Pulp Fiction – Analisi del film cult di Quentin Tarantino

Analisi e recensione di uno dei grandi film cult della Settima Arte: Pulp Fiction di Quentin Tarantino

FilmPost apre una rubrica tutta nuova per voi lettori: analisi dei film cult. Questa si impegna, appunto, ad analizzare i grandi cult della Settima Arte, con lo scopo di avere una visione completa di questi capolavori indiscussi.

Pulp Fiction – Analisi del film cult di Quentin Tarantino

Dal momento della sua uscita ad oggi, Pulp Fiction è sempre stato al centro di grandi polemiche. Come quasi tutta la filmografia di Quentin Tarantino; esso divise e divide tuttora critica e pubblico. Insomma, per farla breve il regista di Knoxville o si ama o si odia. Qualsiasi sia il responso, però, è indubbio che le sue opere siano tra le più importanti della cinematografia mondiale dell’ultimo secolo; e che il suo nome sia legato a quello di un genere che pochi altri riescono ad esprimere con tale magnificenza. Infatti, oltre ad una tecnica quasi sempre al limite della perfezione, le opere di Tarantino sono tra le più forti e controverse della cinematografia contemporanea.

Ma, parlando di Pulp Fiction, sono moltissimi i lati da sottolineare. Uscito nelle sale di tutto il mondo nel 1994, è l’ultimo capitolo della Trilogia Pulp, inaugurata con Le Iene due anni prima e che continua con Una vita al massimo, dell’anno precedente (diretto da Tony Scott). Come suggerisce il titolo stesso, questa trilogia si propone di omaggiare il genere Pulp, in grande voga agli inizi del Novecento.

Gli omaggi ai Pulp Magazines

Tarantino, infatti, è stato sempre un fan accanito del Pulp, il quale ne ha profondamente influenzato lo stile e la carriera. I Pulp Fiction, dai quali si ispira il titolo della seconda opera tarantiniana, erano delle riviste (definite anche Pulp Magazines) molto economiche, stampate con carta di bassa qualità e contenenti racconti a tema violento, osceno e sessuale. Inizialmente il film fu pensato come una serie di cortometraggi, tutti legati da un’atmosfera pulp; ma successivamente il regista preferì accorparli in un’unico lungometraggio, che nella sua versione integrale sfiora le tre ore di girato.

Se si vuole andare ad indagare ancora più a fondo, si può dire che in realtà il film sia proprio un’unione di storie apparentemente scollegate tra loro, ma questo è un errore. Se infatti è vero che i tre episodi di cui si compone la pellicola sembrano a se stanti, essi fanno parte di un unico universo, e in alcuni casi, tramite il montaggio alternato, si trovano a convogliare nella diegesi. Il film si apre inoltre con una sorta di prologo all’Hawthorne Grill, in cui troviamo due maldestri rapinatori intenzionati a ripulire il ristorante. Tale scena viene riproposta anche alla fine del film, ma qui ha la sua conclusione, in quello che si può definire l’epilogo, come a voler chiudere un cerchio coerente e logico.

Ma andiamo con ordine:

Pulp Fiction: recensione e analisi

Come già scritto, il film si apre all’Hawthorne Grill, in quello che è stato scelto come luogo in cui tutto ha inizio e tutto si avvia alla conclusione. All’interno del locale troviamo una coppia di giovani rapinatori, “Zucchino” e “Coniglietta” (Tim Roth e Amanda Plummer). I due, i quali inizialmente sembrano solo fantasticare sulla rapina, decidono poi, in uno slancio d’incoscenza, di compiere davvero l’atto. La prima scena, dunque, si conclude così; gli spettatori vedono i due delinquenti armati e in procinto di rapinare il locale. Lo schermo diventa nero, e i titoli di coda partono, accompagnati da una parte della colonna sonora.

Il film riprende, e in quello che si potrebbe definire un cast corale (presente anche ne Le Iene) vediamo Jules Winnifield e Vincent Vega (Samuel L. Jackson e John Travolta). Così come Zucchino e Coniglietta, anche i due sono delinquenti: killer assoldati da Marcellus Wallace, colui che accomuna tutte le storie. I due colleghi sono stati mandati dal loro boss in un’anonimo caseggiato, inquadrato tra camera fissa e piani-sequenza in un lungo e stretto corridoio. Ma prima di recarsi nell’appartamento in cui dovranno fare irruzione, Vincent e Jules vengono inquadrati nel parcheggio, intenti ad impugnare le armi chiuse nel cofano dell’auto di Jules. Tarantino si dà quindi la possibilità di usare un suo marchio di fabbrica:

La trunk shot

L’inquadratura che parte dal bagagliaio di un’auto. Tale ripresa viene spesso utilizzata dal regista nei suoi lavori; in Jackie Brown, l’opera successiva a Pulp Fiction, è spesso ricorrente.

Nel corridoio i due, per ammazzare il tempo, riprendono a dialogare amabilmente. E proprio nei dialoghi può essere ammirata in tutta la sua magnificenza la splendida sceneggiatura, vincitrice anche di un Oscar. I dialoghi tarantiniani sono forse una delle sue armi migliori, spesso oggetto di scene conosciute dai cinefili di tutto il mondo. E in Pulp Fiction questa componenete è al suo apice, coinvelgendo lo spettatore a trecentosessanta gradi. Memorabile, ad esempio, il dialogo tra Jules e Vincent sui piedi di Mia Wallace, moglie di Marcellus, e del presunto massaggio ai pidi a lei praticato da uno scagnozzo di suo marito; e per questo punito con il lancio da una finestra del quarto piano. L’ossessione per i piedi di Marcellus è in realtà quella di Tarantino. Sono infatti molti i riferimenti agli arti inferiori di Mia (alias Uma Thurman), ed essi stessi vengono inquadrati dal regista più volte.

Tra monologhi e McGuffin

I due killer, come gli altri personaggi della pellicola, sono inquadrati in tutti i modi possibili. Tarantino alterna piani americani e primi piani, per poi passare al dettaglio o al particolare. Questa alternanza stilistica, minuziosamente congegnata, è figlia di un’ossessione diegetica tipica del regista americano; ma anche di una fiducia verso il talento degli attori, in questo film veramente notevole. Vediamo i due anche di spalle, nell’intento di bussare ad una porta del caseggiato. La porta si apre, e una delle scene più iconiche della pellicola ha inizio.

All’interno di questo appartamento, infatti, assistiamo a ben due elementi diventati ormai cult nel panorama cinematografico mondiale. Il primo è quello del McGuffin più famoso degli ultimi trent’anni: la valigetta di Marcellus. Il McGuffin (termine coniato da Alferd Hitchcock) è un espediente narrativo utilizzato per destare curiosità e attenzione agli spettatori, ma totalmente inutile ai fini della trama. E Tarantino lo inserisce in un’anonima ventiquattr’ore, nascosta proprio nell’appartamento dei quattro sfortunati ragazzi che hanno cercato di rubarla. Il secondo elemento fa parte, neanche a dirlo, di un monologo pronunciato da Samuel L. Jackson, come premonizione all’attuazione di un omicidio. Preso dalla Bibbia, recita:

Ezechiele 25:17. “Il cammino dell’uomo timorato è minacciato da ogni parte dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia colui che nel nome della carità e della buona volontà conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre, perché egli è in verità il pastore di suo fratello e il ricercatore dei figli smarriti. E la mia giustizia calerà sopra di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che si proveranno ad ammorbare e infine a distruggere i miei fratelli. E tu saprai che il mio nome è quello del Signore quando farò calare la mia vendetta sopra di te.”

 

In realtà, esso non esiste, ma è ispirato dal film Karate Kiba. Il monologo ha tuttavia contribuito a rendere giustizia al talento dell’attore che lo recita, e in Italia del suo doppiatore, Luca Ward. È inoltre iconinco il codice utilizzato per aprire la valigetta, ossia 666, considerato da sempre il numero del diavolo. Una volta ritirata, e uccisi due dei tre ladri, i due fanno per andarsene, ma vengono sparati all’improvviso da un quarto ragazzo nascosto nel bagno. Egli sbaglia la mira e non li prende nemmeno di striscio, facendo venire in mente a Jules la potenza della misericordia divina. Tarantino lo fa per dimostrare di non star presentando un trash movie, bensì di essere capace di parlare anche di argomenti molto più alti e filosofici. Rapito il quarto ragazzo, Marvin, i tre escono dal luogo del delitto ed è così che lo schermo si fa di nuovo nero, ma questa volta a spezzarlo arriva una didascalia:


Episodio 1: Vincent Vega & La moglie di Marsellus Wallace

Pulp Fiction: analisi del cult di Quentin Tarantino

Dopo un epilogo durato una ventina di minuti, ecco che la struttura narrativa portante del lungometraggio prende forma. Il primo episodio vede quindi protagonisti Vincent e Mia. La prima parte viene ambientata in un locale piuttosto cupo e malfamato, in cui Marcellus (Ving Rhames) gestisce i suoi affari. È anche la prima volta che vediamo Butch Coolidge (Bruce Willis), un pugile alla fine della sua carriera assoldato da Wallace per truccare il suo ultimo incontro. Qui egli compra un pacchetto di sigarette Red Apples, una marca totalmente inventata da Tarantino, presente in diversi suoi film. Le sigarette sono un’altra marca stilistica del regista di Knoxville; in Pulp Fiction presente quasi costantemente. Questa scena è importante, perchè fa incontrare, tramite il proprio boss in comune, i due principali protagonisti delle diverse storie: Vincent e Butch. I due, dal primo contatto, si ringhiano contro, in un’anticipazione di quello che sarà il loro ultimo incontro, fatale per il primo.

Marcellus è in colloquio con entrambi, prima Butch e poi Vincent, e viene presentato con un’inquadratura di spalle. Successivamente viene ripreso in contre-plongée, ossia dal basso, tecnica stilistica che pone l’attenzione sull’importanza che riveste il personaggio. Come già accennato, il boss chiede a Butch di truccare il suo incontro, e a Vincent di portare in giro sua moglie Mia, durante la sua assenza. Lo vediamo, dunque, arrivare nella Villa Wallace, in cui per la prima volta viene presentata la donna misteriosa.

Tra omaggi e citazioni

La casa è bianca, e così anche la quasi totalità del suo interno. Divani e muri sono bianchi, forse per rappresentare l’austerità della donna, oppure come simbolo di cocaina ed eroina, due droghe che segnano indelebilmente la sua esistenza. La scenografia di tutti i luoghi ripresi da Tarantino non è quindi casuale, ma rispecchia alla perferzione l’atmosfera e il significato della diegesi. Vincent entra nella casa, e subito intravediamo Mia dentro una stanza scura, intenta ad osservare l’uomo da una serie di monitor. Gli parla attraverso un interfono, e così facendo il regista ci mostra prima le sue labbra, rosse e carnose, e poi, per l’ennesima volta, i suoi piedi. La vediamo nella sua interezza solo quando incontra Vincent, e gli impone di andare al Jack Rabbit Slim’s; un locale che porta i palesi omaggi agli anni Cinquanta.

Al ristorante, Tarantino si concede un tripudio di omaggi e citazioni. Sono infatti presenti dei camerieri che impersonano Marylin Monroe ed Elvis Presley; ma gli omaggi sono anche nei dialoghi. Vincent chiama infatti Mia Peggy Sue, in modo scherzoso. Ma nel tavolo a forma di Cadillac, Tarantino va oltre, arrivando addirittura a predire le sua opera di qualche anno più tardi. Fa infatti raccontare a Mia dell’episodio pilota da lei girato per la poi mai iniziata serie Volpe Forza 5; in cui lei interpreta una killer specializzata in lame. Oltre ad essere un chiaro omaggio alle Charlie’s Angels, Tarantino si anticipa, raccontando in breve il plot di Kill Bill, in cui Uma Thurman interpreta la protagonista.

