Non siamo più vivi: recensione del drama horror coreano

La nuova serie originale Netflix è uno scontro generazione a colpi di splatter

Non siamo più vivi è la nuova serie horror coreana di Netflix che si tiene ben lontana dagli espedienti occidentali, ma abbraccia la struttura dei fumetti shonen, uno tra i generi più conosciuti ed apprezzati in Asia.
Le storie di zombie, che affollano il cinema e la letteratura, da decenni sono migrati verso altri prodotti mediali primi tra tutti i videogiochi, i fumetti e le serie tv. Gli zombie sono diventati un simbolo della cultura pop, spesso e volentieri utilizzati come veicolo di denuncia sociale.

Ma se state pensando ai messaggi lanciati da Romero nella sua filmografia horror, state sbagliando strada. Il racconto di formazione viene qui sviluppato non come un arco narrativo, ma si confronta con i problemi che si sviluppano durante l’adolescenza: soprattutto con lo scontrarsi contro la sfiducia verso gli adulti.
Non siamo più vivi riprende tutto quel filone horror asiatico – di cui Netflix è diventato il portavoce ufficiale da un anno a questa parte – che miscela sapientemente horror, humor e drammi sentimentali e familiari.

Indice

L’epicentro della serie – Non siamo più vivi, la recensione

Non è un caso che tutto ha inizio in una scuola, né che essa rimane la maggior ambientazione dell’intera serie.
Il liceo di Hyosan viene presentato come un mosaico di personaggi e situazioni facilmente riconoscibili, soprattutto perché le prime vicende che avvengono – ancor prima dell’epidemia – sono atti di bullismo di gruppo e molestie nei confronti di una studentessa che, sotto minaccia, viene fatta spogliare e viene ripresa con il cellulare da più ragazzi. In quella stessa scuola, il professore di scienze sviluppa un virus che rende il soggetto un morto vivente affamato di carne umana.

L’epicentro di quella che diventa ben presto un’epidemia di grossa portata avviene proprio in quelle aule, che si popolano di zombie a caccia dei pochi sopravvissuti rimasti. Si formano alleanze, gruppi che fanno di tutto pur di sopravvivere ingegnandosi come meglio possono mentre aspettano fiduciosi l’arrivo dei soccorsi. Il gruppo principale è formato dagli alunni della stessa classe e comprende gli antipodi tra i più classici: dalla ragazza innamorata del più bello della classe, ai due migliori amici che si conoscono fin da bambini per passare dal ragazzo intelligente e povero che riceve i sussidi per frequentare la scuola, ai bulli che infestano la scuola con le loro gerarchie.

La nuova era dei coming of ageNon siamo più vivi, la recensione

Non ci sono misteri da svelare o colpevoli da trovare in Non siamo più vivi, che fin dai primi momenti dice chiaro e tondo che il virus è stato creato da una persona e il motivo che l’ha spinto a fare degli esperimenti di questo tipo.
Un espediente intelligente che non sposta il focus da quello che accade ai molteplici personaggi di cui, solo alla fine, i destini si intrecceranno. In particolare sul forte dualismo tra noi e voi, tra i giovani studenti e le autorità che decidono cosa è giusto e cosa è sbagliato. 
La serie, su questo, è molto cinica. Gli adulti sono figure dannose, che prendono decisioni senza nemmeno provare a comprenderli o ascoltarli.

Lo scontro generazionale è alla base del genere più sfruttato dalla serie scritta da Chun Sung-il: il coming of age. I protagonisti non subiscono una crescita esponenziale. Le loro caratteristiche diventano più nette col passare degli episodi, ma restano sempre quelle. 
La struttura si rifà agli shonen asiatici, dove il racconto di formazione si evolve grazie a protagonisti che vengono messi di fronte a difficoltà sempre più grandi.
Sono le loro paure e solitudine a crescere, assieme alla necessità di far gruppo per riuscire a sopravvivere un altro giorno. Si ritrovano a scendere a patti con il lutto, con la perdita e a scontrarsi con la paura del futuro e con un sistema che non è dalla loro parte. 

Non siamo più vivi recensione

Non siamo più vivi. Film Monster by JTBC Studios, Kim Jong-hak Production.

