Rushmore: recensione del film di Wes Anderson

Ecco a voi la recensione del secondo lungometraggio del regista statunitense con Bill Murray e Jason Schwartzman

Rushmore recensione. Il panorama cinematografico degli ultimi anni ha visto il contributo di vari registi che hanno decisamente lasciato il segno attraverso vere e proprie opere d’arte. Raccontano storie potenti che si posizionano al limite tra realtà e fantasia, e lo fanno attraverso un’estetica delicata e molto curata dell’immagine. Il massimo esponente di questa ‘nuova generazione’ è sicuramente il regista Wes Anderson. A questo nome, ormai famoso in tutto il mondo, è facile associare una determinata tipologia di film che è diventata ormai il suo marchio. Una surreale ossessione per la simmetria dell’inquadratura, scenografie fantastiche, costumi e oggetti che identificano e raccontano i personaggi, una nostalgica atmosfera vintage anni ’60/’70 e molto altro ancora costituiscono quella che è la famosa estetica andersoniana.

Con Rushmore, secondo lungometraggio firmato Wes Anderson e sceneggiato insieme a Owen Wilson, si aprono le porte a quelle che sono le tematiche tanto care al regista. Eterna fanciullezza, ragazzi irrequieti e genitori assenti ed immaturi sono gli elementi narrativi che caratterizzeranno le successive pellicole, come I Tenenbaum e Moonrise Kingdom. Rushmore si potrebbe quasi definire il manifesto della poetica narrativa di Wes Anderson, punto di partenza (ancora un po’ acerba) della variegata ed eccentrica produzione artistica futura.

Rushmore recensione: trama

Max Fisher è un ragazzino di quindici anni che frequenta una rinomata università, la Rushmore. Nonostante il rendimento nelle materie scolastiche sia molto basso, Max veicola la sua creatività nei vari corsi extrascolastici, dei quali è per la maggior parte presidente, come il gruppo di discussione o il club calligrafico. Tutto il suo tempo lo dedica alla Rushmore, da lui considerato il miglior posto nel mondo. Allo stesso modo la pensa il signor Herman Blume, magnate dell’acciaio e uomo d’affari. Max è affascinato dalla sua personalità e prestanza, e decide così di stringere amicizia con lui.

Una particolare amicizia la stringerà con Rosemary, maestra di scuola elementare e vedova, di cui si innamora. Pur di piacerle, Max decide di costruire una piscina nella quale gli studenti possano osservare la vita marina. Chiede così a Herman un aiuto per finanziare il progetto. Durante una pièce teatrale diretta e recitata dal ragazzo, Rosemary e Herman si conoscono per la prima volta. I due iniziano a frequentarsi e a piacersi. Max, ancora innamorato della maestra, farà di tutto pur di averla e indispettire Herman.

Rushmore recensione: l’infantile maturità

Con Rushmore, Wes Anderson inizia a delineare i tratti tipici delle personalità che popolano le varie storie da lui raccontate. Nelle sue opere infatti, troviamo spesso due ‘fazioni’ opposte, che incarnano il ciclo vitale dell’uomo. Il contrasto che il regista predilige è ovviamente quello che anima due periodi fondamentali della vita: l’adolescenza e la maturità. Queste due età evolutive, nel quale l’uomo e la donna si formano e diventano tali, sono viste e rappresentate da Wes Anderson in maniera talmente diversa e surreale da risultare quasi veritiere. L’adolescenza, si sa, è un periodo complesso e arduo per i ragazzi, nel quale a volte avviene una sorta di ribellione.

Max, al contrario dei suoi coetanei, è più maturo e serio. La sua agenda piena di impegni e attività assomiglia a quello di un business man e la sua dedizione è simile a quella di un lavoratore. Inoltre, il suo atteggiamento verso Rosemary, più grande di lui, ricorda quello di un uomo talmente sicuro di sé da poter avere tutto. La fittizia maturità mostrata da Max verso i compagni di classe, Herman e i professori si capovolge quando le ‘cose’ da lui desiderate gli vengono rubate. In queste situazioni allora la sua immaturità riemerge e attiva comportamenti tipici di un ragazzino. Max ideerà una serie di attacchi o dispetti nei confronti di Herman pur di ‘eliminarlo’.

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Herman, d’altro canto, non riesce ad assumere un atteggiamento da adulto. Il signor Blume, svogliato lavoratore, trova invece tutto il tempo per contraccambiare i dispetti, mostrando lo stesso livello di infantilità di Max. Un fattore da sottolineare, in questa guerra tra bambini, è che la rabbia e la vendetta sono tipici comportamenti da adolescenti e non dovrebbero appartenere ad un adulto quale è Herman.

Max ed Herman non sono altro che dei ritratti assurdi (non troppo) e contraddittori di due fasi della vita non poi così distanti da poterne tracciare un confine. Max è un ragazzo che sa cosa vuole dalla vita, ma non ha ancora gli strumenti adatti per raggiungere i suoi scopi, mentre Herman deve ritrovare se stesso, perso nella monotonia della vita.

Rushmore recensione: la regia minimalista

Uno dei marchi di fabbrica tipici delle opere di Wes Anderson è l’utilizzo minimalista che la regia imprime alla storia. La macchina da presa non vuole strabiliare lo spettatore con pazzeschi movimenti mai visti prima. Anderson si limita a condurre una regia funzionale alla sua storia. Una storia fiabesca e delicata che fa forza sull’aspetto visivo e sulla sceneggiatura. Ciò però non lo distoglie assolutamente dal dedicare una particolare attenzione ai dettagli.

La regia di Anderson si sposa sapientemente con una scrittura ironica ed intelligente, che accompagna agevolmente il pubblico per tutta la narrazione. L’innesco della risata deriva da un mix tra battute tipiche del british humor e del no-sense che rendono la storia ancora più surreale. A rafforzare ancor di più la scelta registica di Anderson vi è la recitazione dei personaggi. Se da una parte assistiamo ad una prova quasi pittoresca di un ragazzo adolescente fuori dal comune e dagli schemi, dall’altra troviamo la serietà e la monotonia di Bill Murray. La sua impassibilità però è proprio ciò che rende unico e particolare il suo personaggio.

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Rushmore: conclusioni finali

Nonostante il debole riscontro che ebbe il film nell’anno della sua uscita (1998), Rushmore è una succosa prova da parte di un regista emergente che, con i successivi film, ha conquistato pubblico e critica. Come per ogni artista, la sua estetica si è raffinata esplorando nuovi mondi e con la voglia di raccontare storie mai sentite prima. Rushmore rappresenta quindi il prototipo per eccellenza che modella la forma e i tratti tipici dal quale partire per poi produrre qualcosa di ancora più perfetto.

Detto questo, Rushmore rappresenta un’opera unica nel suo genere, ben lontana dalla solita commedia ‘scolastica’. È una intima ed eccentrica rappresentazione di quelli che sono i legami relazionali ed emotivi tra le persone, con particolare accento sull’effimera differenza d’età. Un brillante e divertente Wes Anderson alle prese con una delle sue prime creature.

Rushmore

Voto - 7

7

Lati positivi

  • Regia minimalista
  • Sceneggiatura brillante
  • Personaggi unici ed eccentrici

Lati negativi

  • Opera ancora grezza

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