Un figlio di nome Erasmus: recensione del film di Alberto Ferrari con Luca e Paolo

Una commedia stile road movie che alterna gag a nostalgia

Sarebbe dovuto arrivare nelle sale lo scorso 26 marzo, ma la chiusura dei cinema a causa dell’attuale pandemia ha fatto prendere al nuovo film di Alberto Ferrari una strada diversa. Un figlio di nome Erasmus, di cui vi proponiamo la nostra recensione, è disponibile ora a noleggio e in digital download. Ferrari firma la sceneggiatura insieme a Gianluca Ansanelli; Un figlio di nome Erasmus è il suo terzo lungometraggio per il grande schermo.

Protagonisti di questa commedia in stile road movie sono Luca Bizzarri, Paolo Kessisoglu, Daniele Liotti e Ricky Memphis. Accanto a loro la giovanissima attrice portoghese Filipa Pinto, Carol Alt e Valentina Corti. Il film è stato girato fra Roma e il Portogallo, dove si svolge la maggior parte della storia. Un figlio di nome Erasmus è disponibile negli store digitali dallo scorso 12 aprile e vi rimarrà per quattro settimane. Se volete farvene un’idea un po’ più approfondita, vi invitiamo a leggere la nostra recensione.

Indice:

La trama – Un figlio di nome Erasmus, la recensione

Enrico (Daniele Liotti), Ascanio (Luca Bizzarri), Jacopo (Paolo Kessisoglu) e Pietro (Ricky Memphis) sono quattro amici che nella vita hanno preso strade diverse. Enrico è architetto, Ascanio guida alpina, Jacopo è un prete e Pietro un manager musicale. Le loro vite si incrociano di nuovo dopo vent’anni quando una telefonata dal Portogallo scombussola la loro quotidianità. I quattro amici vengono a sapere che la loro ex “fidanzata condivisa” dei tempi dell’Erasmus – Amalia – è venuta a mancare e partono per Lisbona per i funerali.

Una volta arrivati in Portogallo gli amici scoprono che Amalia ha un figlio di vent’anni, dato in adozione alla nascita. L’avvocato della donna comunica ai quattro che il padre è uno di loro e che il test del DNA lo stabilirà con certezza. Mentre aspettano i risultati del test i quattro amici si cacciano in una serie di guai e disavventure. Ad accompagnarli nelle loro peripezie c’è Alice, una giovane studentessa che si offre di aiutare i quattro a districarsi nella burocrazia portoghese. L’attesa per scoprire chi è il padre del figlio di Amalia diventa l’occasione per i quattro amici per ritrovare se stessi e mettere in discussione le proprie scelte di vita.

Un road movie tra gag comiche e nostalgia

Un figlio di nome Erasmus è una commedia come ce ne sono tante altre, come avremo occasione di vedere meglio nel corso della nostra recensione. Quella del film di Alberto Ferrari è una struttura fortemente praticata e consolidata nelle commedie italiane degli ultimi anni. C’è la voce narrante fuori campo, ci sono dei quarantenni in crisi, c’è un evento inaspettato che innesca il cambiamento e c’è la morale finale. Il tutto declinato attraverso gag comiche intervallate da momenti di riflessione e nostalgia. Una struttura, questa, che si riscontra spesso e volentieri all’interno del filone dei road movie. Il film di Alberto Ferrari, in questo contesto, non rappresenta un’introduzione particolarmente innovativa e sceglie di puntare su elementi sicuri e collaudati.

Lo spunto narrativo non è granché originale, ma il risultato nel complesso è onesto e per certi aspetti anche godibile. Un punto a favore da non sottovalutare è il non ricorrere alla volgarità come espediente comico. Nella prima parte del film prevalgono in maniera abbastanza netta i momenti comici e le interazioni divertenti tra i personaggi. Da metà narrazione in poi, invece, i toni virano verso una maggior ricerca del coinvolgimento emotivo dello spettatore; aumentano di conseguenza gli inserimenti malinconici e di riflessione. Niente di nuovo anche qui, ma occorre sottolineare come entrambe le soluzioni siano praticate e portate avanti con una certa sobrietà e senza calcare troppo la mano.

un figlio di nome erasmus recensione

Un figlio di nome Erasmus, Eagle Pictures

La sceneggiatura – Un figlio di nome Erasmus, la recensione

Uno dei problemi principali del film di Alberto Ferrari risiede nella sceneggiatura; in particolar modo nelle svolte della narrazione e nella costruzione dei personaggi. Nel complesso i personaggi sono scritti in maniera tale che spicchino subito nella loro rappresentazione di uno specifico tipo umano. L’uomo di successo insoddisfatto, l’eterno immaturo, la macchietta, l’uomo di chiesa retrogrado. Il personaggio di Jacopo – il prete interpretato da Paolo Kessisoglu – è quello che dovrebbe avere un maggior spessore e l’evoluzione più sorprendente. Peccato che alcune trovate manchino completamente di logica e credibilità. Si nota nella scrittura dei personaggi una certa intenzione di perseguire l’intento della credibilità.

Tuttavia, i cliché sono troppo evidenti e pedissequamente declinati e le evoluzioni troppo repentine e forzate. Curioso come il personaggio che funziona meglio a livello di costruzione sia quello di Ricky Memphis. Pietro è una simpatica macchietta dai tratti spesso eccessivi e caricaturali; slegato da una ricerca di realismo a tutti i costi, il suo è un ritratto che funziona. Per quanto riguarda le svolte narrative, esse risultano tutte troppo prevedibili e telefonate. Persino il “colpo di scena” che precede il finale è scontato; arriva, per lo spettatore, come conferma delle intuizioni già avute più che come sorpresa. Banale anche l’utilizzo della malattia tenuta nascosta di uno dei personaggi; funzionale solo a livello emotivo, inutile sul piano narrativo.

La regia e il cast

Alberto Ferrari si è fatto le ossa nel mondo del teatro prima e in quello della televisione poi. Dal punto di vista tecnico si vede che dietro la macchina da presa c’è un professionista in grado di raccontare per immagini una storia. Linearità e funzionalità sono le parole chiave nella regia di Un figlio chiamato Erasmus. Sul versante della visione personale, non sfugge l’intento di Ferrari di smarcarsi da un certo “provincialismo” che spesso affligge il cinema comico italiano. Peccato però che il risultato da questo punto di vista non sia convincente. Difficile pensare che un film come questo possa essere apprezzato lontano dai rassicuranti orizzonti di casa nostra. Incomprensibile poi la scelta di infilare nella narrazione la critica all’evoluzione dei gusti musicali, con l’inserimento di un trapper tanto grottesco e inquietante quanto inverosimile e fastidioso.

Per quanto riguarda gli attori, gran parte del film si regge sulla chimica e l’affiatamento che legano Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu da anni. Quando interagiscono sulla scena, padroneggiano i tempi comici e riescono a intrattenere; presi singolarmente il discorso cambia. Mentre Bizzarri si sente bene addosso il suo personaggio, Kessisoglu è visibilmente a disagio nei panni di Jacopo. Ma i momenti più divertenti sono legati al personaggio di Ricky Memphis; a fare la differenza, qui, è l’autoironia dell’attore, ben consapevole dei registri e dei toni a cui è legata la sua figura nell’immaginario degli spettatori. Daniele Liotti ce la mette tutta per dare risalto al suo personaggio ma, nonostante sia anche il narratore della storia, risulta poco più di una spalla.un figlio di nome erasmus recensioneUn figlio di nome Erasmus, Eagle Pictures

Considerazioni finali

Arrivati alla conclusione della nostra recensione di Un figlio di nome Erasmus possiamo confermare con sicurezza che il film di Alberto Ferrari non aggiunge nulla al panorama comico nostrano. Il film manca di una visione solida alla base e di un soggetto con qualcosa di rilevante da dire. Tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 non sono mancati esempi di commedie ben riuscite: Tolo Tolo, Odio l’estate e Figli sono dimostrazioni in questo senso. A fare la differenza in questi casi sono sceneggiature ben scritte, visione registica chiara e interpreti forti e di sicura presa sul pubblico. In Un figlio di nome Erasmus mancano quasi del tutto i primi due elementi e gli interpreti non bucano a sufficienza il grande schermo.

Luca e Paolo sono due comici di mestiere, ma nonostante questo sia il loro ottavo lungometraggio per il cinema, è chiaro come questa non sia la loro dimensione. Pur con qualche momento divertente e godibile e con un’apprezzabile delicatezza nei toni, Un figlio di nome Erasmus è un film che non riesce del tutto a convincere. Un film che potrebbe aiutare a distogliere il pensiero dall’isolamento casalingo e dal virus, ma che senz’altro non rimpiangeremo di non aver potuto vedere sul grande schermo.

Un figlio di nome Erasmus

Voto - 5

5

Lati positivi

  • Equilibrio nei toni
  • Comicità non volgare

Lati negativi

  • Costruzione dei personaggi
  • Sviluppo narrativo prevedibile

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *