Le Mans ’66 – La grande sfida: recensione del film con Christian Bale e Matt Damon

Il regista James Mangold dirige una storica battaglia tra case automobilistiche

Le Mans ’66-La grande sfida, diretto da James Mangold, è stato presentato al Telluride Film Festival il 30 agosto 2019 e al Toronto International Film Festival il 9 settembre 2019. La pellicola, distribuita da Walt Disney Studios Motion Pictures tramite l’etichetta 20th Century Fox, narra una vicenda realmente accaduta alla fine degli anni sessanta. Una lotta industriale tra due case automobilistiche del calibro di Ford e Ferrari, dove spiccano le due figure di Carroll Shelby e Ken Miles. La  corsa di automobili “24 Ore di Le Mans”, fa da cornice allo spirito americano del famoso progettista statunitense e al talento del pilota. Due ore e mezza di film che, come vedremo nella nostra recensione di Le Mans ’66 – La grande sfida, ci regalano qualcosa in più rispetto ai classici film sull’automobilismo. Strizzando l’occhio ad una gloriosa italianità del secolo scorso: quella di Enzo Ferrari e delle sue famose auto.

Indice

Le Mans’66 recensione – Trama

Le mans 66 recensione

Matt Damon è Carroll Shelby, il noto pilota e progettista di automobili americano, a cui si deve il nome dell’iconica vettura. Shelby, dopo aver dimostrato le sue doti al volante e aver gareggiato nella famigerata 24 Ore di Le Mans, si dà alla progettazione e alla vendita di auto; e lo fa attraverso la sua azienda “Shelby-American”. Christian Bale è invece Ken Miles, pilota britannico naturalizzato statunitense che, tra una gara e l’altra, porta avanti un’officina per mantenere la sua famiglia. Shelby e Miles sono amici di vecchia data e ciò che li lega non è solo la fervente passione per le quattro ruote, ma un profondo rispetto reciproco. Shelby e Miles sono entrambi veterani della seconda guerra mondiale. Ultimi “vessilli” a stelle e strisce, rimasti indelebili nella storia. Ma il mondo automobilistico degli anni sessanta non è fatto solo di piloti dal cuore iniettato di benzina e di lunghe corse.

Un certo Henry Ford II, nipote di quel famoso Henry Ford che non ha certo bisogno di presentazioni, dirige la più grande compagnia di automobili al mondo. Forte di una produzione industriale nota per numeri e fatturato, capisce presto che il prestigio di una casa automobilistica passa attraverso la competizione sportiva. Gli anni sessanta sono infatti anni in cui, grandi e piccole aziende, fanno sfoggio dei loro prototipi e delle loro auto più veloci. Partecipando a corse ai limiti del contagiri dove, appassionati (e spesso un pò matti) piloti, si misurano in circuiti mozzafiato in nome del team e dell’azienda che li ha messi al volante. Henry Ford II, interpretato da Tracy Letts, capisce subito che il nemico da battere sulle piste, non è altro che il fondatore della prestigiosa azienda automobilistica italiana che ci ha resi famosi in tutto il mondo: il “modenese” Enzo Ferrari.

Le Mans ’66 recensione – L’eterna lotta tra talento e marketing

Possedere una catena di produzione capace di sfornare i 2/3 degli aerei da combattimento durante la seconda guerra mondiale non basta a rendere un’azienda di macchine illustre e degna di rispetto nel mondo del trasporto su gomma. Lo sapeva bene Henry Ford II, il quale, verso la fine degli anni sessanta, si rese conto che la piccola azienda italiana del cavallino rampante possedeva qualcosa che le famigerate catene di montaggio, fondate dal defunto nonno, ancora non avevano. Ciò che l’azienda di Enzo Ferrari, e la sua produzione artigianale d’auto, contribuì a diffondere, fu infatti il legame tra le vittorie in gara e la fama di una casa automobilistica. Dopo aver tentato invano (come la cronaca dell’epoca ci ricorda) di acquistare l’azienda del nostro celebre connazionale, Henry Ford deciderà di mettere a punto un team capace di competere in gare del calibro della “Daytona” e della “ 24 Ore Le Mans”.

