I Am Mother: recensione del film ripescato dalla blacklist hollywoodiana

Analizziamo l'opera prima di Grant Sputore con Hilary Swank

I I Am Mother recensione. La blacklist di Hollywood consiste in un sondaggio annuale con lo scopo di ricercare le sceneggiature cinematografiche più apprezzate, ma non ancora prodotte. La sceneggiatura del semi-esordiente Micheal Lloyd Green è rimasta parcheggiata in questo limbo dal 2016, fino a quando un altro australiano alle prime armi non ha deciso di metterci mano. Grant Sputore ha accettato di cimentarsi in una sfida che solitamente spaventa anche i cineasti più esperti: dare corpo a una sceneggiatura già largamente apprezzata.

Essere nella blacklist non è ovviamente una garanzia di qualità, ma i pareri di membri esecutivi di case di produzione e studi cinematografici spesso delineano delle piccole perle non ancora scoperte. The Milionaire, Argo, Il caso Spotlight e Il discorso del re sono solo alcuni esempi di sceneggiature che hanno fatto visita alla blacklist, dando poi, visti i successi ricevuti, lustro a quest’ultima. La pellicola è stata la rivelazione dell’ultimo Sundance Film Festival, grazie anche al cast composto da Clara Rugaard-Larsen, Hilary Swank e Rose Byrne. Vediamo dunque se Sputore è riuscito a valorizzare la stimata sceneggiatura del connazionale, liberamente tratta dal romanzo The Search for WondLa di Tony DiTerlizzi.

In seguito ad un’imprecisata estinzione di massa l’umanità si trova spalle al muro. L’unica speranza per la sopravvivenza della specie consiste in una madre robot che, in un bunker sotterraneo, cresce una piccola bambina. Lei sarà la prima di una lunga serie di embrioni che andranno a costruire una nuova umanità. Daughter cresce tra le amorevoli cure di Mother e la crescente curiosità di scoprire cosa c’è al di fuori delle mura domestiche. L’idilliaco rapporto madre figlia andrà a deteriorarsi quando, a causa di una visita inaspettata, le certezze di Daughter verranno messe in dubbio.

Indice

Uno strano triangolo – I Am Mother recensione I Am Mother recensione

Il personaggio che condivide l’ottica con lo spettatore è chiaramente Daughter, interpretata da una giovane e brillante Clara Rugaard-Larsen. Insieme a lei siamo continuamente sballottati ora verso Mother e ora verso Ospite in un perpetuo alternarsi di torto e ragione. La contrapposizione tra le due “figure materne” è sicuramente uno dei fulcri della pellicola, che insiste nel reiterare l’opposizione tra queste due figure. Un cast tutto al femminile che ben si amalgama, dando vita a interazioni davvero interessanti.

Il personaggio interpretato da Hilary Swank è un omaggio alle eroine del passato come Sarah Connor, personalizzazione interessante ma un po’ limitante per l’attrice premio Oscar. A contrapporsi alla donna sopravvissuta c’è il droide Mother, programmato per prendersi cura dell’umanità. Anche qui Sputore mostra il suo amore per gli anni ’80 stile Terminator, rifiutando la CGI e costruendo fisicamente l’androide grazie alla Weta Workshop di Peter Jackson. Il suo doppiaggio si inserisce prepotentemente fra le migliori qualità del film grazie alla vocalità di Rosa Byrne, umanissima ma al contempo antica e eterna.

Le due sono nemesi naturali e si contendono la fiducia di Daughter. Ospite si propone come una sorta di madre biologica che si promette di strappare la figlia alle gelide grinfie di un robot, mentre Mother è una madre adottiva che si rifiuta di lasciare andare sua figlia verso una vita di miseria. Le loro concezioni di genitorialità e di vita sono agli antipodi, ma nessuna delle due è realmente cattiva. Si tratta semplicemente di credere fermamente in qualcosa, che sia a causa di una direttiva impostata o di esperienze vissute poco importa, e di volerla portare fino in fondo. In questo le due si assomigliano, ma quale è umanità e quale no?

Uomo e robot – I Am Mother recensioneI Am Mother recensione

Se su un binario si sviluppa il rapporto madre-figlia, sull’altro si innesta quello inevitabile del confronto tra uomo e macchina. Un tema classicissimo e già ampiamente esplorato, che però viene in questo caso esposto con una diversa sfaccettatura. Abbiamo recentemente assistito ad altri film che si promettevano di rispondere all’ormai sempre più frequente domanda “L’uomo merita davvero di sopravvivere?”. Passando da Avengers: Endgame a Godzilla II – King of the Monsters abbiamo preso visione dei peccati commessi dall’uomo e delle relative punizioni.

