Elegia americana: recensione del film diretto da Ron Howard

Glenn Close ed Amy Adams in un dramma che punta alla corsa agli Oscar

È arrivato nel catalogo Netflix lo scorso 24 novembre un film che, senza troppi giri di parole, mira ad ottenere qualche nomination alla prossima edizione dei premi Oscar. Si tratta di Elegia americana, film diretto da Ron Howard di cui vi proponiamo la nostra recensione. Nel cast due star hollywoodiane che finora, di Oscar, non ne hanno mai vinti, nonostante varie nomination: Glenn Close ed Amy Adams. Sette candidature per la prima, sei per la seconda. Ron Howard dirige l’adattamento cinematografico del memoir del 2016 di J.D. Vance Hillbilly Elegy, diventato un vero e proprio caso editoriale negli USA. Quando è uscito, il libro è stato etichettato come la storia che ha fatto luce su una fetta spesso trascurata della popolazione americana. Vance ha raccontato i “bianchi poveri” che vivono nella regione degli Appalachi; quella parte della “classe operaia” decisiva per la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali del 2016.

È da qui che Vanessa Taylor trae materiale per la sceneggiatura dell’adattamento che diverse voci della critica cinematografica americana hanno definito come uno dei peggiori film dell’anno o, quantomeno, il punto più basso nella carriera di Ron Howard. J.D. studia giurisprudenza a Yale e ha un obiettivo ben preciso: diventare qualcuno, vivere il suo sogno americano. È cresciuto con la madre Bev, la nonna Bonnie e la sorella Lindsay in un clima familiare che definire turbolento è dir poco. Fin da piccolo J.D. ha dovuto combattere con la povertà e le continue crisi della madre, dedita all’uso di sostanze stupefacenti. Il suo punto di riferimento è sempre stata la nonna – Mamaw – che ha fatto di tutto per sostenerlo e proteggerlo, pur coi suoi modi burberi e a volte persino brutali. Quando Bev va in overdose da eroina, le certezze faticosamente conquistate da J.D. sembrano crollare.

Indice:

Analisi – Elegia americana, la recensione

In Italia l’opera di J.D. Vance non è particolarmente conosciuta né, per ovvie ragioni, ha avuto l’eco registrata negli Stati Uniti. In America, tra le molte critiche mosse al film, c’è stata quella di aver in qualche modo reso impersonale il romanzo di cui è adattamento. Scopo di questa recensione non è in alcun modo azzardare un confronto tra il libro ed Elegia americana nella versione di Ron Howard. Detto questo è chiaro sin da subito come uno dei maggiori difetti del film sia la mancanza di umanità. Nel modo in cui sono presentati i personaggi, nella gestione narrativa della tossicodipendenza di Bev; ancor peggio, nella descrizione dell’evoluzione di J.D., raccontata attraverso un frettoloso, sterile montaggio di scene. Non riusciamo mai ed entrare in connessione con J.D., né a capire a fondo il disagio dei personaggi, perché non ci vengono dati abbastanza strumenti per farlo.

Dovrebbe essere una storia edificante quella di Elegia americana, ma il film è più una ballata scialba e distante. J.D. ha un forte desiderio di rivalsa, cosa che ci viene ripetuta spesso nei dialoghi. Peccato che poi tutto, o quasi, si riduca a un solo meccanismo, attorno al quale alla fine ruota l’intera storia: J.D. ha un importante colloquio di lavoro e l’overdose di Bev è un ostacolo che rischia di fargli far tardi all’appuntamento. Perché è soprattutto questo ciò che vediamo – che recepiamo – nella parte di Elegia americana ambientata nel presente. E non è abbastanza. Nei numerosi flashback che mostrano il passato invece è soprattutto il buon lavoro di Owen Asztalos, nel ruolo di J.D. da giovane, a dare spessore e umanità al personaggio. La stessa struttura impostata sui continui flashback finisce per appesantire e frammentare la narrazione, anche a causa di alcuni raccordi di montaggio troppo poco fluidi.