Ma produrre un’automobile superveloce e all’avanguardia, sotto il profilo ingegneristico, come la celeberrima Ford GT40, non basta a conquistarsi la vittoria in una gara come quella di Le Mans. La 24 Ore di Le Mans è infatti una gara massacrante per le auto, quanto per i piloti al volante. Le Mans è una competizione dove le abilità, il coraggio e la resistenza del pilota scelto, valgono quanto le caratteristiche del motore e dell’impianto frenante della vettura, per il buon esito della gara. Ken Miles, interpretato da un magistrale Christian Bale, ci ricorda cosa significa essere un vero pilota. Un pilota dotato di un talento innato e di una passione sfrenata per la velocità. Un talento che, però, dovrà fare i conti con una realtà aziendale spesso arrivista e priva di cuore: una realtà aziendale il cui fine ultimo è sempre l’immagine dell’azienda e le strategie di marketing ad essa collegate. 

Christian Bale e Matt Damon: un’alchimia perfetta – Le Mans ’66 recensione

 

Le mans 66 recensione

Christian Bale e Matt Damon, dal punto di vista della recitazione e della presenza scenica, sono due attori a cui risulta impossibile negare l’estrema bravura. Bale, tra una trasformazione corporea e l’altra, si cala magicamente nelle vesti del pilota Ken Miles. E lo fa mettendo in atto quel piglio un po’ folle (qui meno acuito), capace di ricordarci, vagamente, la sua interpretazione in “The fighter”; l’interpretazione che gli valse l’Oscar come migliore attore non protagonista nel 2011.  Damon, dal canto suo, ha “il volto da americano” come nessun altro. Un elemento chiave, che fa si ch’egli si presti con spontanea naturalezza all’iconica figura di Carroll Schelby. Come in numerose altre pellicole, anche qui Matt Damon trasmette quel senso di America bella, sana e corretta. Qualcosa che, a quanto pare, sta molto a cuore agli americani. Christian Bale e Matt Damon, in numerose sequenze all’interno del film, sembrano completarsi.

Sebbene siano entrambi piloti, legati da una profonda amicizia e ammirazione reciproca, rappresentano due esiti diversi di due carriere automobilistiche. Carroll Schelby, istituzionalizzato e ormai dedito alla progettazione di auto. Ken Miles, invece, nel suo ruolo di outsider, velocissimo su pista e affamato di tagliare il traguardo grazie al suo talento e alla sua genuina passione per le corse; una passione innata e mai snaturata. La sceneggiatura, affidata a Jez Butterworth, è un tripudio di dialoghi e sfottò, divertenti e ironici, nello stile yankee. Per quanto riguarda la fotografia, Phedon Papamichael Jr. , ci regala le inquadrature mozzafiato che ci si aspetta da un film sulle corse automobilistiche; forte, tra le altre cose, già di un’ottima collaborazione con il regista in “Quel treno per yuma”. Marco Beltrami, noto compositore statunitense, offre a questa pellicola una colonna sonora efficace e godibile. Capace di arricchire, ulteriormente, sequenze già cariche di pathos e adrenalina.

I meriti di questa pellicola

Il pregio di Le Mans ’66, di cui vi abbiamo proposto la nostra recensione,  non sta solo nell’aver donato, finalmente, nuovo colore al genere automobilistico. Un genere fin troppo bistrattato e reso obsoleto da improbabili blockbuster portati avanti fino allo sfinimento. E non risiede nemmeno nell’essere riuscita a portare sul grande schermo una grande storia di piloti e automobili dell’America degli anni sessanta; una storia vera del tutto sconosciuta ai non appassionati. Ciò che rende questo film unico, è la capacità di inquadrare perfettamente il clima che si respirava nelle scuderie automobilistiche e nei team di quell’epoca che si trova a portare sullo schermo.

Un’epoca d’oro in cui, noi italiani, grazie ad Enzo Ferrari, eravamo portavoce di rispetto e regole cavalleresche ormai dimenticate. Dove all’efficienza tecnica, ai numeri e ai risultati, era legata un’etichetta da uomini d’altri tempi. La stessa che, il regista, ci fa intravedere in uno scambio di sguardi tra il pilota Ken Miles e il nostro caro Enzo Ferrari.

 

 

Le Mans '66-La grande sfida

Voto - 7.5

7.5

Lati positivi

  • interpretazioni di Christian Bale e Matt Damon
  • nuovo respiro al genere automobilistico

Lati negativi

  • dialoghi spesso inflazionati
  • storia vera ma fin troppo romanzata

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