Unicorn Store: recensione del film Netflix diretto ed interpretato da Brie Larson

Uno sguardo al nuovo magico film distribuito da Netflix

Unicorn Store recensione. Ormai da qualche anno siamo abituati a vedere il colosso dello streaming Netflix sfornare numerosi prodotti originali. Molti però non sanno che buona parte di essi, in realtà, non sono prodotti da esso ma semplicemente distribuiti in tutto il mondo attraverso lo streaming. Uno di questi è il dolcissimo Unicorn Store, titolo che intriga già soltanto per essere il film d’esordio alla regia per Brie Larson. Dopo il premio Oscar nel 2016, per Room, e il successo internazionale nei panni di Captain Marvel, l’attrice è pronta a farsi conoscere al grande pubblico anche nelle vesti di regista. Il film, però, era già stato presentato due anni fa al TIFF, trovando distribuzione, proprio attraverso Netflix, soltanto nel 2019.

Uscito il 5 aprile su Netflix, il film ha diviso la critica di tutto il mondo. Difficile da classificare, il titolo è una commedia per sognatori, capace di trasportarci in un mondo magico legato all’infanzia e all’intimità. Con i suoi 91 minuti stravaganti e fantasiosi, conditi da un ottimo cast, il film può esser visto da spettatori di ogni età e tipo. Scopriamo di più a riguardo in questa nostra recensione di Unicorn Store.

Unicorn Store recensione

Questa incredibile storia segue le vicende della protagonista, Kit. La giovane donna viene presentata come una sognatrice fin da bambina, amante dell’arte e dei colori, dei brillantini ma soprattuto degli unicorni. Una volta cresciuta, Kit si vedrà rifiutata dalla scuola d’arte a cui tanto teneva, non riuscendo a far comprendere agli altri ciò che di bello c’é nella sua mente. Il crollo morale della ragazza di certo non è aiutato dalla sua famiglia. Il padre e la madre, classici stereotipi dela famiglia modello, non hanno mai instaurato un vero rapporto con la figlia e questo sembra averli allontanati da lei. I due spingono affinchè la ragazza faccia cose “normali”, arrivando a farla sentire un fallimento totale, specie quando viene paragonata ad un amico di vecchia data meno infantile della figlia. Ma qualcosa è pronto a sconvolgere la vita di Kit.

La ragazza riesce a trovare un lavoro part-time presso gli uffici di un’azienda. Tutti sembrano disponibili, soprattutto il vice-presidente, evidentemente interessanto ad avere qualcosa di più dalla ragazza. Tutto sembra trovare un equilibrio, quando qualcosa irrompe nelle giornate di Kit. Svariate lettere le arrivano, una più stravagante dell’altra: in esse la ragazza viene invitata a recarsi in uno speciale Emporio. Una volta arrivata nell’ambiguo luogo, ad attenderla ci sarà uno strano soggetto, il Commesso. L’uomo le illustrerà il luogo, descrivendolo come il posto in cui si può comprare ciò di cui si ha bisogno. Quando chiede a Kit cosa ha sempre desiderato e cosa vorrebbe più di ogni altra cosa, la risposta è semplice per la ragazza. L’uomo le sta appena offrendo la possibilità di realizzare il suo grande sogno: ricevere un unicorno.

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Performance e temi – Unicorn Store recensione

Dopo poche settimane dall’uscita di Captain Marvel, ci ritroviamo nuovamente difronte alla coppia che aveva reso il film Marvel unico: Brie Larson e Samuel L. Jackson. Inutile ribattere sulle potenzialità della giovane attrice e sulle già affermate qualità dell’attore feticcio di Tarantino e Spike Lee. Anche in questo insolito prodotto i due forniscono una prova attoriale importante, divertente e stravagante oltre che intensa e ben caratterizzata. Brie Larson riesce a dar voce ad un personaggio ricco di vitalità ma allo stesso tempo solo e privo di supporto. Lo fa grazie alle sue espressioni piene di verità, sia che esse spingano verso la gioia sia che mostrino delusione. Samuel L. Jackson, dal canto suo, fornisce una prova sopra le righe, caratterizzando un personaggio grottesco e ambiguo, perfettamente nelle sue corde. Dimostrando così, ancora una volta, come questo tipo di personaggi strani siano pane per i suoi denti.

