Manhunt: Unabomber – Recensione della miniserie nel catalogo Netflix

Pur non essendo una produzione Netflix, Manhunt: Unabomber si inserisce nel catalogo del colosso dello streaming a pagamento reggendo il confronto con le produzioni autoctone.
Con un cast di livello cinematografico, la miniserie porta la firma di Andrew Sodroski, Jim Clemente e Tony Gittelson.

Prodotta da Discovery Channel e ora disponibile su Netflix, Manhunt: Unabomber coglie nel segno. Come? Mostrando al pubblico la vera storia di Unabomber, il terrorista che nell’arco di circa 18 anni provocò negli Stati Uniti 3 morti e 23 feriti tramite l’invio di pacchi-bomba. Insieme alla storia di Unabomber, soprannome che nasconde in vero il geniale matematico Theodore Kaczynski, ad essere narrata è quella della caccia all’uomo portata avanti dall’FBI. E, in particolare, la ricerca sperimentale che condurrà il detective Jim Fitzgerald all’arresto del criminale usando una metodologia innovativa: la linguistica forense.

Manhunt: Unabomber – recensione della miniserie TV

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Ci sono criminali destinati a passare alla storia. Tra questi, il caso di Ted Kaczynski è esemplare. Geniale matematico statunitense, Kaczynski ha raggiunto la notorietà non per la sua mente brillante, bensì per essere stato uno dei criminali più ricercati negli Stati Uniti. Tramite una ricostruzione abbastanza fedele degli eventi, la miniserie TV Manhunt: Unabomber cerca di ricostruire non solo la personalità e le ideologie di tale individuo, ma soprattutto si concentra alla caccia all’uomo portata avanti dall’FBI nel corso degli anni. Caccia all’uomo che si concluderà grazie all’intervento di Jim Fitzgerald, profiler dell’FBI.

E se Unabomber è passato alla storia, sicuramente le modalità che hanno portato alla sua cattura sono parte essenziale della fama legata a questo peculiare personaggio. L’introduzione della linguistica forense, difatti, risulta essere la chiave principale di tutta la serie, prodotta da Kevin Spacey, John Goldwyn e Dana Brunett, nomi già decisamente noti al piccolo e grande pubblico.

Manhunt: Unabomber – la trama

Manhunt Unabomber

La serie fa il suo esordio presentandosi come un thriller psicologico decisamente ben costruito; l’attenzione per i dettagli e le brillanti interpretazioni dei suoi protagonisti, poi, garantiscono a Manhunt: Unabomber un’ottima riuscita, sia a livello di apprezzamento critico, sia in chiave di audience.

Filo conduttore di tutta la miniserie è il detective Fitzgerald, presentatoci come uno dei profiler più brillanti a disposizione del Federal Bureau. Fresco di accademia, dopo aver passato anni a servire la giustizia come poliziotto di quartiere, Fitzgerald – che nella serie viene chiamato semplicemente Fitz – viene arruolato nel caso che segnerà per sempre la sua carriera.

Si tratta del caso Unabomber, un criminale statunitense passato alla storia per il suo modus operandi. Questo, in virtù di cronaca, consisteva nell’invio di pacchi bomba, spesso letali, a persone apparentemente scelte in maniera casuale. A ciò, però, Unabomber accompagnava anche l’invio di alcune lettere, il cui contenuto rispecchiava la propria concezione del mondo tecnologico.

L’odio del criminale nei confronti della tecnologia e del progresso dato dalla seconda rivoluzione industriale traspare in ogni sua lettera. E saranno proprio le lettere a condurre l’FBI alla sua cattura. Per la prima volta nella storia, difatti, viene introdotta come tecnica di indagine quella che prenderà il nome di linguistica forense. Essa, basandosi sullo studio del linguaggio umano applicato, arriverà a delineare un ritratto comportamentale del soggetto analizzato, permettendo in tal modo alle ricerche di proseguire dopo anni di stagnazione.

Manhunt: Unabomber – i personaggi

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Per quanto concerne invece l’interpretazione dei vari personaggi che si susseguono sullo schermo, menzione d’onore va a quelli che di fatto sono i due protagonisti. Si tratta di due nomi già noti al pubblico; da una parte Sam Worthington, e dall’altra Paul Bettany; i due attori interpratano rispettivamente Fitz e Ted. Mentre il primo sicuramente vi tornerà alla mente per il suo ruolo come protagonista in Avatar di James Cameron, il secondo richiama più velocemente il personaggio di Visione nel MCU.

Entrambi gli interpreti risultano decisamente all’altezza della produzione. In particolare Paul Bettany, che nel suo ruolo emblematico di terrorista, riesce a restituire l’immagine di un uomo dilaniato da traumi passati. Un uomo folle, certo, così giudicato dalla gente, ma che presentava tuttavia una lucidità invidiabile. Per quanto riguarda invece l’interpretazione di Sam Worthington, questa appare perfettamente in linea con gli alti standard pretesi dalla produzione. Al loro fianco, una folta schiera di nomi più o meno conosciuti si sussegue; tra questi quelli di Jane Lynch, Chris Noth e Michael Nouri.

Manhunt: Unabomber – il linguaggio come chiave interpretativa

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Punto di forza di tutta la serie è sicuramente l’attenzione ai dettagli. Che sia quella riservata alle indagini, oppure alla ricostruzione della metodologia linguistica, poi, è solamente un carattere aggiuntivo. In particolare, però, ciò che spicca in Manhunt: Unabomber – che si muove su una doppia linea narrativa, tra il 1995 il 1997, pre e post cattura di Kaczynski – è la ricostruzione peculiare della nascita di uno studio comportamentale legato al linguaggio.

Ricorrendo a un’analisi comparatistica, il detective Fitz riesce a isolare quelli che vengono comunemente definiti idioletti; in tal modo, risulta finalmente possibile restringere il campo di ricerca del terrorista, concentrandosi sugli indizi che le lettere di Unabomber, inconsapevolmente, avevano disseminato per 18 anni, fino a giungere al suo arresto.

Manhunt: Unabomber – La Società Industriale e il Suo Futuro

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Mente geniale, quella dietro la persona di Unabomber. Matematico brillante, precoce negli studi e nel raggiungimento di alti risultati accademici, Theodore Kaczynski si presenta al pubblico come una persona degna di rispetto. Tuttavia, ciò che invece il suo alter ego, l’Unabomber che per 18 anni ha terrorizzato gli USA restituisce agli spettatori è il ritratto di una mente eveidentemente disturbata; una mente che vede nel mondo moderno il male più assoluto. Siamo schiavi, ci dice Unabomber nelle sue lettere e nel suo Manifesto, di una società tecnologica. Siamo schiavi della tecnologia da noi stessi inventata, in quanto “la rivoluzione industriale e le sue conseguenze sono state disastrose per la razza umana“.

Si tratta di un’idea estrema, che ha reso Ted Kaczynski talmente ostile nei confronti del mondo da spingerlo a vivere da eremita. Da spingerlo a commettere una serie di crimini efferati al fine di far sentire la sua voce, rimasta inascoltata per anni. Ma cosa ci dice questo di un personaggio così difficile da incasellare? Ciò che Manhunt: Unabomber ci restituisce è, di fatto, il ritratto di un uomo pazzo. Ma dove inizia la follia e dove si arresta la possibilità di un’analisi lucida? Questo, nella serie, non è dato saperlo. Ma le idee di Unabomber, un po’ come quelle di molti avanguardisti, vengono prese per follia. Sarebbe stato lo stesso se, per farsi notare, non fosse ricorso alla violenza?

 

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Manhunt: Unabomber recensione

Rating - 7.5

7.5

The Good

  • Buona stuttura narrativa
  • Attenzione ai dettagli
  • Ottime interpretazioni dei protagonisti

The Bad

  • Tentativo di suscitare empatia non necessario

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