Leaving Neverland: riflessione sul documentario HBO su Michael Jackson

Oggi affrontiamo il controverso Leaving Neverland, documentario sui presunti abusi perpetrati dal re del pop, Michael Jackson

Di documentari sul re del pop Michael Jackson ne sono stati prodotti a decine. Uno dei più famosi, This is it, è stato come un’eredità lasciata dal celebre artista a tutti i suoi fan. Un documentario sul dietro le quinte dei suoi concerti maestosi e mozzafiato. Dietro le quinte in cui lo spettatore viene immerso nella preparazione delle performance canore e di ballo di Michael Jackson.
I documentari, tuttavia, si sono spesso discostati dal lato musicale di MJ, puntando più il riflettore sulla vita controversa dell’artista. In particolare sull’infanzia quasi mai goduta del giovane Michael, soffocata dalla brama di successo del padre, e il suo conseguente rapporto con i bambini, da molti visto come quasi totalmente empatico, da molti altri come controverso.

Leaving Neverland si pone in questo gruppo di documentari. Ma il documentario targato HBO fa di più, oltrepassando quelli che spesso sono stati presentati come forti dubbi e cercando di presentarli come certezze inequivocabili.

Leaving Neverland: riflessione sul documentario HBO su Michael Jackson

Il tema trattato e il personaggio su cui ruota la storia non si prestano facilmente ad un mero apprezzamento qualitativo. Né, tantomeno, ad una sentenza di colpevolezza o innocenza. Quella che vogliamo affrontare oggi è un’analisi su un documentario di questo tipo e sul tema stesso, e su quali potrebbero essere gli effetti sullo spettatore.

Leaving Neverland è stato prodotto da HBO, e fa già molto effetto notare come la casa di produzione di serie come Il trono di spade abbia trovato il coraggio di produrlo. Il documentario, infatti, ha come protagonisti due giovani che testimoniano i presunti abusi subiti proprio dal re del pop. Oltre a loro, la storia è raccontata dal punto di vista dei propri familiari.

I due giovani sono l’australiano Wade Robson e James Safechuck. Il primo è un affermato coreografo di popstar, mentre il secondo è stato il coprotagonista di una celebre pubblicità della Pepsi proprio con MJ. I due, durante la loro infanzia, sono stati per diversi motivi molto vicini al re del pop. Per anni hanno dichiarato la totale estraneità ai fatti di abusi di cui già si era parlato per anni. Nel 2018, invece, hanno deciso di raccontare tutta la loro verità.

Leaving Neverland – Punti di vista

Il documentario conta ben 4 ore di durata, in cui si alternano le interviste fiume dei due sopracitati e dei loro familiari, in particolare le madri e i fratelli, e video e registrazioni. I due sembrano avere una storia estremamente simile: Robson è stato un piccolo prodigio della danza che a sette anni ha avuto l’onore di conoscere il suo mito, Michael Jackson. Safechuck, invece, come già detto è stato per anni un giovanissimo attore di pubblicità. Entrambi, in periodi diversi, sono entrati nella cerchia dei giovani amici di Michael Jackson nel suo famosissimo ranch, Neverland. L’isola che non c’è.

Proprio Neverland, che campeggia nel titolo con motivi ben precisi, viene identificato come un luogo in cui i bambini possono esaudire i propri desideri. Dove, invece, Robson e Safechuck affermano che avvenissero le malefatte di Jackson.

La maniera in cui vengono raccontate le vicende è estremamente coinvolgente e, a prescindere se si creda o meno alle versioni dei due protagonisti, Leaving Neverland è uno di quei prodotti che si vorrebbe dimenticare al più presto.  E che, invece, non escono più dalla propria testa.

Leaving Neverland – La verità?

Perché il personaggio di cui si parla nel documentario è pur sempre l’artista più conosciuto e idolatrato nella scena pop di tutti i tempi. Ed è normale che cercare di scindere l’amore derivante dall’essere un fan dall’evidenza di alcuni eventi è qualcosa di doloroso e triste.

Ma guardando Leaving Neverland non può che sorgere un forte senso di disorientamento e di disturbo. Sensazioni provocate dalla schiettezza dei racconti dei due protagonisti e dall’estrema somiglianza delle due storie.

Potrebbe sembrare, da queste parole, che la verità sia davvero presentata nel film. Ma in realtà il documentario non ha l’autorità per dire cosa sia vero o no. Si limita a presentare una testimonianza a cui il pubblico è libero di credere o meno. E allora quelle sensazioni di cui sopra sono generate da altro.

La storia risulta raccapricciante non solo per le accuse mosse a Michael Jackson, ma anche dal constatare la facilità con cui le persone riescano a farsi condizionare da chi ha dalla sua parte una fama e un potere incalcolabili.

Leaving Neverland – Questione di fama

La storia raccontata, infatti, non è soltanto quella degli abusi. È anche la storia di due famiglie che sono state profondamente condizionate dal semplice e casuale incontro con il re del pop. Nel caso di Robson, il semplice apprezzamento fatto da MJ nei confronti del giovane ballerino ha portato la madre ad abbandonare il padre e trasferirsi con il piccolo negli USA. Fino al suicidio del padre, lasciato solo ed oscurato dall’interesse esclusivo del figlio per Michael Jackson.

E dall’altro, la madre di Safechuck che, come quella di Robson, ha permesso al proprio figlio di trascorrere anni nelle residenze del cantante. Di giocare chiuso in camera con lui, girare gli Stati Uniti con lui in tournée di dormire con lui.

Le sensazioni di disorientamento quindi si rivolgono ad uno spaccato di umanità che, in nome della fama, farebbe di tutto. Come la si decida di vedere, se credere o meno alle parole dei due protagonisti, il senso di tristezza rimane.

Se ciò che viene detto è vero, non si potrebbe che essere estremamente delusi e disgustati. Se non lo è, il disgusto rimane tale e quale. Perché da un lato c’è una popstar che nella sua vita è stato processato (e assolto) e messo in dubbio proprio per questi reati; dall’altro troveremmo due personaggi che cercano la fama scagliandosi contro chi non ha più potere contraddittorio. E figli di genitori che, nella loro tenera età, hanno permesso ad un adulto, seppur una super star, di creare dei rapporti con i propri figli quantomeno inappropriati.

Leaving Neverland – Conclusioni

Le tesi a favore di una o dell’altra versione sono molteplici e valide. I due protagonisti sono stati bersaglio di un’accesissima battaglia da parte dei fan di MJ. Potrebbe anche essere vero che stiano solo cercando soldi e fama. È indubbio però che, fra cause già intentate dalla famiglia di Jackson e lo show business attento a non schierarsi, la fama dei due non si può definire positiva. Potrebbero anche essere accusati di aver taciuto per anni, e addirittura di aver giurato il falso nelle testimonianze passate. In molti adulti, tuttavia, la consapevolezza di essere stati abusati avviene proprio in età adulta.

A chi credere, dunque? Non siamo noi a poter decidere, né siamo qui per farlo. Quello di cui abbiamo cercato di parlare è l’effetto straziante nel vedere un prodotto del genere. Un prodotto che ci porta a doversi schierare e prendere una posizione. Ma nel farlo ci si sentirà sempre in difetto: credere che l’artista più amato di sempre sia un pedofilo, o credere che per il successo, delle madri permettano ad un trentacinquenne di passare mesi con il proprio figlio di 7-10 anni e dormire con lui (a prescindere dagli abusi). Oppure credere addirittura che, sempre per fama, qualcuno possa inventarsi una storia di tale gravità?

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