Unicorn Store ha una grande qualità, quella di riuscire a comunicare la magia, l’incanto e la realtà, spesso falsata, che vive nel contesto dell’infanzia. Spesso dimentichiamo cosa vuol dire esser piccoli, bambini privi di peccati, e soprattutto sognatori. Liberi di pensare che possano esistere gli unicorni e di batterci per ciò in cui crediamo. Un po’ come la fede e i credenti, citati in una gag del film. Il personaggio di Kit sembra essere rinchiuso nel suo mondo fatto di magia e nella sua quasi ossessione per gli unicorni. Ciò che ci spinge a guardare questo tipo di prodotto è proprio il percorso che ci aspettiamo possa fare, quello che porta ad una crescita ed ad una maturazione. Una revisione delle esigenze e della propria personalità, in relazione ad un mondo che sta andando avanti e crescendo mentre noi restiamo, inesorabilmente, indietro a sognare.

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Cosa (non) ha funzionato? – Unicorn Store recensione

Quella che doveva essere l’arma del film, però, ne è la sua più grande debolezza. Partiamo dalla visione del mondo di Kit, infantile e un po’ ingenua. Ci si focalizza talmente tanto su questo aspetto da tralasciarne altri. Alcune tematiche, quali la famiglia e il lavoro nel senso sociale che hanno per l’uomo e soprattutto l’ossessione per l’unicorno, sono trattate superficialmente. Quest’ultima, che dovrebbe essere il focus principale, viene citata compulsivamente ma mai approfondita nella traduzione in immagine. Qui la pecca fondamentale è proprio Brie Larson, impeccabile come attrice ma non come regista. La regia non dimostra essere all’altezza dei temi e della sceneggiatura sulla quale si innesta, mettendo in scena troppo morbidamente e accademicamente l’insieme – quando avremmo preferito più aggressività visiva nel mettere in scena rapporti e ossessioni. Questo non vuole dire che la sceneggiatura sia irresistibile, anzi: il trattamento superficiale dei temi secondari deriva anche da lì.

Ma è giusto parlare di temi secondari quando quello primario non è forte quanto dovrebbe? Unicorn Store ci racconta magia e stravaganza senza arrivare ad una concretezza e ad un peso che film come questi spesso posseggono e senza i quali restano quasi vuoti. Non è un racconto di formazione, non è un coming of age, non è una parabola né sulle relazioni né sulla crescita personale, anche se l’obbiettivo forse era proprio quello. Unicorn Store scaglia la pietra ma poi ritira la mano, inizia ma non finisce l’opera. E forse il suo più grande difetto è proprio quello di avere un’identità confusa, da ricercare nei molteplici strati narrativi di cui si fa carico. La sensazione è, tristemente, che Neflix abbia deciso di distribuire il prodotto (pur comunque positivo per originalità e stravaganza) semplicemente per restare sulla scia del successo della coppia Larson-Jackson, apprezzati dal grande pubblico nel film Marvel.

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Unicorn Store, di Brie Larson

Voto - 6

6

Lati positivi

  • Il cast: Brie Larson e Samuel L. Jackson singolarmente offrono grandi prove, insieme però rendono ancora meglio!
  • La leggerezza: il titolo, anche grazie alla sua breve durata, è un piccolo viaggio dal mood magico

Lati negativi

  • La regia: la messa in scena non è all’altezza di una sceneggiatura con grandi potenzialità
  • Il focus: l’atmosfera magica ci allontana da alcune tematiche importanti che potevano esser approfondite meglio, finendo per essere inevitabilmente trattate in superficie

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