La scenografia non è mai casuale

Analisi capolavori del cinema: Pulp Fiction

Al Jack Rabbit Slim’s si svolge poi forse la scena più iconica dell’intero film: la gara di twist poi vinta da Mia e Vincent. I due si scatenano sulle note di You Never Can Tell, di Chuck Berry, e il loro ballo si protrae in un piano-sequenza lungo quasi cinque minuti. La canzone permette di analizzare un altro importante aspetto, questa volta riguardante la colonna sonora. Oltre ad essere composta di temi originali, essa presenta parecchi brani provenienti da generi diversi. Ma l’aspetto più interessante di tutti è che questi ultimi, nella quasi totalità dei casi, fanno parte della diegesi. Ciò significa che la fonte è interna, viene dal mondo presente sullo schermo. Tarantino infatti è sempre stato molto esigente sulla musica dei suoi film, e neanche quella è mai casuale, ma ha sempre una sua funzione precisa.

L’episodio di Vincent e Mia si conclude nel modo più inaspettato per entrambi.

 

Essi infatti tornano trionfanti nella villa di Marcellus, e alla richiesta di un drink da parte della donna, il killer va in bagno, luogo spesso ricorrente nella pellicola. Infatti, come se fosse un luogo di transizione, il bagno separa in Pulp Fiction due diverse scene; nella quasi totalità dei casi esso fa da anticipazione ad un evento che sconvolgerà personaggi e spettatori. Infatti inizialmente, come già accennato, uno dei ragazzi amici di Marvin cerca di uccidere i due killer, nascosto in un bagno; e successivamente alla sniffata di cocaina nella toilette del ristorante Mia decide di intraprendere la gara di ballo, poi vinta.

Qui, nel bagno di villa Wallace, Vincent decide di rifugiarsi per dialogare con se stesso, e convincersi a non baciarla, per evitare una brutta fine. Ma nel lasso di tempo necessario a prepararsi, Mia gli fruga nelle tasche del cappotto, e trovando una bustina contenente una polvere bianca, decide di sniffarla. Ma la donna non poteva sapere che non si trattasse di cocaina, bensì di eroina, con la conseguenza di andare in overdose immediata. Vincent decide allora di portarla a casa di Lance, il suo spacciatore (Eric Stoltz), il quale prepara una dose di adrenalina liquida. La scena, recitata magistralmente, è in realtà stata girata al contrario, per renderla molto più credibile. Salvata la moglie del suo boss, Vincent la riporta a casa, facendosi promettere di non riferire nulla a Marcellus. Così si conclude il primo episodio, lasciando spazio al secondo:


Episodio 2: l’orologio d’oro

Pulp Fiction: spiegazione del cult

Il secondo episodio vede come protagonista il pugile Butch Coolidge, ossia Bruce Willis. Egli fa un sogno, prima di disputare il tanto atteso incontro deciso da Marcellus. Ha più o meno sette anni, e un militare collega di suo padre (Christopher Walken) gli fa visita, dandogli uno speciale orologio d’oro che entrambi hanno nascosto dentro il loro deretano per farlo arrivare a lui. Il piccolo orologio è tutto ciò che gli resta del suo vecchio, e ha un valore affettivo molto importante per lui.

Butch si sveglia di soprassalto, e ancora scosso sale sul ring. Le scene di combattimento non ci vengono proposte, ma ascoltiamo l’epilogo da una fonte diegetica e metamediale: la radio del taxi di Esmeralda Villalobos (Angela Jones). La donna porta Butch in salvo, dopo che egli ha ucciso il suo avversario, mandando quindi a monte il patto con Marcellus. Il pugile torna nel motel in cui si è rifugiato, e si esibisce in alcune scene decisamente scabrose con la sua compagna, Fabienne (Maria de Mereidos). La mattina dopo i due si preparano a fuggire da Los Angeles, in quanto sono ricercati dagli scagnozzi del boss; ma Butch si accorge di non avere l’orologio, e dopo una violenta sfuriata contro la sua compagna, decide di tornare nel suo appartamento per prenderlo.

