The End – La recensione del film di Joshua Oppenheimer
La nostra recensione di The End, il nuovo film di Joshua Oppenheimer
The End è il nuovo film di Joshua Oppenheimer al cinema dal 3 luglio con I Wonder Pictures. Il regista, noto per il suo sguardo impietoso e visionario sull’orrore e la memoria, abbandona per la prima volta il linguaggio documentaristico per abbracciare la finzione narrativa con The End, un’opera di straordinaria ambizione formale e tematica. Descritto da molti come un “musical post-apocalittico filosofico”, il film è in realtà qualcosa di più complesso e sfuggente: una meditazione sull’identità, sull’illusione del controllo, sulla memoria e sull’umano bisogno di credere in un ordine, anche quando il mondo si è da tempo disgregato.
Indice:
Una famiglia al centro dell’abisso – The End, la recensione
La vicenda si svolge interamente in un bunker sotterraneo, costruito all’interno di una miniera di sale (realmente girato a Petralia Soprana, in Sicilia), in un mondo devastato da un cataclisma ambientale avvenuto 25 anni prima. Una famiglia – composta da un Padre autoritario e freddo, una Madre devota e ritualistica, e un Figlio ormai giovane adulto – vive rinchiusa in questo spazio asettico e lussuoso, dove il tempo sembra essersi fermato. La loro esistenza è scandita da rituali quotidiani, canti solenni e cerimonie liturgiche che sembrano voler dare senso a una vita in realtà svuotata.
Il mondo esterno, creduto morto e tossico, è per loro un ricordo sbiadito o una favola oscura. Il Figlio, nato dopo la catastrofe, non l’ha mai visto. La sua identità è stata forgiata interamente all’interno del bunker: i suoi gesti, i suoi pensieri, le sue emozioni sono filtrati dalla narrazione genitoriale, una narrazione rigida e chiusa che impone l’idea che loro siano gli unici superstiti, custodi della civiltà scomparsa.
Tutto cambia quando, all’improvviso, una Ragazza appare dall’esterno. È sporca, spaesata, ma viva. Non indossa una maschera, non tossisce. E, soprattutto, racconta una realtà profondamente diversa da quella che la famiglia ha sempre conosciuto. L’aria fuori è respirabile. Ci sono altri esseri umani. La fine, forse, non è stata davvero la fine.
Un cast straordinario, essenziale alla tensione del film – The End, la recensione
A dare corpo e anima a questi personaggi immersi nell’oscurità non solo fisica ma anche morale, è un cast semplicemente impeccabile. Tilda Swinton, nel ruolo della Madre, offre una delle sue performance più intense degli ultimi anni: ieratica, scossa da fremiti interiori che riesce a trasmettere con un semplice sguardo o un gesto impercettibile. Michael Shannon, nei panni del Padre, è una presenza opprimente, granitica, ma mai caricaturale: dietro il suo controllo si avverte una fragilità che emerge solo nei momenti più tesi.
George MacKay, il Figlio, regala una prova potentissima e dolorosa, fatta di silenzi, gesti trattenuti, un corpo che non sa più se obbedire o ribellarsi. La sua trasformazione è il cuore emotivo del film. Al suo fianco, Moses Ingram interpreta la Ragazza con una forza magnetica e vulnerabile al tempo stesso: è lei il detonatore narrativo, ma anche il centro etico della storia.
Accanto a loro, Tim McInnerny, Bronagh Gallagher, Lennie James e Danielle Ryan contribuiscono con ruoli secondari ma densissimi, incarnando figure del passato o del presente che popolano i ricordi, i sogni o le inquietudini dei protagonisti. Oppenheimer affida anche a loro alcuni dei momenti musicali più disturbanti e suggestivi del film.
Un musical straniante e perturbante – The End, la recensione
Nel corso della visione di The End ci si accorge che Oppenheimer fa una scelta audace: racconta questa storia come un musical. Ma non si tratta di numeri danzanti gioiosi alla Broadway. Le canzoni di The End sono preghiere, lamenti, ossessioni che si ripetono ciclicamente, come in un rito religioso o in una liturgia alienata. Le melodie, spesso dissonanti e costruite su scale atonali, contribuiscono a creare un senso di spaesamento profondo. Ogni canto rivela qualcosa di celato: la paura della verità, la nostalgia per un mondo mai vissuto, l’angoscia di perdere ciò che si credeva eterno.
La colonna sonora, firmata da un compositore di fama internazionale (la produzione non ha ancora rivelato ufficialmente il nome), è uno dei veri protagonisti del film. Gli strumenti usati – archi grattati, synth distorti, voci filtrate – sembrano provenire da un altro mondo, eppure sono tragicamente umani. La musica diventa un’estensione emotiva dei personaggi, un flusso ininterrotto di coscienza che parla dove le parole falliscono.

Temi e simbolismi: la fine come inizio – The End, la recensione
Il film è attraversato da domande fondamentali: cosa resta dell’identità umana quando viene privata del confronto con l’altro? Cos’è la verità in un mondo dove l’esperienza è mediata solo dal racconto? Chi siamo, se siamo gli ultimi?
L’arrivo della Ragazza non porta solo la realtà esterna, ma spalanca un abisso interiore nei personaggi. Il Padre, custode della narrazione dominante, si irrigidisce, temendo di perdere il controllo su ciò che ha costruito. La Madre oscilla tra accoglienza e rifiuto, spinta da un senso di pietà ma anche dal terrore di dover ripensare tutta la sua esistenza. Il Figlio, invece, si ritrova a dover scegliere tra la fedeltà al mondo che conosce e l’apertura verso l’ignoto. Il suo è un percorso doloroso, di disvelamento, di crisi, ma anche – forse – di emancipazione.
Un’estetica rarefatta e claustrofobica – The End, la recensione
Dal punto di vista visivo, The End è un trionfo di rigore estetico. I corridoi del bunker sono geometrici, privi di imperfezioni, quasi sacri. Le pareti di sale brillano di una luce fredda, lunare. Le inquadrature sono spesso statiche, simmetriche, come se la macchina da presa fosse anch’essa prigioniera della gabbia mentale in cui vive la famiglia. Solo con l’arrivo della Ragazza la regia si fa più mobile, irregolare, come a suggerire che qualcosa, finalmente, si è incrinato.
La fotografia, firmata da un direttore della fotografia proveniente dal mondo del teatro sperimentale, lavora per sottrazione: i colori sono spenti, dominano i grigi, i bianchi lattiginosi, i toni sepolcrali. La luce arriva dall’alto, come una presenza divina, ma è fredda, mai consolatoria.
Un film necessario – The End, la recensione
The End non è un film facile. Richiede attenzione, partecipazione, disponibilità al dubbio. Ma proprio per questo è un film necessario. In un’epoca in cui il cinema spesso cerca l’evasione, Oppenheimer costruisce un’opera che ci costringe a confrontarci con ciò che più temiamo: la solitudine, il cambiamento, la verità.
Non tutti usciranno dalla sala con le stesse risposte. Alcuni si sentiranno turbati, altri profondamente toccati. Ma nessuno resterà indifferente. Perché The End è uno specchio: mostra cosa succede quando smettiamo di ascoltare l’altro, quando ci chiudiamo nel nostro rifugio mentale, quando la paura ci fa rinunciare alla possibilità di un futuro. Al cinema dal 3 luglio , trovate qui il trailer di The End

Final Cut for Real, The Match Factory, Dorje Film, The End MFP
The End
Voto - 7
7
Lati positivi
- La regia e la scrittura che ci costringono a fare i conti con ciò che più temiamo: la solitudine
- La prova del cast che rende impeccabile la profondità dei personaggi rappresentati
Lati negativi
- Un film particolare non per tutti