Animazione: l’ottava arte

Proviamo a vedere i cartoni animati da un altro punto di vista.

Dalla Disney alla Pixar, dalla Dreamworks agli Blue Sky Studios, molte case produttrici hanno deciso di investire in un nuovo tipo di lungometraggio, prima bidimensionale poi tridimensionale, adatto ai bambini: l’animazione. Purtroppo i giocattoli viventi di Toy Story, i pastelli sfumati di Miyazaki, gli orchi di Shrek, grandi robot nel gigante di ferro, creature appartenenti all’immaginario da sempre associato alla sfera infantile del bambino ingenuo, hanno determinato in maniera fondamentale e significativa alla nascita della convinzione, ormai passivamente accettata, che solo quel bambino ingenuo può fruirne e goderne al meglio.

Un giocattolo che si muove o un orco, però, non presuppongono necessariamente che i loro film siano banali e infantili, adatti perciò solo ed esclusivamente al ristretto pubblico dei bambini; dicendolo con una battuta, cosa vi fa pensare che un tenero orsacchiotto rosso non riassuma, nella sua stessa storia, i principi cardine della filosofia idealistico-platonica e magari il rapporto tra sostanza e forma nella metafisica di Aristotile?

È ora di dire no a tutti quelli che negherebbero – acriticamente – la profondità di certi cartoni animati e il loro stesso valore artistico, considerandoli ingiustamente solo per bambini.

A Bug’s Life: un cartone animato nipponico

 

Sono tante le controprove di questa tesi, e la più evidente è senza dubbio uno dei lungometraggi più famosi della Pixar, quello che insieme con Toy Story  ha contribuito a costruire le colonne su cui poggiano il successo e la fama della Pixar stessa, successo non limitato solo agli Stati Uniti ma esteso, quasi come i fitti rami di un albero, in tutte le parti del mondo: si tratta di A Bug’s Life,  un film basato sulla storia di una colonia di formiche depredata spesso e sistematicamente da un gruppo cavallette.

La tragica situazione rimane la stessa fino a quando Flic, piccola formica che aspira alla “mano” della regina, decide di viaggiare prima in una simpatica città di insetti e poi in un circo, dove raduna una squadra di scarafaggi per scacciare una volta per tutte, anche con l’aiuto delle formiche stesse, tutte le cavallette, il loro capo Hopper, doppiato nella versione originale dal celebre Kevin Spacey. Alla fine flic riesce anche a ottenere l’amore della regina.

Una storia questa parecchio familiare per sembrare effettivamente originale; la trama si ispira infatti a quella de I Sette Samurai  (1954), diretto dal noto regista Akira Kurosawa. In questo film un gruppo di, quaranta banditi, come le cavallette, depreda ripetutamente un villaggio di contadini, fino a quando questi chiedono aiuto a un anziano samurai, rispettando il consiglio del vecchio capo del villaggio. Il samurai allora recluta, proprio come accade nel cartone animato, un piccolo gruppo di combattenti addestrati, pronti a uccidere i quaranta briganti.

Pur non avendo gli stessi toni in quanto, comunque, destinato a un pubblico generalmente di bambini, il film A Bug’s Life riprende temi e situazioni già illustrati e utilizzati in pellicole precedenti, come ne I Sette Samurai , e questo fa ovviamente comprendere che innanzitutto il lungometraggio animato può benissimo essere fruito da degli spettatori più grandi, ragazzi e adulti, e poi che possiede intrinsecamente un valore artistico notevolmente elevato, in quanto vengono spesso accennati  degli elementi diegetici che appartengono ad un film significativo per la storia della settima arte.

Romanticismo di un gigante di ferro

 

Esattamente un anno dopo, l’universo del cinema animato è passato dal “Megaminimondo” delle formiche al mondo invece dei giganti robotici, ma senza che la qualità cinematografica cambiasse grandezza; si parla, ovviamente, de Il gigante di ferro, diretto da Brad Bird nel 1999.

Il film, a differenza del precedente, si basa sull’animazione tradizionale in due dimensioni, e riprende stilisticamente il modello retrò anni 50, essendo il film ambientato in quel tempo, in un momento storico che ha visto i primi attriti politico-ideologici intercorsi fra Stati Uniti e Unione Sovietica, l’una realtà basata sulla mentalità turbo-capitalistica, l’altra invece sul comunismo. Il film, però, non accenna mai a queste meccaniche politiche, ma si sviluppa, piuttosto, su temi di rilevanza ben più umanitaria, il rapporto cioè tra un bambino e un automa solo apparentemente insensibile alle emozioni umane e apparentemente privo di una qualsiasi forma di volontà.

L’importanza artistica, in questo caso, non consiste nella meta-narrazione citazionista, come nel caso del già sufficientemente analizzato A Bug’s Life,  ma nella profondità dei temi trattati, delle situazioni presentate e delle immagini evocate, di stampo prettamente umanitario.

Archetipo del Superman robotico

La storia, ambientata nella metà del secolo scorso, in una città americana, è molto particolare: il bambino Hogarth scopre un gigante di ferro, un robot di stazza pantagruelica, mandato con ogni probabilità dal governo della statalizzazione comunista. il bambino incomincia sin da subito a stringere un rapporto di profonda amicizia con il Golia meccanico, mentre l’esercito statunitense intanto è venuto a conoscenza di esso e delle sue potenzialità distruttive, decidendo conseguentemente di abbatterlo. Il robot, impaurito dalle intimidazioni militari, attiva la sua funzione distruttiva senza volerlo, esponendo l’intero paese a un pericolo pari a una bomba nucleare e costringendo le milizie a bombarlo con un missile.

