Mute, di Duncan Jones – Recensione del film Netflix

Ecco la recensione di Mute, il nuovo film distribuito da Netflix scritto e diretto da Duncan Jones!

Ieri, oggi e domani la comunicazione e il poter comunicare è l’essenza delle relazioni umane. Si comunica con gli sguardi, i gesti e sopratutto con le parole. Ma quando non si ha la possibilità di comunicare con le parole gli altri sensi devono fare il doppio del lavoro. Si sviluppano diversi modi di dire alle persone cosa si prova. Dalla propria disabilità si trae una forza assai più grande di quella di cui sono dotate le persone “normali”. Ce lo ha insegnato Guillermo Del Toro con La Forma dell’Acqua (qui la recensione) e con Mute Duncan Jones torna a parlare dell’urlo vitale di chi non ha voce.

Con Mute Netflix ci permette di conoscere la storia di Leo, un amish che lavora come barman nella Berlino del 2052. L’uomo (interpretato da Alexander Skarsgard) è rimasto muto a seguito di un incidente in cui è stato coinvolto da piccolo; la famiglia fedele all’ortodossia amish rifiutò di far operare il giovane Leo, il quale avrebbe potuto ricominciare a parlare se avesse avuto le cure adeguate. Ormai uomo comunque Leo è riuscito a scoprire la chiave per sopravvivere in questa Berlino futuristica. Ha anche una ragazza, l’eccentrica Naadirah che però un giorno scompare. Leo dunque non si darà pace finché non riuscirà a trovare la donna che ama, a costo di mettersi contro la malavita della cupa capitale tedesca.

Mute, di Duncan Jones – La recensione

Per la nostra recensione di Mute anzitutto analizziamo la regia di Duncan Jones. Al suo quarto lungometraggio l’autore che aveva lasciato a bocca aperta tutti i cinefili con il meraviglioso debutto con Moon (al quale Mute stesso è legato dal cameo di Sam Rockwell), sperimenta una fantascienza vicina al cyber punk. Cristallino è l’omaggio di Jones a Blade Runner. L’ambientazione futuristica, cupa e cosmopolita non può che farci sovvenire alla mente il capolavoro di Ridley Scott.

L’opera è fortemente legata a Blade Runner anche per il genere, evidenti sono le tinte noir del film. Ecco che allora l’autore scrive e dirige, come i criteri del noir comandano, una storia in cui al centro ci sono i personaggi e e l’indagine delle loro emozioni, dei loro segreti inconfessabili. Dunque il fulcro del plot, incentrato sulla ricerca della ragazza scomparsa, è solo un pretesto che permette a Jones di chiudere il cerchio su ciò che realmente gli interessa indagare, il lato oscuro dell’amore. E a questo scopo la macchina da presa si adatta.

Con Mute Duncan Jones abbandona la regia dinamica sperimentata in Warcraft – L’inizio. Compone un puzzle di primi piani, di campi e controcampi sui volti dei personaggi; inoltre frequente è l’alternarsi di figure intere e “totali” per mostrare la solitudine di Leo e la ricerca del suo amore perduto. La regia però non è, banalmente, statica ma nel suo essere immobile dà modo allo spettatore di porsi domande. Non tutti i personaggi sono quello che sembrano e l’autore a poco a poco, in crescendo, insinua ii dubbia facendoci scrutare negli occhi dei protagonisti. Il tutto è poi dipinto da luci al neon, fredde, asettiche di un mondo che ormai, pervaso dalla tecnologia, sembra aver messo da parte i sentimenti genuini. Cupa l’ambientazione, cupe le anime dei personaggi.

Il sogno genera mostri

Con Mute Duncan Jones ci presenta un protagonista sfaccettato. Amish che ripudia la tecnologia, timido e bonario, eppure lavora in un locale notturno fra lap dance robotiche, alcol e criminali. Leo è un uomo dolce, è una persona che ha imparato ad osservare, ripensare e poi inventare. Osserva, riflette, disegna e ancora reinventa ed intarsia sul legno la sua fantasia. Un sognatore, come sono i due protagonisti di The Shape of Water per continuare il parallelismo con il film di Del Toro.