Narrazione coreana – Non siamo più vivi, la recensione

Già da Train to Busan era chiaro che le narrazioni coreane sul sottogenere dedicato ai non morti ha una grossa presa in Occidente, grazie al taglio nuovo dato a queste creature.
In Non siamo più vivi la scuola è presa d’assalto da un’onda di non morti veloci e letali, che annunciano il loro arrivo con urla disumane e rumore di ossa che si spezzano e si sistemano come se gli zombie fossero burattini senza volontà.
Ma l’horror non è il solo genere a farla da padrone. La serie è, per certi versi, anche divertente. Alcuni siparietti comici intervallano le scene splatter e i continui stratagemmi che i protagonisti mettono in atto per cercare di scappare da quella situazione. 

È questo mix ben congeniato che rende la serie irresistibile. Non siamo più vivi gioca su un perfetto equilibrio che si basa tutto sui continui colpi di scena.
Cosa accadrà? Si salveranno? Chi morirà? Sono queste le domande che accompagnano il pubblico durante la visione, dove la curiosità è stimolata anche da ottimi cliffhanger posti in momenti strategici che impediscono di annoiarsi. All of Us Are Dead è una serie godibilissima sotto ogni punto di vista, ideale per il binge watching.

I protagonisti – Non siamo più vivi, la recensione

Per ottenere questo risultato i gruppi di personaggi presenti e le dinamiche che li legano sono fondamentali. I protagonisti sono alle prese con i problemi tipici della loro età – come le cotte adolescenziali – e con le difficoltà dettate dallo stare ad un passo dall’entrare nel mondo degli adulti.
Ma, come dicono loro stessi più volte, il non essere né bambini né adulti li penalizza. Li rende invisibili agli occhi delle istituzioni, delle autorità e anche delle loro famiglie. Famiglie a cui sono strappati via e si ritrovano a lottare in un luogo che dovrebbe essere sicuro, ma non lo è ben prima dell’arrivo dei non morti.

Non siamo più vivi gioca su archetipi ben identificabili: il bullo, le vittime designate, il nerd, la bella della classe, la studiosa, l’innamorato. Ruoli ben identificabili ad una prima occhiata al variegato gruppo.
Qui la caratterizzazione gioca un ruolo fondamentale, per questo è un peccato vedere personaggi rilegati a macchiette. In particolari i ruoli femminili i quali, la gran maggioranza, sono personaggi passivi anche quando vengono attaccati o quando possono aiutare gli altri.
La linea comica, invece, è spesso affidata all’unico personaggio grasso presente che, ad esempio, si intromette in momenti toccanti con una canzoncina sul cibo. 

In conclusione – Non siamo più vivi, la recensione

Se siete indecisi cosa guardare, Non siamo più vivi fa al caso vostro. I dodici episodi da un’ora l’uno scorrono in maniera piacevole, grazie a tanti piccoli e grandi espedienti.
Primo tra tutti la trama horror, con zombie davvero spaventosi che urlano, corrono e aggrediscono come animali selvatici.
L’escamotage del sottogenere è utilizzato brillantemente per portare avanti una denuncia sociale sentita non solo in Corea – dove le aspettative verso gli adolescenti sono altissime -, ma anche nel resto del mondo. 
I protagonisti si incastrano perfettamente in tutti gli ingranaggi che si mettono in moto nel corso delle puntate e che trovano una loro conclusione nel finale. 

Poteva essere una serie nettamente superiore se non fosse caduta nel tranello di non dare la giusta importanza a tutti i personaggi, e non solo ai protagonisti maschili.
Questi ultimi prendono le redini del gioco, si buttano a capofitto nella situazione, si immobilizzano per la paura, sono sfaccettati. Al contrario delle loro controparti femminili che non è raro trovare immobili a guardare i ragazzi agire, anche quando loro avrebbero più potere e possibilità di salvare loro stesse e gli altri. 
Non siamo più vivi resta comunque una serie tv d’intrattenimento molto godibile, che trasporta sul piccolo schermo tutti gli elementi caratteristici degli shonen.

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Non siamo più vivi

Voto - 7

7

Lati positivi

  • il genere coming of age introdotto brillantemente nel contesto horror
  • I colpi di scena e la struttura narrativa rendono la serie godibile e scorrevole

Lati negativi

  • Spesso i personaggi femminili sono passivi anche quando la situazione è a loro vantaggio

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