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Elegia americana. Imagine Entertainment, Netflix

Osservazioni tecniche

Proseguiamo la nostra recensione di Elegia americana con una breve analisi delle performance del cast. Amy Adams e Glenn Close fanno del loro meglio con quello che hanno, ovvero una scrittura dei rispettivi personaggi, tocca ripeterlo, blanda e stereotipata. Amy Adams riesce in qualche modo a dar vita alla sua Bev, fra rabbia violenta, disperazione e rari momenti di tenerezza; ci prova, a volte un po’ troppo, in parte ci riesce ma non sopperisce alla mancanza di approfondimento umano, prima ancora che psicologico, del suo personaggio. Non va meglio a Glenn Close, costretta a parlare per cliché e citare Terminator; l’analisi non è profonda neanche qui ma, soprattutto nella relazione col giovane J.D., il personaggio di Mamaw funziona meglio degli altri. Questo anche grazie alla sintonia con Owen Asztalos, che interpreta il protagonista nei flashback del passato.

Questi ultimi si distinguono dai momenti ambientati nel presente anche per le scelte di fotografia, che gridano anni Novanta. Colori vibranti e tinte sature, in contrasto coi colori tenui e spenti del presente che sembrano accordarsi con gli stati d’animo del J.D. adulto. In queste fasi il protagonista ha il volto di Gabriel Basso, che nel trasmettere le emozioni del suo personaggio non regge il confronto con la sua controparte più giovane. Si riesce, in altre parole, a partecipare al dolore del J.D. appena adolescente, mentre con la versione adulta proprio non si sviluppa alcun tipo di empatia. Basso è monocorde e poco incisivo e non bastano un paio di scoppi di rabbia qua e là per creare una gamma più complessa di sentimenti.

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Elegia americana. Imagine Entertainment, Netflix

Conclusioni – Elegia americana, la recensione

Non sarebbe corretto liquidare Elegia americana come un film brutto. Elegia americana è un film mediocre, una sorta di compitino impacchettato per avere un riconoscimento alla prossima award season. C’è la storia autobiografica, il dramma, l’attenzione sociale (sulla carta) e il cast stellare. Peccato che il dramma sia esibito più che raccontato e, di conseguenza, percepito come reale; ed è paradossale, trattandosi di una storia vera. Peccato che il cast stellare debba costruire la performance su personaggi trattati come tipi umani più che persone. Il talento di Glenn Close ed Amy Adams non è cosa da mettere in discussione, né il film di Ron Howard fa sorgere qualche dubbio. Entrambe però sono artefici di prove più ragionate che sentite, più calcolate che autentiche. Sia Glenn Close che Amy Adams sono attrici da Oscar; solo, verrebbe da dire, non qui.

Arrivati alla conclusione della nostra recensione di Elegia americana, pur non condividendo i pareri più estremi della critica americana, non è possibile promuovere l’ultima fatica di Ron Howard. Hillbilly Elegy è un film che non scuote né colpisce mentre lo si guarda e che si dimentica velocemente una volta finito. Persino le musiche di Hans Zimmer – autore di colonne sonore indimenticabili – non emozionano durante e non lasciano traccia dopo. Prima dei titoli di coda – dopo un finale che non lesina sulla retorica – scorrono le immagini della vera Mamaw, di Bev e di J.D. Momento perfetto per riconoscere il bel lavoro fatto dagli artisti del make-up prostetico soprattutto su Glenn Close, davvero tale e quale a Bonnie Vance. Elegia americana non sarà dunque il film più brutto dell’anno, ma nella sua – per niente aurea – mediocrità è senza ombra di dubbio una cocente delusione.

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Elegia americana

Voto - 5

5

Lati positivi

  • Glenn Close e Owen Asztalos

Lati negativi

  • Un dramma scialbo, poco incisivo
  • Dialoghi banali, carichi di cliché

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