15 Il Gigante di Ferro

È a questo punto della storia che le dinamiche relazionali tra il bambino e il gigante raggiungono un livello quasi filosofico. Il gigante fuori controllo ricorda, attraverso le parole di Hogarth, di avere una forza decisionale, di poter scegliere sua sponte la strada da intraprendere. Avendo preso atto di queste capacità, decide allora di disattivare la sua funzione, volare nel cielo e sacrificarsi infine per salvare l’umanità, sussurrando tra le labbra metalliche “Superman”.

In questa scena, di importanza decisiva per comprendere questo film, il robot, gravo di un rapporto significativo con il bambino, si libera della sua meccanicità, del rispetto pedissequo e acritico degli ordini, per approdare finalmente a un livello emozionale e comportamentale superiore a qualsiasi essere umano, allo stato cioè di superuomo. È innegabile che le suggestioni evocate da questa immagine siano particolarmente forti, a tal punto che solo raramente un film tratta questi temi, e ancor di più un cartone animato.

Metempsicosi dilagante nella Pixar

 

A questo punto bisogna ritornare alla Pixar, una casa che sembra davvero interessata a temi ed elementi di culture orientali. Nell’antica Cina, tra le montagne del Tibet e le piane dei bambù, ci sono diversi gruppi monastici che credono fermamente in un principio che affonda le sue radici in una tradizione antichissima e che molti filosofi, non solo orientali, hanno sostenuto razionalmente. Si sta parlando della metempsicosi, la convinzione per cui dopo la morte l’anima si reincarna in una nuova creatura.

La resurrezione in Up

Questo tema viene spesso ripreso e approfondito, ovviamente non in modo esplicito, in molti dei suoi cartoni animati. Uno di questi è ad esempio Up. Nel film un anziano, Carl, dopo la dolorosa morte della moglie che aveva amato molto intensamente, condividendo con lei sogni e progetti per viaggi in tutto il mondo, e dopo essere venuto a sapere che  avrebbe dovuto evacuare la sua casa perché a breve sarebbe stata distrutta, in modo da lasciare posto a un nuovo palazzo, decide di far volare la  casa solo con dei palloncini, per evitare la sua distruzione e insieme con essa i dolci ricordi legati alla propria moglie. Inaspettatamente, però, un boy scout si è introdotto lì di nascosto prima di partire in volo, ed è quindi giunto, con Carl, nell’America latina, dove affrontano diverse avventure e dove l’anziano riscopre finalmente il bello dell’avventura.

Up cover

Se da una parte non c’è un evidente rifermento alla metempsicosi, dall’altra vi è comunque un passaggio molto simile ad essa. Questa transizione è metaforicamente rappresentata dalla casa con i palloncini, simbolo del ricordo ormai lontano della vita passata con la moglie, caratterizzata da un grande entusiasmo e dalla forte voglia di vivere; questa stessa casa, però, volando lontano dal quartiere ormai moderno, lascia il triste, grigio ricordo di una condizione luminosa ma non più riesumabile, per assurgere definitivamente a una nuova vita, splendente come la precedente di Carl e sua moglie Ellie. Di fatto è questa la metempsicosi: la morte seguita prima da un’ audace presa d’atto, dalla consapevolezza di caducità, poi dall’ascensione, e infine la catarsi definitiva, il ritorno alla vita.

Altri cartoni animati

Il tema appena spiegato è così caro alla Pixar che hanno deciso di includerlo in altri due lungometraggi animati, Toy Story 3 e Cars 3. Nel primo di questi due cartoni i giocattoli, in seguito a diversi malintesi tra la madre e il loro “possessore” Andy, finiscono in un asilo, dove comprenderanno che in realtà Andy non aveva voluto abbandonarli volontariamente lì, ma che avrebbe preferito piuttosto portarli con sé nel college, come ricordo di infanzia. Alla fine del film riusciranno, pur ostacolati dall’orso Lotso, a ritornare dal loro padrone, il quale tuttavia decide solo allora di consegnarli ad un altra bambina, permettendo loro, dunque, di ricondurre nuovamente la vita di prima.

In Cars 3, analogamente,  la macchina da corsa McQueen, ormai troppo “anziano” per ritornare alle corse perchè non dispone di una tecnologia adatta a competere con le auto da corsa di nuova generazione, si convince progressivamente che è impossibile  essere di nuovo la macchina più veloce. Per questo motivo decide di istruire una nuova auto, Cruz Ramirez, attraverso gli insegnamenti che aveva a sua volta appreso dal maestro Doc Hudson e attraverso le proprie esperienze, per farla vincere nel torneo al posto suo. Avendo raggiunto questo obiettivo, Saetta McQueen ottiene la gloria del suo maestro, entrando, come lui, nella storia delle corse automobilistiche.

In conclusione

L’animazione è una tecnica usata, sicuramente, più per compiacere i gusti dei bambini, ma spesso raggiunge sul piano artistico dei livelli particolarmente elevati, citando narratologicamente e graficamente delle opere cinematografiche senza epoca, oppure trattando temi che neanche film destinati solo ad adulti possono approfondire. In molti cartoni animati l’ingenuità formale sparisce come polvere nel vento per trasformarsi in qualcosa di superiore, di più raffinato e di più autentico, qualcosa che può essere carpito davvero solo dai più sensibili. Sarebbe sbagliato, infine, non riconoscere a questa tecnica il nome che davvero le spetta: l’ottava arte.

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