L’ordine cronologico è stravolto

Egli lo trova subito, ma prima di andarsene decide di festeggiare preparandosi la colazione. Sul ripiano della cucina trova però una mitragliatrice silenziata, e certo della presenza di un killer in casa sua la impugna senza pensarci. Sentiamo quindi una porta aprirsi, e troviamo Vincent, perplesso, aprire la porta del bagno; ancora una volta il pretesto per l’annuncio di un evento importante. I due, infatti, si scrutano per un po’, entrambi confusi, sino a quando il tostapane scatta. Al rumore, Butch sembra risvegliarsi da una sorta di intorpidimento mentale, e non ci pensa due volte prima di premere il grilletto e uccidere Vincent.

Ciò ci dà l’occasione per notare un elemento narrativo fondante del lungometraggio: esso non si svolge in ordine cronologico. Il film, come già ribadito, è diviso in un prologo, tre episodi e un epilogo, ma i vari eventi non vengono rappresentati in ordine di tempo. Vedremo infatti ancora Vincent nel corso del film; addirittura egli è protagonista del terzo episodio.

Violenza e oscenità mai casuali

Butch torna quindi trionfante da Fabienne, ma fermo ad un semaforo vede attraversare Marcellus Wallace, colui dal quale stava scappando. I due incrociano lo sguardo, e subito il pugile cerca di fuggire. Il boss, però, gli si lancia contro, causando un incidente che li mette al tappeto entrambi. La lotta, però, continua all’interno di un negozio adiacente la strada. Il titolare li ferma, puntando contro di loro un fucile. L’uomo, Maynard (Duane Whitaker) li rapisce e li lega, in attesa del suo amico Zed (Peter Greene). I due sono infatti degli stupratori omosessuali, i quali decidono di praticare sodomia prima con Marcellus. Butch, tenuto ostaggio dallo storpio (Stephen Hibbert), un deviato sessuale vestito con una tuta sadomaso, riesce a liberarsi, a far svenire lo storpio, e decide di scappare.

Mai come in questa scena, Tarantino tratta la violenza e il sesso, in particolare lo stupro, con un occhio di riguardo. Questi temi, infatti, sono ricorrenti nella sua filmografia, ma non vengono mai inseriti con leggerezza o come strumento riempitivo. Fanno parte del suo marchio di fabbrica anche un linguaggio molto forte, l’alcol, le armi, le droghe e la delinquenza; in un omaggio, ancora una volta, ai Pulp Fiction.

Ed ecco perché, nel suo omonimo film, ripropone questi temi con una maestria sorprendente per un regista esordiente.

 

Butch, preso da un raptus di solidarietà, trova una katana (altro elemento caro a Tarantino) e la usa per uccidere Maynard. Zed, scosso dalla visione, si separa da Marcellus, ancora con il pene di fuori, e si rintana in un angolo. Una volta libero, il boss gli spara proprio sul membro, promettendogli una tortura medievale per chiudere il suo sfintere. Alla domanda di Butch sul loro futuro, Marcellus decide di perdonarlo, facendosi promettere di non divulgare l’accaduto, ma con la raccomandazione di sparire per sempre da Los Angeles, pena la morte. Butch, dunque, avendo distrutto la Honda presa in prestito da Fabienne, ruba la moto di Zed, parcheggiata fuori dal negozio, e raggiunge la sua compagna, sparendo per sempre dalla pellicola. Ecco che quindi inizia il terzo e ultimo episodio:


Episodio 3: Il problema di Bonnie

Pulp Fiction: spiegazione finale

Nel terzo e ultimo episodio del lungometraggio assistiamo ad un cameo dello stesso regista. Si tratta del prolungamento della scena all’interno del caseggiato, in cui Vincent e Jules uccidono i ladri della valigetta di Marcellus. Rapito Marvin, lo caricano in auto, e si dirigono verso l’appuntamento con il loro boss. Jules è ancora scosso dal miracolo che ha risparmiato la vita a lui e al suo amico e ne discute animatamente con quest’ultimo. Vincent, che non crede alla provvidenza divina, si gira verso Marvin (Phil LaMarr alla sua prima apparizione cinematografica) per chiedergli un parere, ma inavvertitamente preme il grilletto della pistola che gli teneva puntata sul volto, con il risultato di fargli saltare in aria il cervello.

Jules, decisamente alterato, decide allora di chiamare Jimmie Dimmick (Quentin Tarantino), un suo amico dal quale rifugiarsi per cercare di risolvere il problema. Tarantino non è nuovo al comparire nei suoi film. Appare infatti anche ne Le Iene, e avrà un cameo in Django Unchained. Il regista era indeciso se interpretare Jimmie o Lance, lo spacciatore di Vincent, ma alla fine optò per il primo, in quanto voleva essere dietro la macchina da presa per la scena dell’iniezione di adrenalina a Mia.

La forza di Mr Wolf

Analisi capolavori del cinema: Pulp Fiction

Il personaggio di Jimmie è ricalcato su quello del regista: scorbutico, leggermente petulante ma di grande carisma. Sposato con Bonnie, un’infermiera del quale è innamoratissimo, accoglie i due killer per aiutarli, ma impone loro di sbrigarsi, in quanto sua moglie sarebbe rientrata a casa nel giro di poco più di un’ora. Jules, dopo aver pregato Vincent di comportarsi bene con Jimmie, decide di chiedere aiuto a Marcellus, il quale contatta Mr Wolf, un incredibile Harvey Keitel. Nonostante compaia per pochi minuti sullo schermo, su una totalità di all’incirca due ore e mezzo, l’incredibile interpretazione di Keitel ha contribuito a rendere iconico tale personaggio, uno dei più memorabili della storia del cinema.

Minuzioso, estremamente organizzato e da un carisma abbagliante, Mr Wolf risolve il problema dei due killer nel modo più preciso e impeccabile possibile, pronunciando tra l’altro una serie di battute impossibili da dimenticare. Arrivati ad uno sfasciacarrozze, in cui sarebbe poi stato fatto sparire il corpo di Marvin insieme all’auto di Jules, i due colleghi decidono di andare a fare colazione, per chiudere la mattinata con un po’ di relax, dopo tutti i problemi che hanno dovuto affrontare.

Epilogo e tecnica

Ecco che quindi il cerchio si avvia alla sua chiusura. Jules e Vincent, infatti, decidono di recarsi all’Hawthorne Grill. Tarantino ha infatti sapientemente nascosto i due killer dalle inquadrature iniziali, facendo però nascere il dubbio sull’importanza di tale luogo. Coniglietta e Zucchino, infatti, non erano solo una parentesi iniziale, ma sarebbero stati i protagonisti non solo del prologo, ma anche dell’epilogo. I due killer si siedono, ordinano la colazione e discutono sulla decisione di Jules di abbandonare Marcellus, per condurre una vita più tranquilla e meno frenetica. Nel punto cruciale della conversazione, però, Vincent decide di andare al bagno, e sulla base di quanto detto prima, lo spettatore sa che un colpo di scena è dietro l’angolo.

Quasi in contemporanea alla decisione del killer, infatti, Zucchino e Coniglietta impugnano le loro armi e proclamano la rapina che hanno intenzione di compiere. Una parte del prologo viene riproposta, ma lo spettatore lo ascolta in un’ottica completamente diversa. Sa infatti che i due andranno a scontrarsi con Jules e Vincent, ma non sa cosa aspettarsi dall’incontro/scontro. Esso non si fa attendere: dopo aver fatto mettere tutti i portafogli dei clienti in una busta, Zucchino si avvicina da Jules, il quale non si lascia intimorire.

È qui che torna il McGuffiin:

Il rapinatore impone a Jules di aprire la valigetta, e una volta visto il contenuto sembra restarne estasiato. Ancora una volta quindi lo spettatore si chiede cosa ci sia di così importante, ma non otterrà mai la risposta. Approfittando di un momento di distrazione da parte di Zucchino, Jules riesce a strappargli la pistola di mano, ribaltando completamente i ruoli. Coniglietta allora si fa prendere dal panico, dato che anche Vincent, uscito dal bagno, ha impugnato la sua pistola, e l’ha puntata proprio contro di lei. Ecco che si attua quindi un altro marchio di fabbrica di Tarantino: il mexican standoff.

Ispirato dai western di Sergio Leone (uno tra tutti il triello finale de Il buono, il brutto e il cattivo), questa tecnica stilistica si attua quando tre personaggi, di solito diversi tra loro, si puntano una pistola contro, per poi sfidarsi con lunghi sguardi.

Nessuno, tuttavia, sparerà.

 

Jules riesce a convincere Zucchino a prendere i suoi soldi e fuggire insieme alla sua compagna, nonostante gli reciti il salmo di Ezechiele. Come ammetterà lui stesso, infatti, non ci avrebbe pensato due volte prima di farlo fuori, ma ancora scosso dal miracolo che gli ha salvato la vita, decide di risolvere la questione senza usare la violenza. Addirittura regala il contenuto del suo portafoglio ai due rapinatori (all’incirca 1500 dollari), dichiarando di star comprando la loro vita.

Un’altra particolarità è proprio il portafoglio di Jules. Ormai divenuto iconico, porta la scritta “Bad Mother Fucker“, tradotto in italiano “Brutto figlio di puttana“, frase spesso ricorrente nel film. Ma ciò che molti non sanno è che tale portafoglio apparteneva a Samuel L. Jackson; così come molti altri oggetti di scena appartenevano ad altri membri del cast e della crew. Tarantino era infatti agli esordi, e la quasi totalità del budget (inferiore ai dieci milioni di dollari) era destinata al compenso del cast stellare. Molti oggetti, dunque, furono raccimolati dalle proprietà personali degli attori, per risparmiare qualche soldo.

Tra critiche e trionfi

Pulp Fiction si conclude così, con Jules e Vincent che escono dal locale dopo aver sventato la rapina di Zucchino e Coniglietta. Non una trama lineare, quindi, nè una storia con un inizio e una conclusione tradizionali. Un agglomerato di storie gangster; un tripudio di violenza, armi e turpiloqui. Ma sarebbe alquanto riduttivo, se non completamente errato, liquidare un tale capolavoro con questo riassunto. I più accaniti sostenitori di Tarantino gridano alla genialità di un regista capace di reinventare un genere che sembrava morto e superato ormai da anni. Chi lo critica negativamente, invece, sostiene che tanta violenza, volgarità e oscenità sia fine a se stessa, e non porti a nulla di positivo.

Non esiste una verità assoluta su una questione così spinosa, che ormai infuoca la critica e il pubblico da diversi decenni. Ciò che è certo è che Tarantino riesce sempre a sorprendere, a destabilizzare e a dividere come pochi altri registi riescono a fare.

È inoltre innegabile che la sua sia una ricerca minuziosa e al limite del maniacale, e che tecnicamente parlando i suoi film sono ineccepibili.

 

Lo dimostra il fatto che quasi ogni sua opera è protagonista nelle più importanti cerimonie cinematografiche di tutto il mondo. Nel caso specifico, Pulp Fiction è stato nominato a sette Oscar, portandone però a casa soltanto uno: miglior sceneggiautra originale, premio che Tarantino ha diviso con Roger Avery. Le altre candidature furono invece per le categorie del miglior film, miglior regia, miglior attore protagonista, miglior attore non protagonista, miglior attrice non protagonista e miglior montaggio. Lo stesso identico destino è stato testimone dei Golden Globe, tranne la nomination per il montaggio. Il premio Bafta ha invece premiato anche Samuel L Jackson, oltre alla sceneggiatura; ma sono molti i premi internazionali che hanno visto nominare o trionfare il secondo lavoro di Tarantino. I David di Donatello, il Premio César, il Nastro d’Argento e anche il Festival di Cannes, che ha regalato una Palma d’Oro al regista di Knoxville.

In conclusione, Pulp Fiction, nonostante divida inevitabilmente la critica e il pubblico, è indubbiamente un capolavoro della storia del cinema, date anche le numerose scene cult e l’influenza che ha avuto sulla società cinefila e non di tutto il mondo.

Decisamente imperdibile.

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