Eppure già dalle prime scene vediamo Leo come una persona possessiva, incline all’ira ed insicura di fronte alla sua amata Naadirah. Come se l’impossibilità di parlare alla ragazza dell’amore che prova lo facesse sentire in difetto nei suoi confronti. Lui si attacca con tutto se stesso ad una relazione di due caratteri che sembrano agli antipodi. Uniti però dalla voglia di sognare un mondo diverso, una vita diversa per loro stessi, lontani dalla barbarie e dal degrado che quella Berlino al neon può offrire loro. Il loro sogno di una vita migliore sarà la chiave di volta, nel bene e nel male di un sentimento puro e assoluto.

mute duncan jones recensione

Anche Cactus (Paul Rudd) sogna una vita fuori da quel luogo di eccessi. Così l’uomo, militare disertore degli USA, fa il chirurgo per un malavitoso che può procuragli i documenti per uscire dalla Germania con l’adorata figlia. Anche per Cactus il sogno è  generato dall’amore, quello per l’amata figlia nei confronti della quale egli è estremamente possessivo. Riprendendo la famosissima opera di Goya, Il sonno della ragione genera mostri, qui è il sogno che sopisce la ragione a generare mostri, brutali e crudeli. Il sogno mosso dall’amore, un sentimento imperfetto, a volte cattivo, ma che ha in sé il germe dell’amore più genuino che ci sia.

Un Melting Pot stratificato

Questa disperata e violenta corsa al sogno è tutta inquadrata in un melting pot, un mescolamento, stratificato di luoghi, persone, generi. Come abbiamo già detto con Mute Netflix punta sull’effetto nostalgia per gli amanti di Blade Runner. Ma Jones su questa base estremizza e costruisce. In questo mondo ultra globalizzato le ambientazioni non sono solo mescolamenti di culture diverse, ma sono un unico fluido non-luogo assoluto. Non esistono più gli ambulanti orientali tra cui bazzicava Deckard. Anche la mescolanza delle etnie è molto più variegata rispetto all’opera di Ridley Scott.

Abbiamo tedeschi, statunitensi, russi, medio orientali e asiatici e il nostro amish, Leo. Ecco che qui troviamo una discrasia, forse voluta da Jones. Infatti mentre le ambientazioni multiculturali sono perfettamente fuse in un nuovo non-luogo, le etnie sono ancora separate da un muro che permette alle persone di non comunicare, c’è sempre un filtro tra loro. Le etnie sono fra loro mute, non riescono ad esprimersi e a comprendersi ancora con le altre. Il 2052 come il presente è un mondo fatto di non-comprensione dell’altro.

Con Mute Netflix ci permette di osservare un’altra mescolanza, la più interessante forse, cioè quella dei generi sessuali. Abbiamo uomini e donne, ma anche uomini che vogliono essere donne e viceversa e, perfino, un genere non umano ma robotico. Anche per questo strato, come per le etnie, all’apparenza totalmente amalgamata dei luoghi, delle economie, non corrisponde un’accettazione del diverso da sé. Insomma questo film presenta un melting pot stratificato, ma che mostra che sotto la superficie bene mescolata, l’eterogeneità, il pregiudizio, ancora sono forti e brutali. Con questo gioco di mescolamenti più o meno riuscito si torna a ribadire che il sonno (o sogno) della ragione genera mostri, come la pedofilia.

Mute – Coclusioni

Concludiamo questa recensione di Mute promuovendo nel complesso l’opera. Jones a volte si perde, la trama si sfilaccia e alcuni elementi del contesto gettati nei dialoghi in maniera poco comprensibile; su tutti il contesto geo-politico in cui vivono i personaggi dopo una guerra in Afghanistan. Inoltre il finale non risulta chiarissimo, anzi pare contraddittorio per certi aspetti. Dunque non si può negare la presenza di falle della sceneggiatura ma comunque l’autore riesce a far arrivare abbastanza chiaramente il messaggio.

Infine chiudiamo dicendo che con Mute Netflix ci permette di fruire di un contenuto fortemente voluto dallo stesso Duncan Jones (emblematica la dedica ai genitori) e che per certi aspetti scabrosi avrebbe fatto molta fatica ad essere distribuito nelle sale. Pedofilia e certa violenza esplicita oggi fanno storcere il naso ai distributori che devono adeguarsi al reflusso politically correct che sta vivendo l’occidente. Dunque non un film perfetto ma un’opera sentita e personale di uno degli autori più interessanti e dotati della seconda metà degli anni 2000. Aspettiamo con ansia il suo prossimo lavoro.

E voi cosa ne pensate di questo film? Credete avrebbe avuto vita facile nelle sale cinematografiche? Ditecelo nei commenti!

mute duncan jones recensione

Voto Film:

75 - 7.5

7.5

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *