Master Gardener: recensione del film di Paul Schrader con Joel Edgerton – Venezia 79

Paul Schrader presenta Fuori Concorso al Lido il suo nuovo film con protagonisti Joel Edgerton, Quintessa Swindell e Sigourney Weaver

Master Gardener, di cui vi proponiamo la nostra recensione, è il nuovo film di Paul Schrader presentato Fuori Concorso alla 79ª Mostra del Cinema di Venezia. Lo scorso anno Schrader aveva presentato al Lido, in Concorso, The Card Counter (Il collezionista di carte) mentre in questa edizione è stato insignito del Leone d’Oro alla carriera. In Master Gardener, Paul Schrader scrive e dirige una nuova variazione su uno dei temi cardine – nonché vera propria firma – della sua cinematografia, declinati attraverso la figura del protagonista interpretato da un bravissimo Joel Edgerton. Una figura (e un film) che vanno a chiudere idealmente un cerchio iniziato con First Reformed ed Ethan Hawke nel 2017 e proseguito proprio con The Card Counter e Oscar Isaac.

In First Reformed avevamo un pastore che metteva in discussione la propria fede, in The Card Counter un ex carceriere diventato giocatore di poker professionista per non fare i conti coi propri fantasmi e qui abbiamo un maestro giardiniere dal passato oscuro che trova ordine e bellezza nella cura dei fiori e delle piante. Accanto a Joel Edgerton, fanno parte del cast anche Sigourney Weaver, Quintessa Swindell ed Esai Morales. Prima di passare alla recensione di Master Gardener vediamo qui di seguito la sinossi ufficiale. Narvel Roth è il meticoloso orticoltore di Gracewood Gardens. La devozione per i terreni della bella e storica dimora è pari al tentativo di compiacere la sua datrice di lavoro, la ricca vedova Mrs. Norma Haverhill. Quando la donna gli chiede di assumere la sua capricciosa e inquieta pronipote Maya come apprendista, il caos entra nella spartana esistenza di Narvel.

master gardener recensione

Master Gardener. Curmudgeon Films

Indice:

La quiete e il caos – Master Gardener recensione

Joel Edgerton interpreta il maestro orticoltore Narvel Roth, un uomo dai molti lati oscuri, con un passato da nascondere e che ha trovato nella quiete della cura dei giardini l’elemento necessario per far ordine nel caos che porta con sé. Paul Schrader scopre a poco a poco le carte con Narvel, facendone scoprire ciascun lato un po’ per volta. Lo vediamo inizialmente austero, compreso nel suo ruolo, di poche parole e rigorosissimo, sia nel suo lavoro che nei rapporti – piuttosto ambigui – con la ricca proprietaria di Gracewood Gardens la cui parte è affidata all’esperienza e al talento di Sigourney Weaver. Pur con relativamente poco spazio, quello di Mrs. Haverhill è un personaggio chiave nella comprensione e nel disvelamento della figura di Narvel. Narvel ha un passato da suprematista bianco e ha fatto della violenza a sangue freddo il suo modus operandi per anni. Norma Haverhill sembra sfruttare (o almeno così suggerisce Schrader) i segreti di cui è a conoscenza per tenere sotto scacco il giardiniere e legarlo a sé.

Con la consueta eleganza ed economia di parole che lo contraddistingue, il regista mette in scena la relazione tra i due sottolineandone l’ambiguità e la morbosità in maniera suggestiva ed estremamente perturbante. La quiete faticosamente ricercata da Narvel viene gradualmente e nuovamente interrotta dall’arrivo di Maya, la pronipote di Mrs. Haverhill che, alla ricerca di un lavoro e di un posto da poter chiamare casa, viene accolta a Gracewood Gardens (non senza diffidenze) per apprendere le arti della botanica dal maestro orticoltore. Maya turba l’armonia di Gracewood Gardens e, ancora una volta, Schrader guida con mano sicura il costruirsi e lo svolgersi della relazione tra l’apprendista e il maestro. Narvel e Maya si alimentano l’uno dell’altra, scoprendosi vicendevolmente necessari. Dalla quiete al caos e di nuovo dal caos alla quiete, Schrader indaga il rapporto tra queste due figure sfruttando il valore metaforico del ciclo vitale della natura, in un percorso in cui (con una prospettiva ottimistica affatto scontata) c’è spazio persino per la redenzione.

master gardener recensione

Master Gardener. Curmudgeon Films

La versione di Schrader – Master Gardener recensione

Verrebbe da dire (e non senza un fondo di ragion veduta) che Paul Schrader fa sempre lo stesso film. Anche in Master Gardener ci sono tutti i luoghi tipici del suo cinema, quelli che fanno associare il nome del 76enne regista e sceneggiatore quasi a una forma di genere a se stante. L’associazione più immediatamente rintracciabile, nonché più vicina in ordine cronologico, è quella con The Card Counter. Sia William che Narvel tengono un diario, che compilano meticolosamente e le cui parole fuori campo fanno da filo conduttore per la narrazione, entrambi convivono coi rimpianti del proprio passato e, ancora, entrambi esercitano un fascino paurosamente ipnotico sullo spettatore.

Schrader percorre la via maestra dei luoghi cinematografici e delle costanti che conosce e padroneggia meglio tessendo le fila di una storia semplice in un film dal ritmo placidamente dilatato, elegante e sofisticato nelle scelte stilistiche e di regia, impreziosite dalla fotografia di Alexander Dynan. Quando arriva il momento della violenza (e si tratta di un’alta costante nella filmografia del regista), Schrader sa fermarsi in tempo, suggerendo una via d’uscita per interrompere una perniciosa spirale, per estirpare una malerba particolarmente difficile da debellare. Paul Schrader non ha interesse nel dare giudizi: non condanna e non giustifica. L’interesse, qui, è tutto riposto nell’immaginare un futuro per il protagonista, seguendo un nuovo ciclo naturale che riporti un ordine e un equilibrio non solo di facciata. Master Gardener è un film che affascina e turba nella sua essenzialità, al quale si perdona volentieri anche qualche esagerazione in termini di allegorie un po’ troppo didascaliche e nel contempo ridondanti.

Master Gardener

Voto - 7

7

Lati positivi

  • L'eleganza della regia
  • La direzione degli attori e la splendida fotografia

Lati negativi

  • La metafora del giardino (che pur funziona) si appoggia a tratti ad allegorie un po' troppo ridondanti

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *