Una vita in fuga: recensione del film di Sean Penn ispirato alla vera storia di John Vogel

Sean Penn torna al cinema con Una vita in fuga, tratto dalla vera storia di John Vogel, il più noto falsario della storia americana

Una vita in fuga, l’ultimo film di Sean Penn di cui vi proponiamo la nostra recensione, è l’adattamento per il grande schermo del libro di memorie di Jennifer Vogel Flim-Flam Man: The True Story of My Father’s Counterfeit Life. Presentato in concorso al 74° Festival di Cannes, è ispirato alle vicende reali di John Vogel, uno dei più noti falsari nella storia degli Stati Uniti. Sean Penn è John, accanto alla figlia Dylan al confronto col suo primo ruolo importante nei panni di Jennifer Vogel. Una vita in fuga Flag Day il titolo originale – è il racconto di un rapporto padre-figlia che sarebbe riduttivo definire complesso. Ed è la narrazione, a tappe, dell’evoluzione di questo rapporto, fatto di amore cieco e incondizionato tanto quanto di rabbia, occasioni sprecate e delusioni una dopo l’altra. Nel cast, accanto a Sean e Dylan Penn, anche Hopper Penn nel ruolo di Nick Vogel, Josh Brolin, Katheryn Winnick, Norbert Leo Butz, Dale Dickey e Bailey Noble. Prima di passare alla recensione di Una vita in fuga vediamo qui di seguito la sinossi ufficiale del film in sala da giovedì 31 marzo.

Ispirato alla storia vera del più noto falsario della storia americana. Sean Penn è John Vogel, un padre anticonformista, emozionante e straordinario che insegna a sua figlia Jennifer a vivere una vita di rischio e avventura. È esaltante per una bambina. Crescendo, la realtà inizia a divorare l’immagine del suo eroe. Le sue storie inverosimili non tornano più, ma le conseguenze sconsiderate sì. Jennifer costruisce una vita tutta sua, lontana dalla sua infanzia instabile. Ma mentre i piani folli di John continuano ad intensificarsi, non può fare a meno di essere attratta da suo padre e dalla sua avventura più devastante.

Indice:

I am my father’s daughter, come hell or high water – Una vita in fuga recensione

My Father’s Daughter è uno dei brani che compongono la colonna sonora di Una vita in fuga. Scritta da Eddie Vedder e Glen Hansard e cantata da Olivia Vedder, è una ballata malinconica e struggente, che parla – come suggerisce il titolo – del legame padre-figlia. “I am my father’s daughter, come hell or high water” – sono la figlia di mio padre, nel bene e nel male – recita uno dei versi che compongono il brano. Parole che ben si prestano a descrivere la relazione che lega John e Jennifer nel film. O meglio, che lega Jennifer a John, perché è lei il focus del racconto e suo è il punto di vista. Sebbene spesso fiaccato da un’eccessiva carica drammatica (nei toni e nelle intenzioni), quello tratteggiato in Flag Day è un rapporto padre-figlia ricco di contrasti e sfumature di grande impatto. Si potrebbe parlare, semplificando, di un rapporto amore/odio, ma c’è molto di più.

C’è il confronto con una figura paterna adorata e mitizzata, che si sgretola man mano che il personaggio di Jennifer va verso l’età adulta. Ci sono le delusioni, il senso di colpa e l’amore incondizionato; e ancora la rabbia, la necessità di allontanarsi che pesa quanto il desiderio di tornare. Una vita in fuga è principalmente il film di Jennifer Vogel, il film di Dylan Penn. Forti del loro reale rapporto padre-figlia, Dylan e Sean Penn hanno tutta l’alchimia necessaria per rendere credibile quello tra Jennifer e John. In quest’ottica, gli altri personaggi e relativi membri del cast esistono e agiscono in qualche modo in funzione dei due principali. Basti prendere ad esempio la relazione tra Jennifer e la madre Patty interpretata da Katheryn Winnik, o il personaggio di Nick Vogel, che ha il volto di Hopper Penn.

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Una vita in fuga. Conqueror Productions

Una vita in fuga è davvero il miglior film di Sean Penn? – Una vita in fuga recensione

Una vita in fuga ha ricevuto da più parti l’etichetta di “miglior film di Sean Penn”. Senz’altro un film valido, Flag Day ha un paio di difetti evidenti che ne minano la riuscita complessiva. In primo luogo – come già accennato poco sopra – un eccesso di sfumature drammatiche che appesantiscono il racconto affievolendo, paradossalmente, l’impatto della storia. Le interazioni tra John e Jennifer sono molto più efficaci nei non detti, in tutti quei momenti in cui Dylan e Sean Penn (che per la priva volta qui dirige se stesso) non si lasciano andare a eccessi interpretativi. Quando, per scelta di direzione o forse per istinto, entrambi cedono a sfumature sopra le righe, Una vita in fuga prende toni iper-drammatici non necessari. Nel secondo atto, quando Jennifer è adolescente, il personaggio chiede all’attrice una carica di ribellione e disperazione che Dylan Penn non riesce a padroneggiare. Non aiutano un look e un’acconciatura (una parrucca) che stridono coi tratti dell’attrice, soffocandoli con un’artificiosità un po’ di maniera.

Sean Penn conferma di avere un talento notevole nell’evocare e restituire anche visivamente e con precisione le dimensioni di spazio e tempo. Girando interamente in 16mm, Penn indugia sui paesaggi rurali sconfinati, le ampie strade, i campi esaltandone l’impatto coadiuvato anche dal lavoro che Danny Moder fa sulla fotografia. Le atmosfere di un’America che non c’è più, fra gli anni Settanta e i Novanta, sono perfettamente centrate. Una terra delle opportunità che John Vogel in qualche modo sfida, creandosi la sua “fortuna” a tutti i costi e con mezzi truffaldini. Il Flag Day del titolo celebrato il 4 Luglio (fuorviante la scelta italiana di Una vita in fuga) è uno dei simboli americani per eccellenza – coi suoi fuochi d’artificio e il suo patriottismo – ed è anche il giorno del compleanno di John Vogel, uno che il sogno americano l’ha vissuto e ribaltato a modo suo. Una vita in fuga probabilmente non è il miglior lavoro di Sean Penn, ma è un film ambizioso, pregiudicato da alcune scelte stilistiche, ma di cui si percepiscono forte e chiaro portata e intenzioni.

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Una vita in fuga. Conqueror Productions

Conclusioni – Una vita in fuga recensione

Con Una vita in fuga siamo abbastanza lontani da Into The Wild (quello sì, forse, il suo film migliore), ma siamo fortunatamente molto lontani anche dal deludente Il tuo ultimo sguardo. Che sia o no l’opera più meritoria di Sean Penn, Flag Day è un film complessivamente riuscito, che riesce a legarsi alle corde emotive dello spettatore anche al netto di qualche difetto o volo pindarico di troppo. Una bella vetrina per Dylan Penn, che dimostra di aver ereditato dai genitori il talento puro, con un ampio margine di perfezionamento e tutte le carte in regola per una carriera brillante.

Avviandoci verso la conclusione della nostra recensione di Una vita in fuga, ne consigliamo comunque la visione. Flag Day chiede uno sforzo notevole a chi guarda, lo stesso sforzo che in qualche modo John Vogel chiede a sua figlia Jennifer per tutta la durata del film. Lo sforzo di comprendere e perdonare i difetti di un padre imperfetto ma mosso da un amore sincero nei confronti della figlia. Ed è sempre interessante quando un film riesce a sollevare riflessioni e mettere in crisi certezze. In questo senso, Una vita in fuga centra il punto. Non sarà il miglior film di Sean Penn, ma è una storia cui vale la pena dare una possibilità e che senz’altro non lascerà indifferenti.

 

Una vita in fuga

Voto - 6.5

6.5

Lati positivi

  • Sean Penn conferma ancora una volta di avere un talento nell'evocare e restituire con puntualità le dimensioni di spazio e tempo, anche grazie al lavoro di Danny Moder sulla fotografia
  • L'alchimia tra Sean e Dylan Penn è un valore aggiunto

Lati negativi

  • Un'eccessiva e non necessaria carica drammatica nei toni affievolisce la portata emotiva della storia

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