In I Am Mother si parla di un’estinzione di massa che ha spazzato via il genere umano, e l’unico termine di paragone che ci resta è Ospite. Notiamo fin da subito come l’androide può essere, paradossalmente, più umano di un essere che risulta solamente un antropomorfo. Le caratteristiche di ciò che chiamiamo umanità non sono infatti proprie dell’uomo, ma possono essere assimilate da altri. Ciò che noi associamo a umanità può essere dunque inserito nel database di un androide, che sarà sicuramente in grado di rispettare la direttiva meglio di noi. Vengono scomodati Bentham, Comte e Kant come insegnamenti per Daughter, educata con il fine possedere una visione di insieme per la felicità comune, anche a costo di sacrifici.

Mother è quindi più umana di Ospite, professando di credere nel valore intrinseco di ogni essere umano e di ogni singola vita. È disposta al sacrificio, ma non lo pretende. La sua natura umana, intesa dunque come caratteristica distintiva delle specie, è però derivante da un input esterno. Grazie a una visione di insieme oltre ogni comprensione, Mother si avvicina all’onniscienza. La sua intrinseca precisione la esula dalla fallibilità tipica dell’essere umano: non può sbagliare. L’umanità appare quindi in questo film qualcosa di inafferrabile: è sempre presente ma è difficile da individuare e da definire.

La mamma è sempre la mamma – I Am Mother recensioneI am Mother recensione

Mother non è propriamente il più classico degli angeli del focolare. Viene in questo film approfondito il concetto di madre e in che misura questo possa essere riprodotto da un unità informatica. Mother dimostra in diversi momenti di prendersi cura di sua figlia, riservandole diverse attenzione e proteggendola. È una madre certamente severa e esigente, ma anche amorevole mostrando un perfetto connubio tra umanità e programmazione. Anche gli stessi movimenti meccanizzati sono accompagnati dalla calma e suadente di Rosa Byrne. Tutto ciò concorre alla creazione di un’atmosfera di imprevedibilità e sospetto nei confronti dell’androide, che ha comportamenti tipici di entrambi le parti.

Anche il personaggio di Clara Rugaard-Larsen sembra risentire di questa ambivalenza e ci appare fin da subito diversa: una donna cresciuta da una macchina e che ora è a metà fra le due sponde. Appare chiaro però come, che sia per il protocollo o meno, Mother ami sua figlia. Il montaggio iniziale, che mostra la crescita di Daughter, è ben diretto e studiato e riesce nell’intento di mostrare questo amore atipico. Contribuiscono a questo scopo pure alcune scene melodrammatiche che, cozzando con la fredda scenografia, sembrano mostrare amore genuino.

Mother però osserva le cose con una prospettiva diversa e questo la costringe a non essere solo la madre di Daughter, ma di tutta l’umanità. Nonostante tutti questi ostacoli, Stupore gestisce un finale assolutorio nei confronti di Mother mostrando come, alla fine, la mamma è sempre la mamma. L’eredità è scritta nel buonissimo comparto sonoro, capitanato dall’iconica “Baby Mine”, ulteriore sentore di un amore che forse non riusciamo a comprendere, ma che esiste .

ConclusioniI AM Mother recensione

I Am Mother si propone di essere nella prima parte un film concettuale alla Ex Machina e Black Mirror, per poi virare verso toni più thriller nella seconda. Ovviamente la parte migliore risulta essere la prima, dove il magnifico comparto sonoro sorregge l’insorgere di questioni e cambiamenti. Nella seconda parte il film perde invece efficacia, complice anche una scenografia che risulta solo a tratti interessante. Le piccole capsule di embrioni sono geniali come la simil-fonderia anni ’80, ma il resto delle ambientazioni si perde in un candido anonimato.

Sputore dimostra comunque di avere del talento, alternando ottime intuizioni a comode inquadrature e dando il giusto onore a una sceneggiatura nella blacklist. Il lavoro di Green è sicuramente interessante e ricco di colpi di scena (soprattutto l’inaspettato finale) e da diversi spunti di riflessione. Il vero punto di forza della pellicola è però certamente il cast: la giovane protagonista si è sicuramente creata un futuro roseo grazie a un’interpretazione favolosa anche se comparata con quella di Swank, leggermente debilitata dalla scrittura.

Il film non è memorabile come si può pensare, tuttavia resta una valida alternativa di un genere che su Netflix è sempre più compromesso. La fantascienza infatti, sempre più bistrattata, necessita più che mai di nuova linfa: idee nuove e affascinanti portate avanti da nuove personalità artistiche che saranno quelle di domani. Un piccolo esempio di come la fantascienza può ancora essere un genere prodotto e apprezzato.

I Am Mother

Voto - 7.5

7.5

Lati positivi

  • Comparto sonoro e doppiaggio di Rosa Byrne perfetto
  • Sceneggiatura molto interessante
  • Un grande cast gestito molto bene

Lati negativi

  • Scenografia senza spessore
  • Parte thriller non troppo riuscita

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