Maniac: recensione della serie tv Netflix di Cary Fukunaga

Ecco la nostra recensione di Maniac, la nuova serie tv Netflix con Emma Stone e Jonah Hill

Maniac è la nuova serie tv targata Netflix, creata e diretta da Cary Joji Fukunaga e scritta insieme a Patrick Somerville. Fukunaga torna a dirigere un’intera miniserie televisiva dopo la soddisfacente esperienza della prima stagione di True Detective, mentre Somerville si è precedentemente distinto nelle sceneggiature di The Bridge e The Leftovers. I due danno vita a una serie televisiva decisamente particolare, dove si mescolano elementi (tra i tanti richiami presenti) di Black Mirror, 2001: Odissea nello Spazio, Brazil e Se mi lasci ti cancello, nelle continue sovrapposizioni tra realtà e sogno indotto.

Fukunaga ambienta la sua serie in un futuro nostalgico anni ’80 caratterizzato da fax, insegne al neon e computer senzienti che ricordano molto l’HAL 9000 di kubrickiana memoria. Il regista riesce a creare un drama dai toni grotteschi tipici del cinema di Terry Gilliam, ricoprendo il tutto con un velo comedy. La serie usa e combina elementi di diversi generi narrativi per raccontare, in fondo, una storia d’amore poco convenzionale che si sviluppa attraverso una varietà di realtà parallele simulate da una droga in fase di sperimentazione.

Maniac: recensione della serie tv Netflix

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Nel contesto sopracitato si muovono i due protagonisti Owen Milgrim (Jonah Hill) e Annie Landsberg (Emma Stone) che si incontrano nel punto più basso della vita di entrambi. Sia Annie che Owen sono in fuga da sé stessi, dal proprio io che identificano come fonte di disgrazie. Annie non riesce a perdonarsi per la morte della sorella Ellie (Julia Garner), di cui si sente colpevole. Owen invece per aver allontanato da sé ogni sincero affetto a causa della propria schizofrenia. Inoltre, il ragazzo si sente terribilmente pressato dal dover testimoniare il falso a favore del fratello Jed (Billy Magnussen) in un processo che rischierebbe di gettare cattiva luce sul nome della famiglia.

Gli autori fanno un ottimo lavoro nel presentare i due personaggi, dedicando a ciascuno di loro un episodio, utilizzando così il terzo come spartiacque. I due protagonisti decideranno di sottoporsi a un test della Neberdine Pharmaceutical and Biotech per sperimentare un nuovo trattamento farmacologico: ingerire tre pastiglie (A, B e C) che promettono di affrontare traumi e disturbi mentali per poterli cancellare definitivamente. Non si tratta dunque della rimozione del ricordo in sé come avviene in Se mi lasci ti cancello, ma dei sentimenti negativi a esso correlati.

Rinchiusi per tre giorni nei laboratori della Neberdine insieme ad altri partecipanti, Owen e Annie scopriranno qualcosa di inatteso negli esperimenti del Dr. Mantleray (Justin Theroux) e della Dottoressa Fujita (Sonova Mizuno). I due infatti si ritroveranno sempre insieme all’interno delle simulazioni, trovando sempre il modo di entrare l’uno nella testa dell’altra, aiutandosi nel superare veri e propri traumi irrisolti.

Maniac: La via verso la guarigione

Forse l’universo non è un caos totale.

I nostri due eroi, segregati dal resto del mondo e abbandonati dalle loro famiglie, incarnano due solitudini che aspettano di trovarsi, esprimendo quella tenera solidarietà tra reietti spesso oggetto di rappresentazione cinematografica. I traumi di Annie e Owen troveranno risoluzione infatti nell’inevitabile attrazione tra i loro cuori. Fukunaga è egregio nel non rendere banale il magnetismo che i due protagonisti esercitano l’uno sull’altra, facendolo capire allo spettatore tramite le continue connessioni cerebrali nelle differenti realtà simulate. Oppure grazie alla ricerca di contatto iniziale (Owen che tocca la spalla di Annie) che diviene strumento salvifico e unica vera cura per la guarigione.

Il lascito di Maniac è importante nel suo essere così incredibilmente semplice. Il male ultimo della società sembra proprio essere la solitudine. Infatti, privati del confronto e dell’affetto non siamo altro che corpi vuoti alla ricerca di qualcuno capace di comprenderci. Solo trovandolo è possibile liberarci del nostro passato e del severo giudizio senza speranza di assoluzione a cui ci sottoponiamo quotidianamente. Per questo motivo la lezione di Annie e Owen, pedine di un destino non governato dal caos, è decisamente importante.

Maniac sembra quindi volerci dire che l’universo non sia solo un susseguirsi di eventi casuali e insensati. Sembra anzi che ci possa essere una sorta di filo rosso, una predestinazione che leghi due persone. Fukunaga e Somerville sono incredibili nel raccontare il tutto con il disincanto ingenuo tipico di un bambino, capace di far leva sulle emozioni cardine dell’animo umano. Emozioni che sono state incarnate perfettamente dai due protagonisti in stato di grazia.

Maniac: La critica al pragmatismo americano

La serie tv di Fukunaga nasconde dietro la sua godibile facciata di commedia drammatica, una dura critica sociale. Annie e Owen sono le vittime predilette di una società fin troppo condizionata da farmaci e tecnologie, palliativi momentanei ai drammi personali. Maniac sembra così criticare quel pragmatismo americano che si illude di trovare una soluzione pratica per tutto, senza preoccuparsi dell’individualità del paziente.

L’inadeguatezza dello strumento terapeutico emerge sin dai primi episodi attraverso la figura del dottor James K. Mantleray, a sua volta schiacciato dall’ingombrante presenza della madre (Sally Field). La dottoressa Fujima programmerà il computer GRTA sugli schemi mentali della madre del dottor Mantleray, donando così alla macchina una vera e propria sensibilità. All’interno della serie si indaga così il mistero della coscienza umana robotizzata e digitalizzata, sebbene Fukunaga si rifiuti di dare una definitiva risposta etica o filosofica. Ciò che rimane sono però alcune emozionanti dialoghi tra la sofferente GRTA e i diversi personaggi con cui si trova a interagire, sempre all’insegna della sensibilità e dell’empatia.

Maniac: Una tavolozza di generi

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Cary Fukunaga dà vita a una vera e propria girandola di generi cinematografici, ognuno con i suoi stilemi e caratteristiche. Il regista ha fin dall’inizio della sua carriera dimostrato una notevole capacità di destreggiarsi tra registri diversi e scenari immaginifici. Maniac ne è un esempio lampante. Inserendoci nelle connessioni mentali di Annie e Owen, ci troveremo a dover fare i conti ogni volta con realtà simulate diverse con i due che si ritroveranno a rivestire dai panni di una coppia di americani medi in crisi matrimoniale a quelli di una coppia di elegantissimi ladri ed ex amanti.

Maniac spazia ogni tipo di genere cinematografico con estrema cura, dal fantasy al noir, dalla commedia al crime, il tutto pervaso dalla bravura dei due attori. Emma Stone e Jonah Hill sono infatti pazzeschi nel riuscire a immergersi con assoluta credibilità in mondi diversi, vestendo panni sempre differenti. Le loro interpretazioni non sono mai banali e nelle loro stratificazioni emerge la complessità dietro a questa serie.

Ogni episodio di Maniac è particolare, carico di riferimenti letterari e cinematografici. Ogni pillola assunta provoca la creazione diversificata di universi onirici meravigliosi, che guardano alla vita dei personaggi e al loro passato. Da Lewis Carroll a Miguel de Cervantes, da Gilliam a Kubrick. Fukunaga sa decisamente usare la sua tavolozza cinematografica.

Conclusioni su Maniac: recensione

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Ma noi due ci conosciamo? L’inizio è positivo.

Maniac risulta a conti fatti una delle serie tv migliori dell’anno. Da lodare in particolare la sua capacità di coinvolgere lo spettatore in una tematica così delicata come il sentirsi soli e impotenti quando nessuno al mondo ci capisce. La narrazione chiusa della serie e la sua compiutezza unita allo spessore di una regia precisa e attenta, rendono Maniac una serie complessa e profondamente originale. Per quanto le singole realtà virtuali siano bizzarre, sono l’occasione per Fukunaga di sperimentare, riuscendo a esprimere il meglio del suo talento registico.

Maniac riesce a commuovere puntando tutto sul suo cuore emotivo e umano. I due protagonisti colpiscono l’anima per la loro umanità e per il loro coraggio nel scegliere la realtà piuttosto che richiudersi in sé stessi per evitare il dolore e il rischio di una delusione. Pur avendo vissuto una vita isolata, Annie e Owen ci fanno capire come non valga la pena affrontare la vita sempre da soli. Maniac così arricchisce lo spettatore di un messaggio importante. All’origine di tutto c’è una cosa inestimabile: la connessione con un’altra persona.

Maniac

Voto - 8

8

Lati positivi

  • Le sontuose prove attoriali di Emma Stone e Jonah Hill
  • La sceneggiatura intelligente e sperimentale
  • Le tematiche e la dolcezza del messaggio veicolato dalla serie

Lati negativi

  • L'interpretazione febbricitante di Justin Theroux
  • Narrazione a tratti lenta

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