiglia.

Indice

 

Un poliziesco sui generis –  Dragged Across Concrete, la recensione

Servono poco più di dieci minuti per comprendere l’impatto che Dragged Across Concrete potrà avere sullo spettatore. Specie se riviste oggi, dopo la morte di George Floyd, le sequenze iniziali del film – che ricordiamo esser state girate ormai tre anni fa – colpiscono e ci riportano ai recenti eventi di Minneapolis. Distribuito due anni dopo la sua presentazione, l’ultimo film di S. Craig Zahler è già un piccolo cult. Lo è perché tutte le caratteristiche per esserlo, o per diventarlo in futuro, ci sono. Come nelle precedenti opere Zahler non perde troppo tempo, sa bene cosa vuole mostrare, come vuole farlo e quali tasti deve toccare per attirare su di sé l’attenzione. Arriva dritto al punto, anche a costo di inasprire i nostri sentimenti e le nostre emozioni durante la visione, per il suo raccontare attraverso uno stile così amaro, duro e privo di mezze misure.

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Dragged Across Concrete. Unified Pictures, Cinestate

Anche per questa sua capacità di restare sempre e comunque focalizzato sul suo intenso impianto drammatico, non disturbano determinate sequenze d’attesa più che d’azione. Dragged Across Concrete è sì un film d’azione ma quest’ultima, curiosamente, si prende la scena solo parzialmente e non è certamente il fulcro dell’opera. Proprio per questo motivo i vari intermezzi riescono a bilanciare alla perfezione il prodotto – facendo respirare la narrazione e alleggerendola. Prodotto che fonda il suo essere più sull’esplorazione del contesto, dell’uomo e delle sue azioni, che sulle sparatorie e gli inseguimenti (che certo non mancano). Elementi che contribuiscono a creare un perfetto equilibrio nella sceneggiatura, migliorando la fruizione del film nonostante la considerevole durata. Perché ciò che più di apprezza del film la sua fluidità con la quale scorrono i circa 160 minuti, quasi tre ore.

Poche chiacchiere, poche pistole, tanta tensione

Per tematiche e messa in scena, anche il terzo lungometraggio di Zahler viene plasmato attorno ad un’impostazione da b-movie, violenta e coinvolgente. Ma giusto una manciata di minuti e, nell’istante in cui le varie storie iniziano ad esser approfondite e cominciano ad intersecarsi, strati più profondo emergono con prepotenza. Dragged Across Concrete è sorretto sin dall’inizio da una scrittura che ne valorizza ogni aspetto, donando forza drammaturgica persino alle frasi pronunciate – poche, essenziali, ma al posto giusto. Ma il film non lascia mai abituare lo spettatore. Muta dinamicamente in corso d’opera, cambia costantemente pelle e mette in gioco elementi sempre nuovi mostrando un’inaspettata moltitudine di anime. Nel suo mutare, però, non dimentica ciò che ha costruito precedentemente, incastrando sempre le varie tessere del puzzle. Perché esse, in un modo o nell’altro, sono tutte pedine indispensabili per il gioco al massacro imbastito da Zahler.

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Dragged Across Concrete. Unified Pictures, Cinestate

Ciò che però conquista è la parsimonia con la quale vengono dosate le parole (tanti dialoghi ma sempre concisi e secchi) e le pistole. Ci vuole più di metà film per vedere sullo schermo il clou dell’azione. Ma in questo caso è il percorso che porta ad essa a risultare più interessante, a tenerci incollati allo schermo con la sensazione che prima o poi l’ordigno dovrà esplodere. E quando succede, esplode anche tutta la carica emotiva che ci si è portati dietro per tutta la prima parte. Merito anche dei suoi due protagonisti (Vince Vaugh sorprendente anche se mai al livello di un Gibson clamoroso) che restituiscono, insieme ai vari comprimari, un preciso spaccato socio-culturale, fatto di scelte sbagliate, dubbia morale e costante negatività. Un contesto esasperato e portato all’estremo ma costantemente controllato dall’autore che riesce a padroneggiare le micce con le quali innesca i suoi ordigni.

Bene e male, vita e morte – Dragged Across Concrete, la recensione

Dragged Across Concrete ci parla con estremo nichilismo di violenza, di ciò che siamo e di cosa siamo disposti a fare. Soprattutto ci pone, senza giri di parole, davanti ad una riflessione legata alle alternative e al controllo dell’uomo sugli eventi e sulla propria vita. Anche per questo il cinema di Zahler ricorda quello secco, asciutto e tagliente di Carpenter (e in parte quello del coetaneo Refn). E quest’ultimo titolo, con i suoi antieroi divisi tra bene e male e la capacità di mirare dritto all’obbiettivo, privo di fronzoli, ne è la riprova. Uno sguardo alla società e al male presente in essa. Una società nella quale prima di esser mostri siamo uomini, che Zahler ritrae come dannati, turbati e in costante tensione. Uno sguardo crudo e amaro ma allo stesso tempo bilanciato e mirabilmente equilibrato, lontano dai tutti i canoni del capolavoro ma proprio per questo incredibilmente potente.

Dragged Across Concrete è il perfetto ritratto dei binomi vita-morte, bene-male ma soprattutto luce-ombra. Le stesse luci e ombre che grazie alla splendida fotografia di Benji Bakshi esaltano brillantemente la messa in scena. L’opera di Zahler, anche grazie ad uno sguardo attento alle espressioni e ai dettagli, è un incredibile studio dello spazio, degli ambienti, dei movimenti e dei corpi. Uno studio che mostra la polizia e i protagonisti come specchio dell’intera società, del lato peggiore di ognuno di noi e lo fa scardinando ogni topos sul genere, trovando in ciò la propria forza. Zahler porta all’estremo le idee presenti nei due precedenti lungometraggi, politicizzando il discorso e mostrandosi in un certo senso profetico. Diverso da tutto e difficile da decifrare, Dragged Across Concrete è indubbiamente una delle più grandi sorprese action dell’ultimo decennio. Ed è un peccato non poterlo vedere in sala in Italia.

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Dragged Across Concrete - Poliziotti al limite

Voto - 8.5

8.5

Lati positivi

  • Un Mel Gibson straordinario, accompagnato da un ottimo Vince Vaughn
  • La bellissima fotografia di Benji Bakshi e tutto il comparto tecnico giostrato da Zahler
  • Il ritmo: 160 minuti raramente scorrono con questa fluidità

Lati negativi

  • Per il suo carattere diretto e senza mezze misure, l’opera a volte potrebbe appesantire

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