Origin: recensione del film di Ava DuVernay – Venezia 80

Origin di Ava DuVernay ha tutte le premesse per essere un film interessante, ma il modo in cui decide di sviluppare la sua storia ne mina il valore che è alla base

Arriva la prima delusione di questa 80sma edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia ed è Origin, di cui vi proponiamo la recensione. La regista Ava DuVernay si è fatta notare in passato per il documentario XIII emendamento, candidato all’Oscar, e la serie Netflix When They See Us, ampiamente acclamata dalla critica, mentre ha floppato quando si è dedicata ad un progetto Disney con Nelle pieghe del tempo. 

Insomma un nome sicuramente interessante e per cui avevamo non poca curiosità, peccato però che Origin sia un film problematico sotto svariati punti di vista. Se infatti l’adattamento del libro Caste: The Origins of our discontent, che affronta il problema delle caste come radice di molte delle forme di discriminazione razziale nel mondo, può essere interessante, la decisione di trasporlo in un certo modo lascia molto a desiderare. È una tematica per cui la sensibilità del singolo influisce molto sul giudizio complessivo e nel mio caso non sono riuscito in alcun modo ad apprezzarlo, trovandolo decisamente di cattivo gusto.

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Origin, J4A, ARRAY

Indice

Trama: un sottile filo rosso sangue – Origin, recensione

Isabel Wilkerson ha appena vinto il premio Pulitzer che subito un giornalista la avvicina per chiederle di scrivere un articolo sull’omicidio di un giovane ragazzo nero perpetuato da un messicano. La cosa la fa riflettere, è possibile che sia il solito episodio di razzismo o ci sia qualcosa in più sotto? La fragile salute della madre la fa però sentire in colpa per aver dedicato così tanto tempo al suo lavoro e piuttosto che approfondire l’argomento decide di prendersi cura di lei. 

Suo marito Brett non è invece d’accordo, crede che abbia un dono e che le sue capacità non andrebbero sprecate, considerando anche che la madre non l’ha mai colpevolizzata per questo. Indecisa sul dafarsi, Isabel viene colta alla sprovvista quando il giorno dopo il marito muore e pochi mesi dopo lo segue anche la madre. Devastata dal lutto non le resta altro che dedicarsi completamente al lavoro ed approfondire il concetto di casta nel tentativo di collegare l’olocausto alla discriminazione degli afroamericani e quella dei Dalit in India. Intervistando varie vittime e parlando con professori universitari di ogni provenienza, Isabel scoprirà un sottile filo rosso che collega questa sofferenza in diverse parti del mondo.

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Origin, J4A, ARRAY

Dramma, morte e sofferenza – Origin, recensione

Penso siamo tutti d’accordo nel dire che la tesi proposta da Origin sia importante ed interessante, soprattutto per coloro i quali non la conoscessero, me compreso. Il film, ripropone infatti la ricerca fatta da Isabel Wilkerson sul concetto di casta e come questo accomuni le discriminazioni subite dagli afroamericani, gli ebrei e i Dalit in India. Non sempre quindi si parla di razzismo, ma di un’istituzionalizzazione dell’inferiorità, decisa a tavolino dai capi di stato che in passato hanno imposto le leggi razziali o una gerarchia sociale. Non siamo noi a dover spiegare il concetto, né ne saremmo tantomeno capaci e considerando che il film lo fa chiaramente rimandiamo alla visione. Il problema sta però nel come questo concetto viene espresso. Per 2 ore seguiamo infatti la dottoressa Wilkerson nella sua indagine in giro per il mondo, nel tentativo di confermare la sua teoria ed esporla nella maniera più approfondita possibile all’interno di un libro.

Assistiamo quindi ad una serie di confronti con vittime ed esperti del problema che esprimono il concetto in modi diversi, ma all’atto pratico non fanno che ripetersi. Il culmine è raggiunto poi dagli ultimi 20 minuti  in cui la protagonista si appresta finalmente a scrivere il suo libro e con tanto di pennarello e lavagnetta, ci rispiega capitolo per capitolo quanto già detto per l’intera durata. Il tutto è estremamente ridondante e soprattutto più che un film sembra un videosaggio su una tematica sì interessante, ma che a questo punto sarebbe stata più adatta ad un documentario o lasciata alla profondità di un libro. Di fianco al processo della giornalista vi è poi un racconto che riguarda la sua vita privata, segnata dalla morte del marito, la madre ed infine la cugina, eventi drammatici e traumatici che la ostacolano lungo il lavoro. È chiaro l’intento di mostrare la straordinaria forza di una donna che ha dovuto affrontare ben 3 lutti nel mentre scopriva i lati più marci dell’essere umano, ma il tutto risulta estremamente forzato. Non c’è una costruzione del dramma, un crescendo che valorizzi ogni singolo evento, piuttosto ci viene vomitato tutto in faccia dall’inizio alla fine, una sofferenza continua che ha l’effetto contrario di anestetizzare lo spettatore. 

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Origin, J4A, ARRAY

Bei momenti tragici – Origin, recensione

L’indagine della Wilkerson è poi alternata a sequenze del passato in cui vediamo le tragiche storie di queste vittime, sequenze in cui la regista non esita a mostrare tutta la violenza e gli atti disumani subiti dalle persone. Ancora una volta sono chiare le intenzioni, ma il risultato è pessimo. Vi è un abuso di questa sofferenza, anche quando il concetto è stato spiegato più volte e il dolore mostrato a ripetizione, Origin continua a ripetersi inscenando eventi diversi ma ugualmente tragici e dolorosi, che nulla aggiungono al significato del film. Si sfocia quasi in un’estetizzazione del dolore, mostrato con una cura nella messa in scena non indifferente e seppure, ribadiamo, l’intento evidentemente non fosse quello, quanto fatto è davvero di cattivo gusto. Dopo aver visto per ben 3 volte l’omicidio a sangue freddo di un ragazzo nero, il rapimento di una donna ebrea a cui viene tolto il figlio, la sofferenza dei Dalit in India, così tanto disprezzati da non poter neanche toccare l’acqua, c’era davvero bisogno di mostrare anche gli stupri degli schiavi africani, l’impiccagione a sangue freddo di un uomo nero e una lunga serie di altre sequenze del genere?

Cosa aggiunge tutto ciò ad un concetto ripetuto ossessivamente per ben 2 ore e chiarito già ampiamente da scene simili? È giusto mettere lo spettatore in condizioni di vivere, seppur indirettamente, il dolore delle vittime e della protagonista stessa, ma come dicevamo prima, questo stratagemma è abusato e oltre che ricreare bei (da un punto di vista unicamente estetico) momenti tragici, non ne vediamo proprio il senso. Più che raccontare il processo di scoperta, come già detto in questa recensione, Origin ripete ossessivamente il concetto che ne sta alla base in maniera didascalica ed accademica, con un voice over continuo a cui fanno da sfondo immagini truci. La storia della Wilkerson sembra poi soltanto uno stratagemma per aggiungere dramma ad una vicenda di per sé già drammatica, senza approfondire particolarmente la sua vita, il suo passato o cosa l’abbia spinta ad intraprendere questa carriera. È tutto estremamente pretestuoso, la narrazione retorica e ridondante, le immagini fin troppo curate per ciò che rappresentano e sfruttate all’eccesso, ottenendo un effetto contrario a quello sperato. Si fa fatica persino a definirlo film, né tantomeno è un documentario, sta di fatto però che è in concorso al festival di Venezia.

origin recensione

Origin, J4A, ARRAY

Origin

Voto - 4

4

Lati positivi

  • Il concetto di casta e la tesi della Wilkerson

Lati negativi

  • La spiegazione didascalica ed accademica del concetto, ripetuto più e più volte
  • Abuso di scene di violenza e repressione, che seppur talvolta essenziali e giustificate, sono decisamente troppe e prive di una reale utilità

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